Dalla Liberazione al dopoguerra e la ricostruzione

44. Dalla Liberazione alla Repubblica

Dopo la liberazione di Roma il PRI non ebbe altra strada se non quella di ribadire la sua volontà di mantenersi estraneo al Comitato di Liberazione Nazionale, ma riconfermò la sua attiva presenza nei CLN provinciali delle zone occupate, nella convinzione che là dove si trattava di combattere i nazifascisti i repubblicani dovevano essere elemento di coesione e di unità.

Tra l'8 settembre 1943 e il 25 aprile 1945i repubblicani dettero il loro pieno contributo alla lotta di liberazione sia nelle brigate di Giustizia e Libertà sia nelle formazioni di partito, le Brigate Mazzini.

Nell'Italia liberata la politica del PRI si caratterizzò, invece, per una serrata denuncia dell'indirizzo seguito dai governi del CLN: una denuncia che non si fondava soltanto sulla pregiudiziale repubblicana, ma traeva motivo dalla considerazione secondo cui non aver interrotto la continuità dello Stato monarchico, del quale era stata per di più tenuta inalterata la struttura, significava porre il Paese in una condizione non facile rispetto agli Alleati che quella continuità avrebbero fatto valere sul tavolo delle trattative di pace.

L'uscita dal conflitto mondiale poneva al Paese grandi e numerosi problemi. Il tessuto economico e sociale dell'Italia era stato troppo a lungo dilacerato dagli anni di guerra, soprattutto nel Nord, dove più cruento era stato lo scontro con le truppe nazi-fasciste, e dove molte vie di comunicazione erano saltate e molte industrie distrutte. La liberazione restituiva agli italiani, dopo vent'anni di dittatura, la libertà di decidere il proprio destino di popolo civile, ma apriva interrogativi ai quali era difficile rispondere se prima non fosse stato definito il problema dell'assetto istituzionale.

La posizione intransigente e radicale del PRI sulla questione istituzionale influì non poco a smuovere gli altri partiti che tutti, tranne il Partito d'Azione, sia pure con accenti e motivazioni diverse, si mostravano alquanto possibilisti nei confronti della monarchia. Ma i repubblicani avevano posto sul tappeto un problema fondamentale per il futuro del Paese, sul quale non erano possibili compromessi. E questa linea mantennero sino al referendum, rifiutando di partecipare a qualsiasi coalizione di governo, sostenendo che monarchia e fascismo erano a tal punto inscindibili che, fino a quando fosse stata in vita l'una sarebbe sempre stato presente l'altro.

Avvicinandosi il referendum istituzionale, i repubblicani, certi della scelta del popolo italiano, chiamarono le altre forze politiche, a confrontarsi, fuori dei dogmatismi ideologici, su quale Italia si dovesse costruire. Nel febbraio del 1946 il partito repubblicano dedicava i lavori del suo congresso nazionale all'esame di un Progetto Costituzionale repubblicano dello Stato, elaborato da Giovanni Conti con la collaborazione di Tomaso Perassi durante l'occupazione nazista. Il Progetto riaffermava la necessità di uscire dalle formulazioni vaghe e generiche e indicava quali principi da porre a base del nuovo patto costituzionale:"un mutamento dei rapporti sociali che renda possibile la moralizzazione della vita pubblica"; "la realizzazione dell'autogoverno effetivo della nazione"; "una democrazia realizzata come organizzazione di libertà locali e generali"; "il principio che la sovranità risiede nel popolo degli italiani".

Il 2 giugno 1946 è la Repubblica. Il Partito repubblicano che aveva guidato la battaglia pe la Repubblica portava alla Costituente 23 parlamentari; nell'autunno gli eletti della lista della Concentrazione Democratica Repubblicana (nata dalla scissione del Partito d'Azione), Ugo la Malfa e Ferruccio Parri, riconoscendo nel PRI la forza politica che più di ogni altra rappresentava gli ideali di intransigenza democratica che erano stati alla base della nascita del Partito d'Azione, entravano nel PRI.

Caduta la monarchia, i repubblicani accettarono per la prima volta di partecipare al governo della nazione assieme ai tre grandi partiti di massa: Cino Macrelli e Cipriano Facchinetti dovevano rappresentarli nel secondo ministero De Gasperi.

La Costituente che deve elaborare la Carta fondamentale della democrazia italiana trova in prima fila i repubblicani, gli unici che già durante la Resistenza si siano posti il problema della costruzione del nuovo Stato democratico. La scelta tra repubblica presidenziale e repubblica parlamentare avviene a favore di quest'ultima, quando l'Assemblea approva un ordine del giorno presentato dal repubblicano Perassi. La nascita delle Regioni (che dovranno attendere oltre un ventennio per essere realizzate) quale riaffermazione dei principi dell'autonomia e del decentramento contro lo Stato accentratore espressione del regime monarchico e fascista, è sostenuta vittoriosamente da Giovanni Conti e da Oliviero Zuccarini contro lo stesso partito comunista, che allora si dichiarava contrario alle autonomie regionali.

 

45. Gli anni della ricostruzione

 L'Italia ha di fronte in quegli anni tutti i gravi problemi che derivano dalla necessità di riassettare il sistema produttivo e di combattere la crescente inflazione postbellica. E' il repubblicano Ugo la Malfa che sottopone all'attenzione dell'Assemblea Costituente i problemi della politica economica e finanziaria secondo una linea di rigore che pone in evidenza la necessità di lottare contro la disoccupazione e di riattivare i meccanismi produttivi. Sono i repubblicani a chiedere che gli aiuti del piano Marshall siano indirizzati verso gli investimenti pubblici produttivi e per riequilibrare gli squilibri economici territoriali. Le scelte dei repubblicani sono così sempre consequenziali alla loro concezione della democrazia intesa come conquista quotidiana e crescita collettiva, al di fuori di schieramenti e griglie ideologiche, proprie di altri partiti che si sforzano di interpretare e misurare la realtà entro canoni prefissati. Il PRI si rallaccia in questo modo alle battaglie e alle tradizioni più significative della democrazia repubblicana del Risorgimento. Vuole essere ed è il partito della ragione. Quando la divisione del mondo in due blocchi provoca la guerra fredda e questa porta alla scelta di campo senza mezze misure, il partito comunista italiano riafferma la sua solidarietà e fratellanza con il Paese che ha realizzato il socialismo, l'Unione Sovietica; a sua volta il partito socialista, che sente prevalere la scelta di classe, conferma il Patto di unità d'azione che lo lega al partito comunista.

Il Presidente del Consiglio De Gasperi, forma un nuovo governo senza i comunisti e i socialisti, che passano all'opposizione. L'unità nazionale è rotta. Il Paese è ormai diviso in due schieramenti: centrismo e frontismo. Il segretario del PRI, Pacciardi, scrive su La Voce Repubblicana:"Il Paese si è polarizzato verso gli estremismi: comunismo e anticomunismo. Noi ci rifiutiamo di dividere il mondo così e di lasciarci trascinare su questo terreno. I repubblicani operano per tentare di ricucire una frattura di cui avvertono tutti i pericoli per la democrazia italiana." "Noi - scrive ancora Pacciardicreeremo una forza di equilibrio, una zona di ragione dove l'aria sarà irrespirabile per tutti i faziosi".

A rendere incolmabile l'abisso tra i due schieramenti intervenne la scissione del partito socialista, con l'uscita del gruppo raccolto intorno a Giuseppe Saragat, che contava quasi sul 50 per cento del partito. Nasceva il partito socialdemocratico. Fu in questo il quadro che il PRI decise di assicurare la propria partecipazione alla formula centrista. Il pericolo di involuzioni dell'asse politico, provato dall'elezione del sindaco di Roma, Salvatore Rebecchini, avvenuta con i voti determinanti della destra, l'impossibilità di avviare un qualsiasi discorso a sinistra, convinsero i repubblicani a collaborare con la Democrazia Cristiana, con il disegno di spingere questo grosso partito, carico di contraddizioni e solcato da forti tendenze conservatrici, verso obiettivi di progresso sociale. I repubblicani entravano nel quarto governo De Gasperi con Randolfo Pacciardi, Carlo Sforza Cipriano Facchinetti. Questo governo arrivò alle elezioni del 18 aprile 1948.

L'accentuarsi delle frizioni internazionali fra Est e Ovest, determinato dal dramma dilacerante vissuto a Praga e la presenza in Italia di un forte partito comunista sempre più saldamente legato al mito del socialismo sovietico, sviarono l'attenzione degli italiani: gli appelli del PRI alla ragione, a non dividersi tra comunisti e anticomunisti, caddero nel vuoto.

La paura "dell'orso" sovietico che poteva invadere il Paese da un momento all'altro era alimentata dalla stessa Democrazia Cristiana e dalle gerarchie cattoliche, sempre pronte a cogliere l'occasione per spostare a destra la Democrazia Cristiana (DC). Anche molti democratici si lasciarono prendere da questo spirito di crociata in attesa dell'ora x che avrebbe salvato o perduto l'Italia.

Il 18 aprile 1948 segnerà a fondo il sistema politico italiano, creando quel bipartitismo imperfetto che avrebbe caratterizzato tutta la vita della nostra Repubblica. I partiti della democrazia laica furono pesantemente ridimensionati nel loro stesso ruolo; la Democrazia Cristiana (DC) aveva ottenuto la maggioranza assoluta. Così alterati i rapporti di forza, non vi era altra alternativa alla partecipazione al governo se non una sterile opposizione senza prospettive. Ma i repubblicani, pur ridotti nella loro rappresentanza parlamentare, seppero mantenere viva l'attenzione sui problemi reali del Paese e sulle loro soluzioni. Pur presenti in uno schieramento centrista, essi tentavano di indicare lo spazio che si apriva ad una sinistra non velleitaria e riformatrice. Era il richiamo alla ragione e al pragmatismo democratico.

 

46. Si preannuncia la svolta lamalfiana

"La considerazione dei problemi economici e finanziari - dirà Ugo la Malfa nel 1949 - non può astrarre dal tempo in cui essi si riferiscono, e una politica che può apparire errata in una certa fase economica, risulta giusta in un'altra e viceversa.

Il PRI si caratterizzava in questi anni come il più tenace assertore di soluzioni pragmatiche per affrontare i grossi nodi del Paese e aiutarlo a liberarsi degli stretti vincoli delle vecchie strutture e delle anguste visioni ideologiche che attanagliavano in una situazione irrazionale la società italiana. Il PRI non ha modelli preconfezionati da offrire, nè palingenesi da auspicare, la sua attenzione è rivolta verso quei Paesi anglosassoni che in nome di una democrazia intesa come ragione, vanno costruendo quella che più tardi verrà definita la società del progresso.

Questo riferimento è essenziale per comprendere tutta l'azione politica dei repubblicani, che, pur nei vari aspetti, dalla politica economica a quella estera a quella delle Istituzioni, può essere ricondotta a questo unico punto di partenza che è l'appartenenza dell'Italia all'Occidente democratico.

Non si comprende bene quanto è avvenuto negli anni del centrismo senza aver presente l'azione svolta dai repubblicani: la necessità di rivitalizzare il nostro sistema agricolo, caratterizzato ancora dal latifondo, di sviluppare un moderno sistema industriale, di aprirci all'Europa e di costruire contemporaneamente un nuovo Stato, imponevano scelte precise e improcrastinabili, alle quali forze politiche e interessi economicirilevanti si opponevano. Ciò nonostante il rigore dell'impostazione repubblicana fu decisivo per la realizzazione di questi obiettivi riformatori che costituivano il nuovo volto dell'Italia industriale. Nel 1949 il PRI con l'impegno di La Malfa pose alla Democrazia Cristiana (DC) in termini alternativi la scelta per una moderna riforma agraria che debellasse il latifondo parassitario esteso soprattutto nel Mezzogiorno. Fu una battaglia non facile a fronte di una Democrazia Cristiana (DC) maggioritaria e nella quale molti erano gli interessi latifondistici, e di un Partito Liberale Italiano (PLI) che si andava caratterizzando come forza conservatrice e di destra.

La Democrazia Cristiana (DC) dovette accettare l'impostazione repubblicana e il Partito Liberale Italiano (PLI) passò all'opposizione rimanendovi per l'intera legislatura, contrastando tutte le principali realizzazioni: riforma agraria, liberalizzazione degli scambi, Cassa per il Mezzogiorno.

Battaglie non facili da condurre in un quadro politico che vedeva il Partito Comunista Italiano (PCI) e il Partito Socialista Italiano (PSI) pregiudizialmente ancorati al mito della rivoluzione socialista, sostanzialmente indifferenti a quanto si poteva realizzare nel Paese; i partiti della destra monarchica e fascista, Movimento Sociale Italiano e Destra Nazionale (MSI-DN) in crescente risalita; il Partito Liberale Italiano (PLI) a difesa degli interessi più conservatori; la Democrazia Cristiana (DC) sempre sensibile ai richiami integralistici del Vaticano.

Pur in presenza di tante difficoltà, la riforma agraria, primo decisivo passo verso la modernizzazione delle strutture economiche fu realizzata; e nello stesso anno, 1950, fu creata la Cassa per il Mezzogiorno, primo tentativo di dare centralità al problema del Mezzogiorno e alla soluzione dei suoi storici problemi attraverso un massiccio intervento di capitale pubblico.

L'esperienza alla quale il PRI guardava era quella della Tennesee Valley Authority che il governo democratico di Roosevelt aveva realizzato nel quadro delle iniziative per uscire dalla grande depressione. Non furono poche le opposizioni ai timori di quanti non credevano e non volevano l'intervento dello Stato, fermi ad una concezione ottocentesca dello Stato liberale. A questi il PRI contrapponeva una concezione moderna dell'economia che doveva fare i conti con i problemi endemici rappresentati da gravi squilibri territoriali.

"Voi volete trasformare il Mezzogiorno col liberalismo economico, con la libertà economica? - dirà Ugo la MalfaMa cosa volete che la libera iniziativa possa creare nel Mezzogiorno quando gli elementi strutturali e fondamentali, dalle case alle bonifiche, dall'acqua alle fognature, ai mezzi di comunicazione non ci sono?"

Erano le premesse di quella politica di programmazione che il PRI porrà a base della svolta di centrosinistra e che riproporrà negli anni dell'emergenza come unica via per uscire dall'inflazione e ridare vigore al sistema economico.

47. PRI unico partito per un Paese migliore

in "continua 1951 - 1971"