Noi repubblicani: da dove veniamo 1901

29. I rapporti fra repubblicani e socialisti romagnoli sono definitivamente compromessi

Le polemiche dei repubblicani nei confronti dei socialisti che, attraverso l'On. Ferri, li avevano definiti “borghesi” furono particolarmente aspre nel ravennate.

Era infatti solo a Ravenna, rispetto a tutta la Romagna, che i socialisti competevano coi repubblicani nel proselitismo fra gli operai e i contadini e potevano concretamente aspirare ad avere la prevalenza nel movimento sindacale. Perciò i rapporti tra i due partiti più che altrove eran sempre stati dominati – precisa Lotti – da reciproca diffidenza e sospetto, anche nei momenti in cui superiori ragioni di politica nazionale avevano imposto la piena solidarietà. Perciò la Consociazione repubblicana ravennate si era opposta alla irregorale costituzione della Camera del Lavoro e perciò essa si prodigava intensamente nell'organizzazione proletaria.

Nel mese di maggio del 1901 si recò nelle campagne ravennati a svolgere propaganda repubblicana lo stesso Gian Battista Pirolini che tenne un applauditissimo discorso a Ravenna e tutta una serie di comizi a Santo Stefano, a San Pietro in Vincoli, a Castiglione di Cervia, a Russi, a San Michele, a Porto Corsini, a Santerno, a Piangipane, a Sant'Alberto, a Bagnacavallo e ad Alfonsine. Ma il I giugno anche l'on. Ferri giunse a Ravenna e in un discorso tenuto al Teatro Mariani, confermò ed aggravò quanto aveva scritto un mese prima su Mazzini e sui repubblicani e disse di aver optato per Ravenna piuttosto che per Gonzaga, ove pure era stato eletto l'anno prima, proprio per fare opera di propaganda socialista in Romagna. “Ci siamo ingannati – scrisse il giornale repubblicano La Libertà il 3 giugno 1901 – i repubblicani comunque siano gli eventi non possono più votare per lui.”. A rendere ancor più tesi gli animi, l'On. Ferri in quei nove giorni che rimase in Romagna, fece un giro di propaganda a Bagnacavallo, ad Alfonsine, a Sant'Alberto, a Savarna, a Mezzano, a Castiglione, a Piangipane, a Santerno e ovunque ripetè l'accusa di partito borghese al repubblicano, perchè nemico del collettivismo. Quindi il contrasto fra repubblicani e socialisti, esploso sulla questione sindacale con la Camera del Lavoro, provocò la frattura anche sul piano politico e risse a livello delle singole persone. Il 4 dicembre a Filetto di Ravenna, scoppiò la prima rissa sanguinosa fra socialisti e repubblicani. Cinque giovani socialisti recandosi verso la casa di un amico, udirono un contadino che era intento a scavezzare un albero, cantare uno dei ritornelli con contenuto politico allora in voga; secondo la loro versione il contadino stava cantando: “Quando muoio non voglio né Cagnoni (esponente socialista) , né Ferri, né Mazzoni (direttore della Parola dei Socialisti), che sono tutti cafoni”; secondo la versione del contadino repubblicano e del fratello, che lavorava in un altro albero lì vicino, stava invece cantando: “ Quando muoio voglio i fiori più belli, voglio che m'accompagni Mirabelli (deputato repubblicano di Ravenna I)” Poiché i cinque socialisti si avvicinarono imprecando all'albero del canterino, questi scese dall'albero, imitato subito dal fratello. Uno dei contadini fu colpito con un bastone, e due dei socialisti furono gravemente feriti col pennato (l'armese che serviva a scavezzare). Nel processo che seguì al fatto, i due contadini furono condannati a oltre 18 mesi il canterino e a 16 mesi il fratello, mentre il socialista che aveva dato la bastonata se la cavò con 15 mesi in considerazione della minore età. Quattro giorni dopo, l'8 dicembre, in un'altra rissa a Carpinello un muratore socialista venne ucciso da un bracciante repubblicano. L'impressione suscitata in Romagna da questi fatti fece sì che i dirigenti dei due partiti lanciassero i più pressanti appelli alla calma e alla pace. Era infatti la terza volta in Romagna che i dirigenti dei partiti popolari dovevano fare concordemente opera di pacificazione. La prima nel 1872, dopo l'uccisione dell'internazionalista Francesco Piccinini a Lugo, per mano repubblicana, e la seconda nel 1891 dopo l'assassinio del socialista Pio Battistini a Cesena, sempre per mano repubblicana... Il 15 dicembre Andrea Costa, Gustavo Chiesi e Ubaldo Comandini si recarono a Carpinello, a Pievequinta e a San Pierino e invocarono la pacificazione degli animi e la concordia dei partiti popolari. Il 14 La Libertà fece uscire un articolo dal titolo “Pace, pace, pace” e il 21 dichiarò di cessare ogni polemica con La Parola dei Socialisti “per amore di Patria e per il bene ed il rispetto degli operai”. Tutto ciò attenuò la tensione, e impedì immediate e più gravi tragedie, anche se si ebbero qua e là in Romagna nuovi gravi, ma fortunatamente isolati, atti di violenza (come una rissa a Ronta, nel cesenate dove tre repubblicani furono feriti con armi da taglio da 12 socialisti o l'uccisione di un socialista da parte di un repubblicano, a Rotta, nel forlivese). Ma non potè mutare i rapporti tra i due partiti: Ferri aveva ormai inferto un colpo mortale alla loro già vacillante alleanza. Nel frattempo, dall'1 al 3 novembre 1901 si tenne in Ancona il V Congresso nazionale del P.R.I. che registrò la conferma a Segretario di Eugenio Chiesa.

 

30 . Conservatori e Liberali 

Mentre nel 1901, come abbiamo visto, si intesificava la lotta fra repubblicani e socialisti (i due partiti dell'Estrema sinistra) per il predominio politico sui lavoratori, soprattutto nelle zone a prevalente tradizione repubblicana, il movimento rivendicativo contadino ed operaio ebbe un'impennata. Dopo la costituzione del governo Zanardelli-Giolitti si ebbero 1671 scioperi con 420.000 scioperanti (contro i 410 dell'anno precedente con 43.000 sciperanti): di questi 629 si verificarono in agricoltura e vi parteciparono quasi 223.000 lavoratori. Di tutti gli scioperi, il 26% ebbe esito pienamente favorevole e il 50% si chiuse con degli accordi di compromesso. L'ammontare degli aumenti salariali venne calcolato in una cifra tra i 150 e i 200 milioni di lire*. Rispondendo a un'interpellanza del Senatore Arrivabene, uno dei maggiori agrari padani, che sollecitava una azione preventiva del Governo per far cessare gli scioperi, Giolitti dichiarò: “...non c'è forza di governo che possa impedire alle grandi masse popolari... non c'è forza umana.... che possa comprimerle in modo da impedire questo moto risorgente. E dal momento che non si può reprimere questo movimento, non v'è altro da fare che regolarlo. Il governo deve essere il più forte, per il mantenimento dell'ordine pubblico...; ma non deve parteggiare per l'una o per l'altra delle classi sociali...Io credo che nelle condizion difficili che noi attraversiamo, sia necessaria una grandissima prudenza; una mossa sbagliata, da parte del governo, può portare a conseguenze molto gravi...Io credo che sia dovere del governo di fare in modo che queste classi sociali si persuadano che esse nel governo non hanno un nemico, ma un'autorità imparziale, che ha fatto quanto può perché sia resa loro giustizia, ma vedano nello stesso tempo nel governo una forza che impedirebbe loro di uscire dalla legalità” . L'attacco conservatore fu portato a fondo da Sonnino che tratteggiò a tinte fosche la situazione del paese: comprendeva benissimo che la posta in gioco era più alta di quella rappresentata dagli aumenti salariali. Ciò che lo preoccupava era l'affermarsi di un movimento operaio e contadino che sfuggiva al controllo delle classi possidenti e diventava loro interlocutore diretto ed autonomo.

“...Il contratto collettivo- precisa Sonnino nel suo discorso in Parlamento del 19 giugno - tende in via generale ad impedire e a rompere continuamente ogni cementarsi di rapporti personali tra le diverse classi, a restringere tali rapporti ad un puro contrasto di interessi materiali contrapposti... Tolto ogni freno alle pretese dei lavoranti, chi potrà garantire la moderazione?” I rimedi potevano essere in leggi che regolassero le controversie di lavoro ma per vararle si sarebbe dovuto “chiederne il permesso” all'Estrema; sicchè non restava che reprimere gli scioperi agricoli mediante il ricorso agli articoli del codice penale (306,311,314) relativi alla omissione di atti che cagionassero grave danno e istituire un arbitrato obbligatorio senza l'intervento dell'autorità politica. Occorreva, secondo Sonnino “un governo forte, sicuro di se, della propria via e della fiducia di una maggioranza costituzionale...Eccitate le passioni, le invidie, i rancori e i puntigli, non è detto che la divisione non duri profonda e insanabile negli animi, inquinando tutte le forme del vivere civile, erompendo di tanto in tanto in torbidi e devastazioni, minando le fonti della prosperità nazionale, impedendo il sorgere di nuove industrie, togliendo la possibilità di resistere alle concorrenze straniere, e mantenendo in uno stato di febbrile instabilità tutti i nostri ordini politici e sociali.....In questo stato di cose, l'opinione universale è purtroppo che il governo, col suo contegno politico, e per le strette aderenze sue coi partiti estremi, anzi per la dipendenza sua del beneplacito loro, contribuisca potentemente ad accelerare in modo pericoloso il movimento di organizzazione delle masse sotto la bandiera socialista.” Alla nuova politica del governo, di rispetto delle rivendicazioni operaie e contadine, non faceva però riscontro una politica riformatrice. Nella primavera-estate del 1901 si dovette registrare il blocco dei tentativi di riforma tributaria portati avanti dal ministro delle finanze Leone Wollemborg. Questa riforma intendeva favorire le classi meno abbienti mediante l'abolizione del dazio di consumo nei comuni in cui veniva riscosso al momento dell'introduzione delle merci, tassate nei negozi che le vendevano al minuto. Tale dazio era il maggior cespite d'entrata delle finanze locali e colpiva duramente le classi popolari specialmente nel Meridione e nelle Isole. Nel 1899 nell'Italia settentrionale le imposte di consumo fornivano il 39,4% delle entrate tributarie degli enti locali, nell'Italia meridionale il 51,9%, nelle Isole il 59,2%..

Il progetto Wollemborg prevedeva l'abolizione del dazio sui fainacei in quasi tutti i comuni e i 40 milioni in meno incassati dallo Stato, sarebbero stati prelevati mediante l'aumento di alcune imposte e tasse tra le quali l'aumento dell'imposta sulle successioni e sulle donazioni che da proporzionale sarebbe diventata progressiva. La commisssione in cui si discuteva il progetto chiese chiarimenti e la sessione parlamentare si chiuse senza che il progetto di riforma tributaria fosse discusso in aula. La proposta fu poi accantonata dal consiglio dei ministri. L'opposizione al progetto non era venuta solo dai conaservatori, ma anche da parte di molti deputati aperti ad una politica liberale. Unici a sostenere la bontà delle proposte di Wollemborg, furono in complesso i partiti dell'Estrema, cioè i socialisti e i repubblicani.

Il comportamento dei deputati repubblicani non modificò l'opinione del PRI sul governo Zanardelli-Giolitti (espressione della istituzione monarchica): il Congresso di Ancona confermò infatti l'opposizione dei repubblicani a quel ministero. Di fronte a gravi casi di indisciplina di parlamentari (come l'accoglimento del progetto Wollemborg) il Congresso approvò un ordine del giorno nel quale si dichiarava “che il gruppo repubblicano sia costituito unicamente dai deputati iscritti al Partito, che accettano i deliberati sui quali il Partito intende impegnare la sua azione pubblica”. Questo documento provocò però la reazione di Napoleone Colajanni e di Edoardo Pantano, i quali dichiararono di uscire dal gruppo parlamentare repubblicano.

Franco Gaeta, La crisi di fine secolo e l'età giolittiana, Torino, Utet, 1982

 

31 . Il Partito Repubblicano mantiene i suoi consensi, con una leggera flessione 

in "continua  1901 - 1904"