Noi repubblicani: da dove veniamo 1907 - 1912

36. In Romagna il primo sciopero di pubblici dipendenti dalla nascita del Regno

Ad acuire maggiormente i rapporti fra repubblicani e socialisti fu un convegno organizzato congiuntamente, nell'ottobre del 1907, dalla Confederazione Generale del Lavoro e dal Partito socialista “allo scopo di regolare i rapporti fra le due organizzazioni economica e politica e stabilirne l'indirizzo comune” (Il Pensiero Romagnolo n.41 del 13 ottobre 1907) che si concluse con un O.d.g., approvato all'unanimità, in cui si asseriva che “l'organizzazione deve essere animata da spirito socialista.... che i sindacati confederati ispireranno la loro propaganda a concetti profondamente socialisti e promuoveranno a mezzo della loro Direzione Centrale, di collaborare assiduamente col partito per il raggiungimento delle idealità comuni,.....che la direzione e il coordinamento degli scioperi economici spetta unicamente alla Confederazione e che al partito spetta invece la direzione di tutto il movimento politico,....e che lo sciopero per un obiettivo politico dovrà pure essere deciso d'accordo tra partito e Confederazione.” (La Libertà n.233 del 10 ottobre 1907). Pochi giorni dopo il Comitato Centrale del P.R.I. votò un O.d.g. di protesta invitante il Consiglio della Confederazione a convocare con urgenza il Congresso delle organizzazioni di resistenza “perchè sia giudicata l'opera del convegno di Firenze e siano in pari tempo eliminate le ragioni che tengono molte organizzazioni fuori della Confederazione stessa.” Frattanto né la Camera del Lavoro di Forlì, né quella di Cesena, né altre Leghe della Romagna aderivano alla Confederazione né, su invito della Confederazione regionale dei lavoratori della terra, aderirono le associazioni agricole.

Durante il terzo Congresso Nazionale dei Lavoratori della terra che si svolse a Reggio Emilia l'intransigenza si attenuò e fu approvato a grandissima maggioranza un ordine del giorno di adesione alla Confederazione Generale del Lavoro con la esplicita affermazione di apoliticità della Confederazione stessa. Per questo, il IX Congesso Nazionale del PRI, che si svolse a Roma dal 3 al 5 maggio del 1908, invitò gli operai repubblicani a partecipare e ad appoggiare la Confederazione.. Il Congresso nella sua deliberazione finale rivendicò anche la laicità dello Stato ed approvò un documento col quale si facevano voti “perchè la scuola primaria sia avocata allo Stato, che devolva alla scuola le somme necessarie perché essa risponda interamente ai suoi fini di educazione civile.”. Ancora una volta (e non sarà l'ultima) dobbiamo riportare un episodio dimostrante la peculiarità romagnola rispetto al resto dell'Italia monarchica. Il 15 novembre di quell'anno scoppiò a Forlì un contrasto fra il Sindaco e la maggioanza del Consiglio comunale che portò alle dimissioni immediate del Sindaco e della Giunta. Il giorno successivo, con un ordine del giorno “in cui falsamente si afferma che l'amministrazione comunale aveva abbandonata la riforma degli organici” (Il Pensiero Romagnolo n. 47 del 22 novembre 1908), gli impiegati comunali deliberarono per acclamazione lo sciopero immediato. Il giorno dopo nessuno si presentò in municipio.

L'impressione susciata da questo fatto fu enorme: era la prima volta in Italia che dei funzionari di pubbliche amministrazioni entravano in sciopero e la cosa parve perciò uno scandaloso esempio di anarchia e di mal costume, cosicchè il Prefetto, rilevato “che lo sciopero...è fatto troppo grave e perturba troppo ogni principio di disciplina e di ordine....” e rilevato “che codesta amministrazione non è riuscita ad assicurare il funzionamento dei servizi comunali e a far valere la propria legittima autorità presso i suoi dipendenti” decretò l'invio di un Commissario prefettizio, con le conseguenti dimissioni del Consiglio comunale. Pochi giorni dopo fu nominato il Commissario Regio che restò in carica oltre sei mesi. Quando si svolsero le elezioni, il 13 giugno, nessun partito osò contrapporsi ai repubblicani così che questi conquistarono sia i seggi di maggioranza che quelli di minoranza.

37. Aumenta il numero degli elettori. Aumentano i voti del PRI ma non in proporzione.

Nella consultazione elettorale del 1909 il PRI riguadagnò i voti che aveva perso nella precedente tornata e ne aggiunse qualche migliaia, ma non in proporzione dell'aumentato numero di votanti: riuscì comunque a conservare i suoi 24 deputati. Furono infatti eletti Dario Baldi nel collegio di Santarcangelo, dove per due legislature era stato eletto Vendemini, Giovanni Autieri-Beretta nel collegio di Catania I, Salvatore Barzilai, in quello di Roma V, Angelo Battelli ad Urbino, Augusto Bonopera a Senigallia, Angelo Celli a Cagli, Eugenio Chiesa a Massa, Napoleone Colajanni a Castrogiovanni, Ubaldo Comandini a Cesena, Carlo Dell'Acqua a Busto Arsizio, Giuseppe Gaudenzi a Forlì, Italo Pozzato a Rovigo, Domenico Valeri a Osimo, Pio Viazzi a Grosseto, Ettore Sighieri a Vicopisano, Domenico Pacetti ad Ancona, Roberto Mirabelli nel collegio di Ravenna I, Pilade Mazza in quello di Roma I, Otello Masini in quello di Firenze I (elezione non convalidata: nelle elezioni supplettive sarà eletto Rodolfo Calamandrei, anch'esso repubblicano), Giuseppe Macaggi a Genova II, Federico Gattorno a Rimini (alla cui morte, nelle elezioni supplettive, sarà eletto il repubblicano Giuseppe Bellini), Francesco Faustini a Terni, Claudio Carcassi a Genova III, Innocenzo Cappa a Corteleona.

Il PRI cominciava a risentire della concorrenza del socialismo “che si presentava ai lavoratori con il doppio vantaggio di essere partito di classe e di immetterli più prestamente nella vita dello Stato e nel godimento delle migliorate condizioni generali della società, auspice il governo Giolitti, che era ben disposto verso di essi, se inquadrati in un Socialismo riformista senza pregiudiziali politiche” * ed istituzionali. “Anche la benevolenza governativa nei confronti dei lavoratori socialisti – è sempre Di Porto che scrive - manifestatasi ad esempio con nette preferenze alle cooperative socialiste a danno delle altre, in primo luogo delle repubblicane, giovò, per altro verso, alla fisionomia sociale del movimento repubblicano nel fatto stesso che gli impedì di diventare il portavoce di una aristocrazia contadina od operaia a danno di strati più bassi dei lavoratori. Questo fenomeno sarebbe stato abbastanza logico data la diversa capacità di attrazione della dottrina mazziniana, fondata su una giustificazione della proprietà e quindi più adatta ad essere compresa e difesa da lavoratori più abbienti o che comunque sperassero di accedere a qualche forma di proprietà, dalla dottrina marxista che invece, negando la proprietà, era più idonea a riscuotere l'appoggio dei diseredati.” La politica giolittiana e socialista vincolò i socialisti in posizioni relativamente privilegiate, restituendo al PRI una funzione di relativo equalitarismo sociale , che si espresse a favore di zone e ceti depressi.

I repubblicani romagnoli, con il ravennate Antonio Bondi, recuperarono posizioni nella organizzazione del bracciantato, già sfera esclusiva d'azione dei socialisti di Nullo Baldini. Il PRI si dedicò inoltre a difendere, nei confronti del Governo, la causa dello sviluppo del Mezzogiorno, dove si distingueva Salvemini nelle sue accuse a Giolitti. Per la soluzione dei gravi problemi meridionali il PRI avanzava richieste federalistiche, insistendo sulla autonomia regionale come metodo per curare da vicino le piaghe trascurate dallo Stato accentrato e per avvicinare quelle popolazioni allo Stato, in misura dei loro bisogni e dei loro iteressi reali. Giolitti, pur con la sua “liberalizzazione della monarchia, non tolse ai epubblicani le basi oggettive che stimolavano il loro programma e le loro proposte; del resto la liberalizzazione giolittiana consisteva più che altro in un allentamento delle rigide norme che favorivano le classi più abbienti ma non arrivavano a quella revisione del sistema e dei costumi che l'opposizione repubblicana veniva continuamente ribadendo e di cui si cominciava a intravedere la necessità.

Se non era più di attualità invocare la Repubblica, come tuttavia i PRI faceva, era di attualità criticare nella monarchia liberale di Giolitti la invadenza dell'esecutivo che impediva, ad esempio, l'indipendenza della magistratura e controllava pesantemente le elezioni.”

* *Bruno di Porto, Il Partito repubblicano, cit.

 

38. I repubblicani si dividono, in politica estera, sulla guerra di Libia

Con la ripresa in grande stile dell'anticolonialismo, in occasione della guerra italo-turca per la conquista della Libia, il PRI potè affrontare le elezioni del 1913, che presentavano la grande novità del suffragio universale (escluse però le donne), ed avere un aumento consistente dei voti oltre a quelli, numerosi, che avevano ottenuto i repubblicani dissidenti (con riferimento alla guerra); l'XI Congresso nazionale, tenutosi ad Ancona dal 18 al 20 maggio 1912, ribadendo le decisioni del Convegno di Bologna dell'ottobre 1911, aveva confermato infatti la sua ostilità all'impresa colonialistica, sottolineando che le risorse del paese erano state ancora una volta distolte dagli impieghi necessari al progresso civile ed economico dell Nazione. “Questo risultato – scrive Bruno di Porto – sfatava la diagnosi, fatta da molti, di esaurimento e consunzione del Partito ed anzi attestava qualche capacità di presa sulle nuove leve sociali immesse nella consultazione elettorale.” 

Tuttavia, col suffragio universale, il PRI, che si era tanto battuto perchè si arrivasse al sistema elettorale precedentemente sperimentato in Italia solo durante la Repubblica Romana del 1849, non riuscì a mantenere la proporzione di votanti con le passate elezioni, per cui retrocesse da 24 a 17 deputati, nonostante il consistente aumento di voti. Il Partito riuscì a eleggere a deputati, fedeli alla politica antinterventistica in Libia: Angelo Battelli ad Urbino, Innocenzo Cappa a Corteleona, Eugenio Chiesa a Massa, Napoleone Colajanni a Castrogiovanni, Ubaldo Comandini a Cesena, Giuseppe Gaudenzi a Forlì, Ulderico Mazzolani nel collegio di Ravenna II, Pietro Pansini a Molfetta, Giovambattista Pirolini nel collegio di Ravenna I; gli otto deputati “dissidenti” eletti furono Giovanni Autieri-Berretta, nel collegio di Catania I, Salvatore Barzilai in quello di Roma V, Carlo Dall'Acqua a Busto Arsizio, Francesco Faustini a Terni, Domenico Pacetti ad Ancona, Rodolfo Rispoli a Castellamare di Stabia, Luigi Saraceni a Castrovillari, Ettore Sighieri a Pisa. La vitalità del Partito, nonostante gli sforzi congiunti fatti da destra e da sinistra per toglierli ogni ragione e ogni possibilità di vita, era però intatta ed accresciuta, come si ricava anche dai rapporti degli osservatori che Giolitti mandava ai Congressi repubblicani per seguirne il corso e a raccoglierne le impressioni.

“Un fattore che ne galvanizzava le forze – scrine ancora Bruno di Porto – era la linea decisa seguita in politica estera, una linea...che rispondeva all'indicazione profonda della coscienza nazionale, che si sentiva a disagio nell'alleanza con l'Austria e la Germania.” E' anche opportuno ricordare come, in qual periodo, fosse costituito il sistema politico dei partiti: i radicali, che si erano costituiti in partito autonomo nel 1904, entravano da tempo nelle coalizioni governative. I cattolici marciavano sempre più verso una presenza integrata nelle strutture politiche non solo a livello amministrativo, ma, dal 1904, anche a livello parlamentare, anche se non si erano costituiti in gruppo autonomo. “In questo clima – conferma Pombeni nella sua Introduzione alla storia dei partiti politici, già citato – una certa svolta fu segnata dal sorgere del nazionalismo.

Prosecutore in una prima fase delle critiche alla mancata realizzazione dell'Italia come nuova grande potenza, il nazionalismo si trovò a poter contare ad un certo momento sull'ondata emotiva suscitata dalla guerra di Libia. L' Associazione Nazionalista Italiana poteva con questa occasione trovare un terreno su cui misurarsi.” Il socialismo era in quel momento una forza in crisi: la conflittualità fra i fautori delle “grandi riforme” (riformisti) e coloro che proponevano di tornare al “programma massimo” (massimalisti) si era preannunciata da tempo. Il numero dei gruppi liberali era molto alto: dalla sinistra ex-zanardelliana, al “partito democratico costituzionale” (promosso dalla massoneria), al centro di Sonnino, ai cosidetti giovani turchi, al gruppo parlamentare liberale, che rappresentava la destra dello schieramento.

 

39. Situazione riepilogativa tra la fine del secolo e l'inizio del '900 (da questo episodio la storia è presa da "Agenda Repubblicana per l'anno 2000 - ed. La Voce Repubblicana"

in " continua inizio '900"

 

Il Partito Repubblicano Italiano si costituiva come forza politica organizzata, dotata di proprie strutture permanenti, alla fine del 1895, in un momento di grave crisi per il Paese, da troppo tempo costretto a misurarsi con le difficoltà crescenti poste dalla velleitaria politica espansionistica voluta dai circoli reazionari raccolti intorno alla corona. Rispetto a questi circoli i repubblicani, negli anni di fine secolo, rappresentarono, sul terreno politico e sul terreno ideale, una valida forza di alternativa che, proprio per il suo rifiuto del dogmatismo ideologico, si dimostrava assai più decisa e assai più concreta di quella che i socialisti tentavano di costruire. A dispetto delle ricorrenti accuse di formalismo, la pregiudiziale istituzionale (il rifiuto cioè di collaborare con la monarchia), che il PRI mantenne ferma nonostante la fine dell'astensionismo, era l'espressione di un progetto di riforma dello Stato che nè i radicali nè i socialisti erano ancora riusciti ad enucleare, gli uni perchè timorosi di compromettere la loro marcia di avvicinamento verso le istituzioni, gli altri perchè incapaci di guardare alla situazione reale del Paese al di fuori dei rigidi schemi dell'ideologia classista. All'agnosticismo istituzionale nel quale socialisti e radicali si erano rifugiati, i repubblicani replicarono sostenendo che le aspirazioni di giustizia e di eguaglianza rischiano di essere vane se non si collegano ad una strategia mirante alla creazione di un nuovo modello istituzionale capace di garantire, attraverso la libertà dei cittadini e l'autonomia dei corpi associativi e degli enti locali, il civile confronto delle classi. Le vivaci polemiche tornate ad accendersi nei primi anni del secolo all'interno della sinistra, preannunciarono il determinarsi di quella condizione di difficoltà in cui i repubblicani si sarebbero venuti a trovare durante tutto il decennio giolittiano.