Noi repubblicani: da dove veniamo 1900 - 1901

28. Sempre più difficili i rapporti tra repubblicani e socialisti 

Ci spiace dover compiere una nuova incursione in Romagna ma lo riteniamo necessario al fine di dare continuità alla storia del nostro partito che aveva in Romagna la sua principale base organizzata e la sua costante applicazione di quelli che erano considerati da tutti i principi mazziniani e repubblicani. E per farlo, ci permetteremo nuovamente di “saccheggiare” il testo che l'amico Luigi Lotti (già professore emerito dell'Università di Firenze) ha dedicato, come tesi di laurea, a I Repubblicani in Romagna dal 1894 al 1915.

I rapporti fra i repubblicani e i socialisti, man mano che progrediva l'organizzazione economica si facevano sempre più difficili per la crescente insofferenza che quest'ultimi manifestavano per la partecipazione dei repubblicani in quel campo che, per presunzione di classe, ritenevano di loro esclusivo dominio.

In particolare nel ravennate oltre alla Fratellanza dei contadini, erano sorte numerose altre leghe di categoria, dietro l'impulso organizzativo sia dei repubblicani che dei socialisti. Si era quindi posto il problema della costituzione di una Camera del Lavoro che ne coordinasse l'attività.

La riunione istitutiva avvenne il 31 dicembre 1900 su iniziativa della sezione locale della Federazione italiana fra i lavoratori del libro, senza che tutte le associazioni economiche, tra le quali quelle di ispirazione repubblicana, fossero invitate. Fra le escluse vi fu anche la maggiore fra tutte, la Fratellanza dei contadini, che contava oltre 1000 soci.

Ecco le associazioni che vi parteciparono: oltre alla sezione ravennate della Federazione italiana del libro, la Mutua Assistenza Fornaciai, la Mutua Assistenza Zolfatai, la Fratellanza Cuochi, Camerieri e affini, la Mutua Assistenza Imballatori, la Società Cooperativa Braccianti, la Società Cooperativa Carpentieri, la Mutua Assistenza Operai dello Zuccherificio, la Mutua Assistenza Operai Pastai, la Mutua Assistenza Operai dell'Officina del Gas, “considerando che per ogni dove, in Italia e fuori, la Camera del Lavoro già reca alla classe operaia benefici materiali e morali nel senso di educare e di affratellare gli operai, per elevarne il tenore di vita e di determinarne ognora più utilmente la coscienza e la funzione sociale di classe produttrice; ritenuto che nel Comune di Ravenna alle numerose società operaie (di resistenza, di cooperazione, di previdenza) manca l'organismo amministrativo; e che la Camera del Lavoro è un mezzo infallibile di organizzazione e di solidarietà fra i lavoratori di ogni ceto e mestiere delle città e delle campagne”…deliberano all'unanimità di istituire la Camera del Lavoro del Comune di Ravenna “salvo poi possibilmente a dare ad essa la maggior estensione anche nei comuni limitrofi della provincia”.

I repubblicani ravennati rimasero sorpresi quando seppero di quella riunione e tuttavia “sebbene dispiaciuti di non essere stati invitati a portare il nostro contributo a far sorgere una istituzione che fa parte dei nostri più vecchi programmi - scrisse il giornale repubbllicano La Libertà di Ravenna, del 5 gennaio 1901 – noi siamo lieti dell'opera degli amici nostri e plaudiamo di cuore alla Camera del Lavoro.”

I promotori risposero sul giornale di Ravenna La Parola dei Socialisti che “la Camera del Lavoro restava estranea ad ogni diretta influenza politica di partito, dovendo essa svolgere la propria azione al di fuori dei partiti politici e dedicarsi all'esclusiva tutela degli interessi economici e morali della classe operaia.”

Il giornale repubblicano rispose, il 12 gennaio, di prendere “atto ben volentieri delle spiegazioni dei rappresentanti la Camera del Lavoro” e di essere lieto “di constatare la competenza e la pratica dei nostri operai o almeno di qualcuno di essi nell'impiantare il nuovo statuto e le norme regolatrici; così rimarranno anche meglio estranei ad ogni influenza diretta politica di partito e degli uomini di partito.”

Con la cessazione della polemica giornalistica ci si dedicò a creare nuove leghe di categoria il cui numero fra gennaio e febbraio si moltiplicò in tutto il ravennate.

Il 6 marzo fu convocata l'assemblea dei rappresentanti delle leghe che avevano aderito alla Camera del Lavoro per l'approvazione definitiva dello statuto e del regolamento e per la nomina delle cariche camerali.

Ma gli avvisi di convocazione ed i moduli di adesione (che dovevano essere riconsegnati in assemblea da ciascuna lega assieme al proprio statuto) non furono inviati a tutte le leghe interessate e, ad alcune, all'ultimo momento. Si trattava comunque di un preavviso di 8 giorni, brevissimo se si tien conto che “ogni società doveva, giuste le disposizioni dell'art.28 del regolamento provvisorio, ordinariamente nominare i propri rappresentanti o delegati sezionali in adunanza generale...”

Fra quelle disposizioni, la seconda stabiliva che ogni lega dovesse nominare tre rappresentanti indipendentemente dal numero dei soci (la Fratellanza dei contadini con un migliaio di soci era equiparata a una qualsiasi lega che ne contava 10 o 20).

Il 17 marzo si presentarono alla riunione i rappresentanti di 47 società o sezioni, ma diversi di quei rappresentanti, a causa della ristrettezza del termine di convocazione, non erano muniti del regolare mandato assembleare.  Inoltre, nonostante l'anomalia, alcuni delegati di associazioni socialiste furono accolti senza difficoltà, mentre altri di associazioni repubblicane furono respinti dopo tre ore di discussione.

La riunione iniziò solo nel pomeriggio quando la commissione provvisoria, dopo aver svolto la sua relazione introduttiva, propose la riconferma a segretario del socialista Zirardini e la nomina a cassiere di un altro socialista. E propose di invertire l'ordine del giorno e cioè procedere prima alla nomina delle cariche camerali poi all'approvazione dello statuto e del regolamento.

Ciò fu contestato dai rappresentanti delle associazioni repubblicane, ma l'assemblea approvò ugualmente le proposte della commissione provocando l'uscita di tutti i repubblicani. I 65 rimasti sui 112 rappresentanti dei 120 che ne avevano diritto – 3 per ognuna dell 40 leghe ammesse – approvarono subito con 64 voti e un astenuto la nomina del socialista Zirardini a segretario ed elessero all'unanimità il cassiere socialista.

Soltanto dopo un lodo espresso da un Collegio arbitrale di Milano il 18 settembre, accettato incondizionatamente dai repubblicani e con riserva dai socialisti, si risolse positivamente la vertenza della Camera del Lavoro di Ravenna, e sembrò tornare la pace tra i due partiti della sinistra.

Pace che durò poco non tanto per le ripercussioni del contrasto sul piano economico e sociale ormai sopito, quanto per la campagna contro il Partito repubblicano che Enrico Ferri aveva iniziato il primo maggio del 1901 con un articolo Mazzini e il socialismo apparso sul giornale socialista di Forlì Il Risveglio uscito in quel giorno.

Premesso che “Giuseppe Mazzini è stato il grande filosofo animatore del principio di nazionalità, che costituì l'ideale politico della borghesia nei paesi d'Europa, dove la mancanza di unità nazionale era d'ostacolo al suo completo dominio economico” (ed è sufficiente questa interpretazione economicistica che Ferri dà al moto delle nazionalità a sminuire tutta la grandezza ideale dell'opera di Mazzini, nota Luigi Lotti) “e che perciò egli è una figura ammirabile e immortale di personificazione di un popolo in quella particolare epoca storicaFerri continua che “è vana pretesa il sostenere che egli è stato anche il personificatore o il pensatore d'un altro ideale umano che ha nome di socialismo”. Secondo Ferri, Mazzini ha certo degli “accenni a questioni economiche, ma non poteva avere una dottrina o socialista o in accordo col socialismo, per la ragione positiva che tutto il suo pensiero era orientato verso la borghesia (più o meno liberale progressiva) anziché verso il proletariato... Mazzini era uno spiritualista ed un metafisico (poiché al suo tempo il positivismo scientifico non era ancora diffuso) ed era un individualista..Perciò Mazzini non poteva comprendere la missione storica e sociale del proletariato...Il socialismo è dottrina proletaria, positiva e collettivista...La missione storica e pratica che Giuseppe Mazzini ha compiuto per la borghesia, Carlo Marx l'ha compiuta per il proletariato....”

Ferri non diceva sostanzialmente niente che non fosse già stato detto e ripetuto dai socialisti romagnoli; ma Ferri, cioè uno dei maggiori esponenti del Partito socialista italiano, era stato eletto deputato a Ravenna grazie al voto determinante dei repubblicani.

Questo articolo che apparve in un momento in cui la polemica sulla neonata Camera del Lavoro aveva già creato un clima infuocato, fu la goccia che fece traboccare il vaso della tensione in Romagna. L'articolo di Ferri assumeva anche l'aspetto di esplicita diffida al partito repubblicano a disinteressarsi, come partito borghese, dell'organizzazione del proletariato.

Perciò la sollevazione dei repubblicani romagnoli fu unanime, e tutta la stampa repubblicana della regione (dal Pensiero Romagnolo di Forlì, alla Libertà di Ravenna, alla Vedetta di Lugo, al Lamone di Faenza, al Marecchia di Rimini, al Popolano di Cesena) protestò e replicò indignatissima.

La qualifica di borghese era già di per sé la più atroce offesa per il partito repubblicano romagnolo, che riaffermava costantemente il proprio carattere operaio.

 

29. I rapporti fra repubblicani e socialisti romagnoli sono definitivamente compromessi 

in "continua 1901"