Noi repubblicani: da dove veniamo 1901 - 1904

31 . Il Partito Repubblicano mantiene i suoi consensi, con una leggera flessione

La trasformazione dello Stato liberale monarchico ebbe l'effetto di dividere il campo socialista in due tendenze: la riformista e la rivoluzionaria, dopo aver definitivamente acquisito alla propria causa e difesa i radicali. Giolitti favorì la tendenza riformista e si adoperò in ogni modo per tagliar fuori ed isolare le forze politiche basate sulla pregiudiziale nei confronti dello Stato liberale monarchico, costringendole sempre più al margine della vita nazionale. “Era questo, precisamente nella situazione del nuovo secolo, il pericolo che attraversava il Partito Repubblicano, ma si può dire che esso riuscì ad evitare le più gravi conseguenze e a sopravvivere saldamente per due motivi, uno di carattere generale, obbiettivo della situazione italiana, e uno di carattere intrinseco.”* A Pisa, dal 6 all'8 ottobre 1902 si tiene il VI Congresso nazionale, presieduto da Giovanni Bovio, già colpito dal male che di lì a pochi mesi lo condurrà alla morte. Bovio, nelle sue conclusioni invita i repubblicani “ad intensificare la loro azione all'interno delle organizzazioni operaie”. Il Congresso delibera di promuovere “una grande agitazione nel paese contro il militarismo e per il suffragio universale, che integrerà la sovranità nazionale col diritto costituente, come conquista nazionle della eguaglianza e della libertà e come istrumento di rivendicazione economica e sociale.”

Il VII Congresso si tiene a Forlì dal 3 al 5 ottobre. Di fronte al ripetersi di casi di indisciplina che rendono estremamente difficili i rapporti fra il gruppo parlamentare e le organizzazioni del Partito, il Congresso approva un ordine del giorno che dichiara “i deputati repubblicani liberi dell'opera loro rispetto all'azione del Partito, la quale azione deve avere la sua base precipua in mezzo alle organizzazioni operaie e popolari”. Arcangelo Ghisleri svolge un'ampia relazione sulla questione meridionale, sottolineando che “il riscatto del Mezzogiorno richiede una coraggiosa politica di autonomia, l'unica in grado di restituire capacità di intrapresa alle popolazioni meridionali.” Le elezioni del 1904, indette da Giolitti in un momento in cui tutta l'Estrema era compromessa da un esagerato susseguirsi di scioperi, segnarono tuttavia per il PRI una perdita lieve, rispetto a quelle del 1900, che si erano svolte in un clima particolarmente favorevole per i partiti dell'Estrema. Furono eletti deputati Autieri Beretta Giovanni nel collegio di Catania I, Barzilai Salvatore a Roma V, Battelli Angelo a Urbino, Campi Numa a Rocca San Casciano, Celli Angelo a Cagli, Chiesa Eugenio a Massa, Colajanni Napoleone a Castrogiovanni, Comandini Ubaldo a Cesena, De Andreis Luigi a Ravenna II, Dell'Acqua Carlo a Busto Arsizio, Gattorno Federico a Rimini, Guadenzi Giuseppe a Forlì, Luzzatto Riccardo a San Daniele nel Friuli, Mazza Pilade a Roma I, Mirabelli Roberto a Ravenna I, Pansini Pietro a Molfetta, Pantano Edoardo, indipendente, a Terni, Pozzato Italo a Rovigo, Socci Ettore a Grosseto (deceduto nel 1905 e sostituito da Pio Viazzi), Taroni Paolo a Lugo, Valeri Domenico a Osimo, Vallone Antonio a Maglie, Vendemini Gino a Santarcangelo di Romagna, Zabeo Egisto a Mirano (VE). La ripartizione per regioni dei deputati repubblicani, registra un eletto in Lombardia, due in Veneto, nel Lazio, nelle Puglie, tre nelle Marche e in Sicilia, quattro in Toscana, sette in Emilia (Romagna). Per quel che riguarda la Romagna, dobbiamo registrare ancora una volta il rapporto di odio-amore (interessato) tra socialisti e repubblicani.

Nelle elezioni che portarono al PRI i risultati più sopra indicati, in Romagna andarono al ballottaggio i candidati di quattro collegi: a Forlì, tra il conservatore Albicini e il repubblicano Gaudenzi, a Faenza, fra il conte cattolico Gucci-Boschi e il repubblicano Masini, che aveva superato il socialista Bubani, a Rimini fra l'avvocato liberale Aventi e il repubblicano colonnello Gattorno, che aveva superato il socialista Costa, a Ravenna II fra il repubblicano De Andreis e il socialista Ferri (primo caso in Romagna di ballottaggio fra due candidati dei partiti popolari). Le direzioni nazionali del partito socialista e del partito repubblicano avevano stabilito concordemente che ciascun partito avrebbe appoggiato i candidati dell'altro ancora in lizza (in tutta Italia erano andato al ballottaggio complessivamente 23 socialisti e 6 repubblicani). A causa di questa alleanza, indispensabile ai socialisti in numerosi collegi (a Jesi, a Poggio Mirteto, nel II di Roma, nel II di Parma, a Treviso, a Monza, a Sampierdarena, a Genova e a Torino) diventava per Ferri insostenibile la propria candidatura contro De Andreis nel II Collegio di Ravenna (dove quest'ultimo prevaleva per duecento voti) perchè, per vincere avrebbe dovuto avere i voti dei monarchici e dei reazionali (come scrisse lo stesso Ferri ai socialisti ravennati). Perciò invitò i socialisti ravennati a ritirarsi dalla lotta e a raccogliere tutti i loro voti sul nome del repuibblicano De Andreis.

I socialisti ravennati rimasero raggelati “vedendosi tagliati fuori da una lotta che lo stesso Ferri aveva iniziata con tanto calore e senza nessun mistero contro il Partito Repubblicano -scrisse il giornale repubblicano La Libertà sul n.278 del 12 novembre – restavano a bocca aperta leggendo [come aveva scritto Ferri] che nessuna avversione vi era mai stata verso il partito repubblicano: inoltre essi erano lasciati in una ambigua e difficile posizione di fronte alle loro masse e di fronte a noi. Non è possibile passare da un momento all'altro dallo stato di ostilità cronica a quello di amore e di affetto; non è possibile dopo quattro anni di aspre lotte combattute specialmete sul nome di Enrico Ferri rinunciare così ad ogni ragion d'essere del partito e ripiegare la bandiera, proprio mentre le fanfare squillavano invitando alla battaglia”. Anche Forlì i socialisti non intendevano piegarsi alle diliberazioni nazionali di votare Gaudenzi e decisero di astenersi. Le reazioni repubblicane furono immediate, perchè una delle fondamentali condizioni poste dai repubblicani di tanti collegi all'accordo era che i socialisti forlivesi appoggiassero esplicitamente Gaudenzi; perciò la direzione nazionale socialista rivolse formale invito “affinchè i socialisti di Forlì abbiano, a costo di qualunque sacrificio, per il bene supremo del partito, a votare per il candidato repubblicano Gaudenzi che si trova in lotta con il clerico-moderato Albicini” (da Il Pensiero Romagnolo n.39 del 12 novembre). “La decisione fu determinante – scrive Luigi Lotti nel già citato I Repubblicani in Romagna – perchè, se Gaudenzi poteva sperare di battere Albicini anche senza i voti socialisti qualora i votanti fossero stati pressapoco gli stessi della votazione del 23 aprile, ciò diveniva impossibile nella nuova situazione: ché anche a Forlì, così come a Faenza e a Rimini, i cattolici scendevano per la prima volta in campo. A Rimini e a Faenza i socialisti decisero subito spontaneamente di votare per Gattorno e per Marini; in entrambi i collegi la lotta fu accesissima; ma soprattutto fu verso Faenza che si volsero le attenzioni dei Romagnoli. Che in Romagna potesse venire eletto un monarchico era cosa ormai non del tutto usuale, tuttavia tale da non sollevare eccessive rimostranze; ma che vi si verificasse una vittoria cattolica, anche se l'eletto era un monarchico cattolicheggiante, pareva un vergognoso oltraggio.” E l'oltraggio, il primo e non l'ultimo che i repubblicani romagnoli dovettero e dovranno in seguito subire, fu proprio la vittoria del monarchico-cattolicheggiante Gucci-Boschi.

*Bruno Di Porto, Il Partito Repubblicano Italiano, Ufficio stampa del PRI, Roma, 1963.

 

32 . Una necessaria (?) divagazione rispetto a quanto scritto finora (sorry) 

in "riflessione"