Noi repubblicani: da dove veniamo

32 . Una necessaria (?) divagazione rispetto a quanto scritto finora (sorry)

Quando abbiamo iniziato a ricordare “la nostra storia di repubblicani” l' intento era semplicemente quello di fornire un contributo alla conoscenza di un passato nel quale, personalmente ne siamo convinti, andavano e vanno ricercati i principi, i valori e le motivazioni che dovrebbero essere alla base del credo e/o dell'azione politica di chi ancor oggi si sente “repubblicano”, più o meno militante nel PRI, non solo perchè considera inattuali i re e le monarchie, ma perchè ritiene più o meno coscientemente di dover raccogliere l'eredità di quel partito che partendo dalla Giovine Italia, via via evolutasi con nomi diversi fino a quello di Partito d'Azione quando Mazzini era ancora in vita e ne dettava politica e programmi, si presentò infine nel Parlamento del regno d'Italia nel 1895 come Partito Repubblicano Italiano, adottando il simbolo di riconoscimento dell'Edera (che in realtà era il “logo” della Giovine Europa, sottolineato dal motto “Nunc et semper”, mentre simbolo della Giovine Italia era il Cipresso). Abbiamo visto che anche prima di tale data, a partire dal fatidico 17 marzo 1861, esponenti “repubblicani”, cioè mazziniani o cattaneani o garibaldini che avevano partecipato alle lotte risorgimentali, erano presenti nel Parlamento italiano, singolarmente eletti in alcuni Collegi. Non avrebbe senso, sicuramente per chi è ancora iscritto al PRI, sbandierare oggi il fatto il che il partito è nato oltre cent'anni fa e che è l'unico in Italia ad aver mantenuto continuativamente nome e simbolo, se poi ci si limitasse a considerarlo un contenitore per trasportare qualsiasi cosa ci piaccia mutuare dagli altri partiti che oggi vanno per la maggiore. Ci siamo resi conto, strada facendo, che per esigenze di semplificazione e di ovvio spirito di parte, pur essendo attenti al quadro storico di riferimento, abbiamo trascurato di mostrare l'identità di quelli che furono i nostri avversari politici, ad eccezione dei socialisti, nostri “concorrenti” elettorali, oltre che avversari. Ci siamo limitati a scrivere che lo schieramento parlamentare era praticamente diviso in due gruppi disomogenei: la destra conservatrice, i liberali moderati, la sinistra costituzionale da una parte (con radicali in un secondo tempo); dall'altra parte i rivoluzionali, repubblicani e socialisti, ovvero l'Estrema sinistra, costituitasi tra gli esponenti queste due aree politiche in gruppo parlamentare autonomo nel 1877. E che i cattolici, pur agitandosi sul territorio nazionale, erano ancora assenti dall'aula parlamentare come area politica (molti cattolici sedevano in Parlamento tra i conservatori e i liberali). Seguendo questo schema semplificativo abbiamo anche dedicato un capitoletto ai “liberali e conservatori” dando l'impressione che anche costoro fossero organizzati in partiti. Parodiando una frase che avevo già usato in un mio libro (Michele Accursi, spia o doppiogiochista mazziniano?) “chattando s'impara” devo fare alcune aggiunte, a quanto scritto finora. Stando a quel che scrive il politologo Pombeni* : “.....Mazzini torna all'archetipo della religione: La Giovine Italia non è setta o partito, ma credenza ed apostolato. Precursori della rigenerazione italiana noi dobbiamo posare la prima pietra della sua religione......L'esperienza dell'associazionismo mazziniano – continua Pombeni - è centrale nella nostra vicenda politica: non a caso esso sarà l'unico che, pur con molte trasformazioni, sopravviverà alla conclusione dell'epoca risorgimentale dando vita ad un partito vero e proprio (senza contare che parte almeno dei quadri dirigenti di quello che diventerà il partito socialista hanno precise ascendenze in quest'area; per non dire del rapporto – dialettico – che essa ebbe con l'area radicale).” Ma non era questo che volevo dire, anche se ormai l'ho detto: il discorso riguardava le aree politiche che agli esordi del Partito Repubblicano, imperversavano in Parlamento e che, a causa della nostra semplificazione, si potrebbero scambiare per partiti politici, così come abbiamo dimostrato essere il Partito repubblicano e il Partito socialista. Chi deteneva il potere legislativo che sosteneva il governo monarchico, abbiamo scritto erano i conservatori e/o i liberali: in realtà era “un'aristocrazia che non aveva tradizioni di impegno politico come ceto sociale, non era percorsa per formazione da grandi slanci politici. Escludendo le eccezioni personali e qualche rara situazione locale, la aristocrazia e l'alta borghesia erano socialmente e cultuialmente estranee alla politica, per cui esse non riuscivano a produrre alcun progetto politico dotato di una legittimazione sociale immediata. Alle sollecitazioni del governo per organizzare i partiti degli onesti contro la sovversione i prefetti risponderanno negli anni Settanta lamentando la pecorina condotta delle classi possidenti che non dedicano alla politica, al contrario dei nemici dello stato, né tempo né mobilitazione.” * Quando ancora non era stato proclamato il Regno d'Italia, il 21 aprile 1858, Cavour diede questa risposta ad una interrogazione dell'on. Menabrea e di altri deputati subalpini: “L'on. Menabrea..ci disse: questa volontà politica sarà forse accettata dalla parte più colta della nazione, ma il popolo, il vero popolo, il popolo non legale ha un'altra politica. Io sarei lieto di sapere cosa intenda l'on Menabrea del popolo non legale. Io credo che la sola rappresentazione del popolo si trovi in questa Camera. Non so se ci siano altre rappresentazioni; in verità, se pongo mente al nostro sistema elettorale che è uno dei pù liberali d'Europa io credo che sarebbe un errore immenso il dire che la vera opinione della nazione non sia qui fedelmente rappresentata. [votava il 2% della popolazione!] Che questa politica abbia trovato finora appoggio nella maggioranza dei deputati della nazione, è argomento per indurre che il vero popolo legale e non legale la approva”. Pombeni chiosa questa affermazione cavouriana: “Sarebbe errato trarre da queste parole un giudizio di conservatorismo o peggio un giudizio di ripudio del regime liberale. Cavour era un liberale molto conseguente: in una lettera privata scritta il 29 dicembre 1860 (quasi alla fine della sua vita) affermava: “Io credo che si possono fare con un parlamento molte cose che sarebbero impossibili ad un potere assoluto...Non mi sono mai sentito debole tranne che quando le Camere erano chiuse. Dunque non potrei tradire la mia origine, rinnegare i principi di tutta la mia vita. Sono un figlio della libertà e ad essa devo tutto quello che sono”. Solo che questo liberalismo, nota Pombeni, era estraneo al problema della popolazione come organizzazione della società civile come un dato di costruzione: considerava tutto nell'ottica della dialettica tra potere assoluto del Re e la volontà di partecipazione al governo della cosa pubblica da parte di élites politicamente emancipate. Per questo fine il vecchio costituzionalimo era più che sufficiente ed il parlamento era una buona garanzia. 

Anche se tutte le aree politiche presenti nel Parlamento del Regno d'Italia non avevano il supporto organizzativo di partiti, nel senso che intendiamo noi, si riteneva esistessero una destra e una sinistra, con due mezze ali, un centro-destra ed un centro-sinistra: raggruppamenti puramente parlamentari, attorno a personalità singole. I Liberali, per usare una definizione che li distingueva dalla cosidetta sinistra, che non erano un gruppo compatto ma erano frammentati in fazioni aggregate a qualche personalità di rilievo, e che si mantenevano anche dopo la scomparsa dei promotori, non tentarono mai seriamente di scendere sul terreno dell'organizzazione partitica: i centri di elaborzione ideologica e programmatica erano singole personalità od organi di stampa. L'elaborazione delle tattiche parlamentari si faceva sulla base di amicizie personali e di libere discussioni. In una prima fase del Parlamento monarchico, benchè il governo fosse etichettato come governo della Destra, si ebbero vari gruppi di potere - “la Permanente che raccoglieva deputati piemontesi; la Consorteria imperniata su emiliani e toscani; il cosidetto Terzo Partito che faceva capo a Mordini e Correnti; la Sinistra (divisa in vari gruppi: quella meridionale che faceva capo a Nicotera e in parte a Crispi; quella che faceva capo a Depretis; la Sinistra giovane capitanata da De Luca e De Sanctis.” * Solo nel 1904, anche le forze conservatrici monarchiche cominciano ad intravvedere la necessità di darsi una organizzazione partitica.

La piccola borghesia fedele agli antichi miti della monarchia, dell'aristocrazia e della gerarchia, che non era presente, in quanto tale, in Parlamento, intravvedeva nella politica liberal riformista di Giolitti una trasformazione dei meccanismi politici che avrebbe portato, prima o poi il socialismo al potere. Uno dei suoi interpreti e protagonisti, Enrico Corradini, proprio in quell'anno, in un intervento, chiarisce questa posizione politica che ci regalerà, dopo poco più di un decennio, il fascismo. Convinto che la “missione dell'aristocrazia è la politica”, egli scriveva nel 1904 che esistevano sì aristocratici, che come singoli facevano politica, ma che non esisteva una politica aristocratica e un programma di politica aristocratica. *

“Tutta la democrazia ha i suoi programmi, il proletariato, gli avvocati e i professori di ginnasio- scrive Corradini **- ma non ne esiste uno dell'aristocrazia storica e di quella parte della borghesia maggiore che già si avvia ad essere, od è già, per censo, cultura e libertà di esistenza, aristocrazia contemporanea. Singolarmente, tanti giovani delle classi più alte, quando si danno ai negozi pubblici si fanno prendere dal radicalismo ed anche dal socialismo, ad ogni modo dal popolarismo... Collettivamente non esiste, come tutti sanno, neppure l'ombra di una politica delle classi maggiori. E sarebbe bene che questa sorgesse.” Rileva Pombeni che questa politica aristocratica non era che una nobilitazione della chiamata alla milizia politica della borghesia. *Paolo Pombeni, Introduzione alla storia dei partiti politici, il Mulino, Bologna, 1985. ** Enrico Corradini, Scritti e discorsi, Einaudi, Torino, 1980

 

33. I repubblicani, in Romagna, sono diventati totalizzanti 

in "continua 1904 -