Marianne Adelaide Hedwig Dohm (1831 – 1919)

Marianne Adelaide Hedwig Dohm, nata Schlesinger (Berlino, 20 settembre 1831 – Berlino, 1º giugno 1919).

 

1919 - 1945 L'antifascismo e l'europeismo dei repubblicani è dalla prima ora

Da Agenda Repubblicana per l'anno 2000 edita dalla Voce Repubblicana, donataci da Giancarlo Parma nel 2005, integrata da noi con qualche altro dato preso qua e là in internet 

03/08/1919 Ancona (Torrette): Ezio e Olinto Giambi cadono vittime del fascismo

20/12/1920 Ferrara: i repubblicani vengono aggrediti da squadre fasciste

14/04/1921 Livorno: il Circolo Repubblicano dopo tre ore di lotta cruenta è invaso e incendiato dai fascisti coadiuvati dalla forza pubblica.

14/07/1921 Treviso: la federazione provinciale del PRI viene saccheggiata da un migliaio di fascisti

13/11/1921 Roma: sciopero generale contro le violenze fasciste

26/04/1922 Ravenna: conflitto tra repubblicani e nazionalisti

26/07/1922 Ravenna: le organizzazioni repubblicane vengono assalite dai fascisti. Si contano nove morti

28/07/1922 Ravenna: Dino Silvestroni cade vittima del fascismo

12/08/1922 Russi (RA): Stefano Ricci cade vittima del fascismo

18/09/1922 Jesi: la Camera del lavoro guidata dai repubblicani è devastata dai fascisti

08/10/1922 Ortona a Mare: la sezione repubblicana è invasa e devastata dai fascisti

28/10/1922 Il governo proclama lo stato d'assedio: intorno a Roma si trovano le colonne fasciste che contano 25000 uomini (armate male e in parte)

29/10/1922 "La Voce Repubblicana" dopo l'ordine di chiusura del giorno prima, esce con la data del 30, in una sola pagina

31/10/1922 Vittorio Emanele III affida il governo dell'Italia al capo del fascismo Benito Mussolini. I repubblicani, fermi oppositori del fascismo, invocano, contro la monarchia, la Repubblica

31/10/1922 Roma: i fascisti bruciano in piazza Colonna 10.000 copie de "La Voce Repubblicana"

17/11/1922 Giovanni Conti a nome del PRI parla alla Camera contro il governo Mussolini

23/11/1922 Roma: violenze fasciste contro i repubblicani a Cisterna di Roma, a Farentino e a Monte Compatri

16/12/1922 Roma: XVI congresso del PRI. Luigi De Andreis afferma che: "Noi abbiamo il dovere di rimanere in piedi quando tutti sono in ginocchio. Se il PRI tornasse indietro, questo vecchio insorgerebbe e rivendicherebbe la sua libertà d'azione." Il congresso delibera di "persistere nelle proprie direttive di rigida e fervida intransigenza" contro il fascismo

08/01/1923 La sezione del PRI di Nola è devastata dai fascisti

11/01/1923 Nola: il fascista Gaetano Santaniello uccide la moglie, Ceci Filomena, fervente repubblicana

26/01/1923 Forlì: la sede dell'Unione Comunale del PRI e tredici sezioni repubblicane della provincia sono devastate dai fascisti

29/01/1923 Forlì: occupazioni fasciste dei circoli repubblicani delle frazioni Ronco, Selva, Banolo, Durazzanino, Malmissole, Branzolino, Villagrappa, Roncadello, S.Giorgio, Barisano, Poggio, Fiumana e San Martino in Strada. Ovunque i repubblicani si rifiutano di aderire ai Fasci. Anche a Forlì sono invase le sedi del Circolo "Papa" e dell'Unione "Saffi"

26/02/1923 Farentino (Frosinone): alcuni giovani vengono arrestati perchè cantano inni repubblicani

13/04/1923 Il Congresso del PPI (Partito Popolare Italiano) delibera di collaborare con la dittatura di Mussolini

17/04/1923 Le sedi del PRI di Alfonsine (RA) e Cervia (RA) vengono assalite dai fascisti. Quella di Livorno viene incendiata.

19/04/1923 Il Governo del re vuole abolire la festa del 1° maggio

28/04/1923 Siracusa: i fascisti bruciano la Voce Repubblicana" ed intimano ai rivenditori, pena la distruzione delle edicole, di respingere il giornale.

05/07/1923 Forlì: le sedi repubblicane vengono devastate e incendiate dai fascisti

22/07/1923 Forlì: le sedi repubblicane di Fiumana, San Lorenzo e San Martino in Strada sono invase dai fascisti

05/08/1923 San Martino in Strada (Forlì): la sede del circolo repubblicano viene rubata dai fascisti per farne la sede del fascio locale

08/11/1923 Pomigliano D'Arco: i fascisti profanano la tomba di Matteo Renato Imbriani e di Felice De Cicco

18/11/1923 Il repubblicano Giulio Capanni, decorato di guerra, cooperatore, muore per le ferite riportate da un pestaggio fascista

26/11/1923 Roma: il Governo fascista teme il successo del prestito promosso a favore de "La Voce Repubblicana" e ne denuncia i promotori all'autorità giudiziaria. Sono ordinate perquisizioni nei locali della Tipografia e dell'Amministrazione del giornale e presso tutte le sezioni repubblicane d'Italia. Il PRI risponde alle violenze governative sostituendo il prestito con una sottoscrizione nazionale per la libertà e la diffusione della stampa repubblicana

03/12/1923 Forlimpopoli : sono uccisi Artusi e Roncucci, valorosi repubblicani

10/01/1924 Forlì: il "Pensiero Romagnolo", giornale repubblicano locale, è costretto, per le ostilità dei fascisti, a sospendere le pubblicazioni

22/03/1924 Bari: i fascisti invadono e devastano i locali del giornale repubblicano "Humanitas" diretto da Piero Delfino Pesce

18/08/1924 Il cadavere dell'On. Matteotti è riconosciuto ufficialmente. Il riconoscimento avviene per la somiglianza del teschio. Il corpo era staccato dalla testa e ridotto quasi esclusivamente al solo scheletro.

06/04/1924 Treviso: i fascisti, clamorosamente battuti, nella lotta elettorale dai repubblicani, sfogano la loro rabbia devastando i locali del settimanale repubblicano "La Riscossa"

10/06/1924 Giacomo Matteotti, deputato socialista, viene aggredito e rapito dai fascisti sul lungotevere. Verrà assassinato

27/06/1924 Nella commemorazione di Matteotti, in analogia con la secessione dei plebei sull'Aventino dell'antica Roma, i gruppi di opposizione del fascismo si ritirano "sull'Aventino delle loro coscienze" e decidono di non partecipare più ai lavori della Camera.

09/08/1924 Carrara: viene sequestrata "La Sveglia repubblicana"

15/08/1924 Scoperto il cadavere di Matteotti alla Quartarella, presso Riano, a 22 Km da Roma, malamente sepolto in una fossa lunga un metro e venti centimetri

16/08/1924: Trieste: viene sequestrato il settimanale repubblicano "L'Emancipazione"

06/10/1924 Si inaugura il Congresso del PLI che approverà un odg centrista senza dichiararsi contrario al governo fascista

22/10/1924 La Voce Repubblicana riceve la seconda diffida prefettizia

03/01/1925 Alla Camera Mussolini si assume "la responsabilità politica, morale storica di tutto quanto é avvenuto" (delitto Matteotti) per una piena "normalizzazione": inizia di fatto la tirannide.

01/05/1925 Benedetto Croce pubblica sul Mondo "la risposta di scrittori, professori e pubblicisti italiani" in risposta al "Manifesto degli intellettuali fascisti" presentato da Giovanni Gentile

30/10/1926 Sono soppressi tutti i partiti e tutti i giornali di opposizione. Per sfuggire all'arresto molti militanti e dirigenti del PRI sono costretti a prendere la via dell'esilio

01/11/1926 "La Voce Repubblicana", per ordine del governo, viene chiusa insieme ad altri giornali di opposizione tra i quali "Il Mondo" e "Il Risorgimento"

09/11/1926 la maggioranza fascista della Camera dei deputati dichiara decaduti i parlamentari dell'opposizione

04/12/1926 Parigi: si costituisce il primo "comitato di collegamento e di intesa" tra i partiti antifascisti

01/05/1927 Parigi: esce il primo numero de "La libertà", organo della concentrazione antifascista costituita dal PRI, dai partiti socialisti, dalla Confederazione generale del lavoro e dalla Lega Italiana dei diritti dell'uomo

04/1928 Ugo La Malfa ha contatti con la Giovine Italia, associazione clandestina forte di una cospicua presenza di elementi repubblicani e democratici. Insieme a Pilo Albertelli, Gino Luzzatto e altri è arrestato, nell’aprile dello stesso anno, con l’accusa di aver partecipato all'attentato della Fiera di Milano. Il 9 luglio gli viene inflitta la pena dell’ammonizione, tramutata in seguito in diffida. E’ licenziato dall’Istituto Nazionale per l’Esportazione e si trasferisce a Palermo dove lavora all’ufficio studi del Banco di Sicilia.

23/05/1929 Benedetto Croce interviene al Senato nel dibattito per la ratifica dei patti lateranensi denunciando il tradimento del principio fondamentale "libera Chiesa in libero Stato" che era stao alla base della costituzione unitaria

29/06/1929 Parigi: II congresso dell'esilio del PRI. Viene ratificato l'accordo con i repubblicani spagnoli sottoscritto il 07/10/1928 a Bordeaux: un patto di reciproca solidarietà firmato per il PRI da Eugenio Chiesa e Cipriano Facchinetti e per gli spagnoli da Miguel de Unamuno ed Eduardo Ortega Y Gasset

27/07/1929 Dopo la fuga dal confino di Lipari giungono a Parigi E.Lussu, C.Rosselli e F.F.Nitti, che nell'autunno dello stesso anno fondano al grido "archiviamo le tessere" il movimento di Giustizia e Libertà, con lo scopo di unire in un'unica formazione nella lotta antifascista repubblicani, socialisti e democratici

22/06/1930 Muore in esilio Eugenio Chiesa, deputato del PRI, eletto per la prima volta alla Camera nel 1904. Strenuo assertore della politica anticolonialista e fervente irredentista si battè contro la Triplice Alleanza

11/07/1930 Milano: il repubblicano Gioacchino Dolci e Giovanni Bassanesi volano sulla città e lanciano volantini propagandistici di Giustizia e Libertà

30/10/1930 Sono arrestati Ferruccio Parri, Ernesto Rossi, Nello Traquandi, Umberto Ceva e Riccardo Bauer e altri 19 dirigenti milanesi di Giustizia e Libertà

30/05/1931 Ferruccio Parri è processato insieme agli altri capi del gruppo milanese di Giustizia e Libertà. Verrà inviato al confino

17/08/1936 Barcellona: si costituisce una "colonna italiana" di combattenti comandata dal repubblicano Mario Angeloni e da Carlo Rosselli. Le forze antifasciste convinte che in Spagna si combatte una guerra decisiva per le sorti della democrazia in Europa decidono di intervenire nella guerra civile

28/08/1936 Nella battaglia di Monte Pelato muore in Spagna nel corso della guerra civile il repubblicano Mario Angeloni, comandante della "colonna italiana"

30/09/1936 il repubblicano Giordano Viezzoli, componente della "squadriglia Malraux" durante la guerra di Spagna, cade colpito dai fascisti nel cielo di Toledo

27/10/1936 Parigi: Cipriano Facchinetti firma insieme a Pallante Rugginenti e Romano Cocchi l'atto costitutivo del "Battaglione Garibaldi" che inquadra oltre 500 volontari italiani in difesa della Repubblica spagnola. Il comando del battaglione viene affidato al repubblicano Randolfo Pacciardi. Si organizzerà in quattro compagnie chiamate con i nomi di quattro caduti antifascisti (Angeloni, De Bosis, De Rosa e Sozzi) e da novembre verrà impiegata nella difesa di Madrid

11/02/1937 Randolfo Pacciardi, comandante del "battaglione Garibaldi", viene ferito in Spagna negli scontri con i fascisti.

31/08/1938 Sono assunti dal Governo fascista una serie di provvedimenti contro gli ebrei: espulsione degli ebrei stranieri, esclusione dall'insegnamento nelle scuole dello Stato, perdita della cittadinanza se ottenuta dopo il 1918

09/11/1938 Nuovo decreto antisemita: gli ebrei non possono ricoprire cariche pubbliche, sono esclusi dal servizio militare e dalla pubblica amministrazione, subiscono limitazioni nelle attività economiche e non possono unirsi in matrimonio con gli italiani di "razza ariana"

19/1/1939 La Camera dei deputati viene soppressa. E' istituita la Camera dei fasci e delle corporazioni

07/09/1939 Il PRI insieme a Giustizia e Libertà, il PSI la Lega dei diritti dell'uomo rivolge alla Francia la richiesta di accogliere nell'esercito francese una legione italiana a testimonianza dell'adesione dell'Italia alla lotta antifascista

10/06/1940 L'Italia dichiara guerra alla Francia e alla Gran Bretagna. Entra così nella II guerra mondiale

11/12/1941 Germania e Italia dichiarano guerra agli USA 

20/1/1942 La "soluzione finale": il piano di sterminio degli ebrei in Europa è approvato da Hitler

04/06/1942 Roma: nasce il Partito d'Azione (Pd'A). Nella casa dell'avvocato Federico Comandini viene costituito dall'unione di Giustizia e Libertà e il movimento liberal-socialista

27/08/1943 Milano: Altiero Spinelli fonda il "Movimento Federalista Europeo"

16/10/1943 Roma: rastrellamento del Ghetto. 1024 ebrei sono deportati nei campi di lavoro forzato e sterminio nazisti; ne ritorneranno 16 a guerra finita

02/11/1943 Lugano: Leo Valiani e Ferruccio Parri del Partito d'Azione chiedono, in un incontro con i servizi segreti americano e inglese, aiuti militari per le formazioni partigiane

22/01/1944 Cesena: Mario Guidazzi, nato a Cesena il 20 febbraio 1897, repubblicano, apparteneva a famiglia repubblicana. Dopo essere stato licenziato dalla BNL per non avere la tessera fascista, lavorava come direttore della CAFIOC a Ferrara. Il 22 gennaio 1944, tornava dal lavoro e per recarsi più in fretta dalla moglie (l’abitazione era in corso Comandini), incinta all’ottavo mese, sebbene sconsigliato, imboccò il vicolo della stazione, sbucando in corso Cavour proprio mentre passava un corteo fascista che andava a prelevare dall’adiacente ospedale la salma di Ivo Piccinini (un milite ferito da un GAP la sera del 18 gennaio e morto il 21 successivo) e celebrarne il funerale. Guidazzi, riconosciuto come cognato di Cino Macrelli, all’epoca tra i maggiori esponenti repubbllicani dell’antifascismo cittadino (poi fu anche deputato alla Costituente e ministro della Repubblica), fu prima minacciato e picchiato da militi del battaglione Guardia del Duce e infine ucciso. Oltre alla moglie lasciava due figlie; il terzo sarebbe nato due giorni dopo.

24/03/1944 Roma: Eccidio Fosse Ardeatine - 335 detenuti politici sono condotti in una cava lungo la via Ardeatina dove Kappler procede alla loro esecuzione. Tra loro Pilo Albertelli, uno dei comandanti militari del Partito d'Azione

03/12/1944 Cuneo: il mazziniano Duccio Galimberti, comandante delle brigate Giustizia e Libertà, è catturato, torturato e fucilato

31/12/1944 Milano: Ferruccio Parri cade in mano dei nazisti

25/04/1945 Il Comitato di liberazione nazionale proclama l'insurrezione. Le formazioni partigiane liberano le principali città italiane

15/08/1977 Herbert Kappler responsabile nel 1944 del massacro delle Fosse Ardeatine, evade dall'ospedale militare del Celio di Roma. PRI e PCI chiedono le dimissioni del ministro della difesa Vito Lattanzio, che accollerà la responsabilità della fuga all'arma dei Carabinieri

 

                                          

Ana Maria De Jesus Riberio detta Anita Garibaldi (1821 - 1849)

Ana Maria De Jesus Riberio nasce vicino alla città di Laguna, all’estremo Sud del Brasile, nello stato di Santa Caterina. È la terza di dieci figli. Riceve un’educazione elementare, ma dimostra sempre intuito e intelligenza. Sa cavalcare a pelo con una grande destrezza ed è anche una esperta nuotatrice. Alla morte prematura del padre, la famiglia Riberio cade in una estrema povertà ed è per avere meno bocche da sfamare che la madre cerca di accasare le figlie maggiori, ancora giovanissime. Anita sposa Manuel Giuseppe Duarte, un calzolaio, occasionalmente pescatore, conservatore e reazionario, all’età di 14 anni e si trasferisce a Laguna.

Il matrimonio dura pochi, difficili, anni. Del marito di Anita non si sono mai avute notizie certe e si fanno molte ipotesi. Forse la più attendibile è quella avanzata da Gustavo Sacerdote, biografo di Giuseppe Garibaldi che, in un testo pubblicato nel 1933, sostiene che Duarte morì in un naufragio durante una battuta di pesca.

È l’anno 1839 e Garibaldi arriva con tre lancioni per prendere Laguna e costituire la Repubblica Juliana. Il Brasile si era reso indipendente dal Portogallo, ma le cose erano cambiate assai poco, il paese infatti è retto da un imperatore. Alcuni stati aspirano all’indipendenza, compreso quello di Santa Catarina. Garibaldi, sfuggito a chi lo aveva condannato a morte in contumacia per avere partecipato ai moti carbonari e per essere iscritto alla Giovane Italia di Mazzini, si era rifugiato in America Latina, prendendo subito parte a insurrezioni locali. Questo il contesto storico-politico di quell’anno.

Dalla sua nave Garibaldi scruta la terraferma con un cannocchiale e scorge un gruppo di ragazze che passeggiano lungo la riva. Fa calare una scialuppa per raggiungere e vedere da vicino quella che lo ha particolarmente colpito. Fu però la sera stessa che – nella casa in cui era stato invitato – incontra proprio la giovane che così tanto desiderava conoscere. Nelle sue memorie Garibaldi scrive che rimase fulminato dal suo aspetto e dalla sua personalità. Quando riceve l’ordine di salpare, Anita vuole a tutti i costi imbarcarsi con lui.

È molto difficile, raccontando la storia di Anita, districarsi tra storia e leggenda. Al di là di ogni romantico racconto, Anita condivise veramente gli ideali politici del suo Josè, come lei lo chiama, e lo segue ovunque, nei pericoli e nelle battaglie. Tuttavia, pare che una forte motivazione sia stata anche quella della gelosia. Giuseppe e Anita si sposano quando viene accertata la morte del primo marito.

Nel 1840 le varie spinte secessioniste locali vengono definitivamente soppresse dal governo centrale e Garibaldi organizza la ritirata. Anita, che non è riuscita a scappare con lui, è però riuscita a sfondare l’assedio quando il suo cavallo viene abbattuto. È costretta ad arrendersi e, convinta che il suo Giuseppe sia morto, prega il nemico di poter cercare il corpo del marito tra i cadaveri nel campo di battaglia. Non lo trova, così decide di rubare un cavallo e – durante la notte – di tentare la fuga.

Anita era incinta di sette mesi e, aggrappata alla coda di un cavallo, guada un fiume, affluente dell’Uruguay. Finalmente raggiunge la fazenda di San Simon, dove si ricongiunge con Garibaldi. È qui che nasce il primo figlio, che viene chiamato Menotti, in onore di Ciro, martire del Risorgimento.

Ad appena dodici giorni dal parto, mentre Garibaldi è assente, una improvvisa incursione la costringe a un’altra fuga. Avvolge il piccolo Menotti in un fazzoletto che lega a una spalla e, stringendolo al seno, fugge a cavallo. Garibaldi la trova esausta al margine di una foresta. Anita e Giuseppe hanno una vita disseminata da pericoli, sacrifici e povertà, anche perché lui ha sempre rifiutato i compensi che i governi dei popoli da lui aiutati gli avevano spontaneamente offerto.

Quando la piccola famiglia si trasferisce a Montevideo, in una piccola casa in affitto, nascono altri tre figli: Rosita, che porta il nome della nonna paterna e muore a due anni, Teresita, a cui viene dato il nome della sorella di Garibaldi, e Ricciotti, cognome del patriota fucilato con i fratelli Bandiera.

Nel frattempo, in Italia, stanno maturando eventi nuovi e Garibaldi può essere di grande aiuto al suo amato Paese. Decide di farsi precedere da Anita e dai bambini: Menotti ha sette anni, Teresita due e Ricciotti appena uno. Si imbarcano il 27 dicembre del 1847 per raggiungere Nizza, dove li attende la nonna Rosa, madre di Giuseppe. Quattro mesi dopo parte anche Garibaldi, per partecipare agli eventi del 1848.

Quando, nel 1849, fu proclamata la Repubblica Romana, con a capo il triumvirato Mazzini, Armellini e Saffi, Garibaldi viene eletto come deputato da Macerata.

Anita potrebbe rimanere al sicuro a Nizza coi suoi figli, ma più volte decide di raggiungere il marito a Roma, mossa dalla condivisione degli stessi ideali, ma forse anche da quella gelosia che, a parere unanime dei biografi, la attanaglia.

L’ultimo viaggio – da Nizza a Roma – lo compie in giugno. Era incinta di quattro mesi e la Repubblica Romana era già ai suoi ultimi giorni, perché Pio IX aveva chiesto aiuto agli eserciti spagnolo, francese e borbonico. Da un racconto di Alessandro Dumas, generale garibaldino, si apprende che Anita appare davanti a Garibaldi che, fra lo stupore, il dispiacere e la gioia di vederla in una circostanza così drammatica, la presenta con queste parole: «Questa è Anita, ora avremo un soldato in più!».

Quando la Repubblica di Mazzini cade, Garibaldi e le sue camice rosse fuggono da Roma, Anita si taglia i lunghi capelli, si veste da uomo e parte a cavallo a fianco di Josè, che aveva pronunciato a Piazza San Pietro il famoso discorso passato alla storia: «… Io non offro né paga, né quattrini, né provvigioni, offro fame, sete, marce forzate e morte. Chi ha il nome d’Italia non solo sulle labbra ma nel cuore, mi segua». Queste parole erano rivolte fatalmente anche ad Anita. I soldati di cinque eserciti li seguono e l’intenzione di Garibaldi e della sua colonna è quella di raggiungere Venezia e sostenere la repubblica di Manin. Il generale e le sue truppe attraversano l’Appennino, trovando sempre sostegno nelle popolazioni. Molti avrebbero anche ospitato e curato Anita, che nel frattempo aveva contratto la malaria, cercando di convincerla a fermarsi, ma lei vuole proseguire.

Molti sono i racconti, veri e romanzati, degli incontri che hanno durante la loro fuga. Si dice che in Romagna, non potendo più indossare abiti maschili per il suo stato di gravidanza, le viene offerto un abito chiamato “barnus”, dal termine arabo “burnus”, che i contadini – uomini e donne – usavano nei lavori di campagna.

Garibaldi, Anita e 160 volontari raggiungono Cesenatico, dove si imbarcano, ma nei pressi di Goro iniziano dei cannoneggiamenti e sono costretti a sbarcare a Magnavacca, oggi Porto Garibaldi. La fuga prosegue a piedi o con mezzi di fortuna, aiutati da cittadini di ogni estrazione sociale, in un territorio più sicuro, ma molto faticoso, attraverso zone vallive tra terra e acqua. Raggiungono la fattoria dei conti Guiccioli, presso Mandriole e qui vengono ospitati da Stefano Ravaglia, fattore del conte.

Anita, ormai priva di conoscenza per la malattia e gli stenti, viene deposta su un letto dove muore poco dopo fra le braccia del suo Josè. Anita è morta in un luogo del tutto simile alla terra in cui è nata: una terra lagunosa, tra sabbia, specchi d’acqua e canneti. Le circostanze drammatiche non permettono però a Garibaldi di rimanere a piangere la moglie e, sollecitato dal fedele capitano Leggero, deve ben presto riprendere la via della fuga.

Alla morte drammatica segue un’altra tragedia. Per timore di essere scoperti come aiutanti di Garibaldi, i Ravaglia seppelliscono il suo corpo in un campo da pascolo chiamato Pastorara, dove viene scoperto da tre pastorelli. Seguono giorni di ricerche e di denunce. Il corpo della donna sconosciuta viene sepolto nel cimitero di Mandriole, per poi essere traslato all’interno della chiesa.

Dopo dieci anni, al termine della II guerra di indipendenza, dopo il plebiscito per le annessioni delle terre di Romagna al Regno d’Italia, Garibaldi, coi figli Menotti e Teresita, giunge a Mandriole per ritirare le spoglie di Anita e trasferirle al cimitero di Nizza. I giorni della macchia sono lontani e il Generale, eroe di tante battaglie, viene ricevuto con grandi onori. Nizza non è però l’ultima dimora del corpo di Anita.

Nel 1931 il governo italiano chiede il permesso al sindaco della città natale di Garibaldi di spostare i resti a Roma, al Gianicolo. Il monumento della sepoltura la rappresenta a cavallo col figlioletto al collo in atteggiamento di galoppo.

La vita di Anita fu brevissima, morì a soli 28 anni, ma conobbe i sentimenti più veri e più forti, visse una vita di rinunce e delusioni, ma ciò che scelse ripetutamente con determinazione e coraggio la rendono tutt’ora unica.

La terra dove è morta l’ha amata e la ama ancora profondamente. Ogni anno, il 4 di agosto, giorno della sua morte, nell’aia della fattoria Guiccioli, ora museo, si cantano le canzoni che parlano di lei e un gruppo di giovani vestiti da garibaldini con fucili ad avancarica, agli ordini di un ufficiale sparano a salve al grido: «In onore di Ana di Riberio Garibaldi!». In Romagna molte donne portano ancora il suo nome.

Menotti Garibaldi partecipa nel 1859 alla spedizione dei Mille. Riceve la Medaglia d’oro a Bezzecca nel 1866. È deputato per Velletri fino al 1900.

Ricciotti Garibaldi combatte a Bezzecca e a Mentana. Combatte anche a Domokos per la libertà della Grecia. I suoi figli, Bruno e Costante, cadono nella battaglia delle Argonne. Il figlio Sante muore a Dachau nel 1944. Il figlio Ezio diventa generale e viene decorato durante la prima guerra mondiale.

Teresita Garibaldi sposa un ufficiale garibaldino, Stefano Canzio, e avrà dodici figli.

Ana Maria De Jesus Riberio detta Anita Garibaldi (1821 - 1849)

Giuseppe Garibaldi (1807 - 1882)

Nasce a Nizza il 4 luglio 1807. 

Dopo aver aderito alla Giovine Italia e alla Govine Europa, preso parte a moti insurrezionali in Italia, visse alcuni anni (1835-48) in America, combattendo gratuitamente per l’indipendenza di vari Paesi e la libertà dei loro popoli.

Rientrato in Italia, partecipò al governo provvisorio di Milano e, dopo la proclamazione della Repubblica romana, la difese in armi divenendo da quel momento per tutti, l'eroe dei due mondi. Dopo la riconsegna del trono al papa-re Pio IX ad opera della Francia, convinse tremila difensori della gloriosa repubblica a seguirlo per portare in salvo la Costituzione  e per soccorrere la Repubblica di Venezia che ancora resisteva. Braccato con i nostri da quattro eserciti (spagnolo, borbonico, francese e infine austriaco) trovò rifugio e sciolse la legione nell'antica terra della libertà, la Repubblica di San Marino. Di lì con poco più di duecento dei suoi legionari e la moglie Anita in cinta al quinto mese, prosegue per Cesenatico, dove si imbarcano per andare a salvare Venezia. Dispersi e arrestati dagli austriaci in Adriatico, trovò scampo grazie ai romagnoli, nella palude ravennate, dove morì la moglie Anita e da cui fuggì rocambolescamente in quella che ancor oggi è ricordata come la trafila per Garibaldi. Gli eredi di quel tragico e glorioso salvamento sono oggi associati in un sodalizio denominato Associazione del Capanno Garibaldi, ubicato nella pineta ravennate dove morì l'Anita.

Dopo il salvataggio reso dai tanti patrioti repubblicani fuggì nuovamente all’estero (1849).

Al rientro in Italia (1854) si allontanò ulteriormente dalle idee di Mazzini, accondiscendendo a divenire sostenitore della monarchia sabauda finché questa dimostrasse di credere fermamente nella causa italiana e assumendo la guida dell’esercito sardo contro l’Austria (1858-59).

Dopo l'annessione da parte del Piemonte di Lombardia, Emilia, Toscana e Romagna, Garibaldi riavviò il processo di unificazione d’Italia, che sembrava essersi bloccato nell’impossibilità di prendere Roma, con l’impresa dei Mille, divenuti tali grazie a Mazzini che ne fece imbarcare da Talamone in Toscana circa 750 del suo Partito d'Azione.  Con l'impresa dei Mille consentì di unire il Mezzogiorno al Piemonte (1860) e quindi di giungere alla costituzione del Regno d’Italia (1861).

Per le sue imprese, nelle quali dimostrò di avere non solo rare doti militari ma anche indiscutibile acume politico, Garibaldi è considerato uno dei più grandi artefici del Risorgimento italiano.

Secondogenito di Domenico, capitano mercantile, e di Rosa Raimondi; attratto dalla passione per il mare, fu dapprima mozzo sul brigantino Costanza, poi navigò col padre e con altri armatori in Oriente. Comandava una nave propria, quando nel 1833 in una locanda di Taganrog, sul Mar Nero, informato da G. B. Cuneo di Oneglia dell'azione politica mazziniana fu "iniziato", come disse egli stesso, ai "sublimi misteri della patria", e decise di dedicarsi alla causa nazionale iscrivendosi alla Giovine Italia prima e alla Giovine Europa in seguito. Imbarcatosi come semplice marinaio con il nome di Cleombroto sulla fregata Des Geneys, per collaborare alla rivolta che avrebbe dovuto facilitare la spedizione mazziniana in Savoia, fallito il moto nel febbraio 1834, fu costretto a fuggire; riparato a Marsiglia vi apprese la sua condanna a morte (3 giugno). Si imbarcò allora per il Mar Nero; poi si arruolò nella flottiglia del bey di Tunisi.

Ritornato alla metà del 1835 a Marsiglia, vi ottenne il comando in seconda di un brigantino diretto a Rio de Janeiro, dove giunse fra il dicembre 1835 e il gennaio 1836. L'eroe dei due mondi. A Rio de Janeiro partecipò con altri italiani esuli alle riunioni della Giovine Italia. In seguito per conto della Giovine Europa e con l'aiuto della massoneria, accettò col suo amico Rossetti di far guerra di corsa a favore dello stato di Rio Grande do Sul ribellatosi al governo brasiliano, e ne comandò poi la flotta da guerra. La sua prima imbarcazione per la gurra da corsaro la intitolò Mazzini, chiedendo e ricevendo dallo stesso apostolo della Repubblica una lettera di corsa. 

Al principio del 1842, costretto a riparare a Montevideo, portò con sé Anita, già compagna di vita e d'ideali, che divenne sua sposa. Ma subito riprese a combattere a favore di Fructuoso Rivera contro Oribe, sostenuto dal dittatore argentino De Rosas. Al comando di una flottiglia fu costretto dalla flotta argentina, presso Nueva Cava (15 agosto 1842), a cercar scampo a terra. Garibaldi ebbe il comando di una nuova flottiglia e, organizzata una legione italiana, risalì il Plata; l'8 febbr. 1846 si segnalava brillantemente a S. Antonio del Salto.

Richiamato a Montevideo (sett. 1846), gli giunse dall'Italia, significativa del maturarsi dei tempi propizi per la libertà, la notizia della rivoluzione di Palermo, che lo persuase a imbarcarsi, il 12 aprile 1848, con parte della legione.

A Gibilterra, apprendendo che il re di Sardegna si preparava a intervenire contro l'Austria, decise di approdare a Nizza.

 Accolto freddamente dal governo sardo, nel corso della prima guerra d'indipendenza al comando di un gruppo di volontari si batté a Luino (15 agosto) e conquistò Varese, che poco dopo dovette abbandonare; resistette a Morazzone (26 agosto), e poi, premuto dalle soverchianti forze austriache, riparò in Svizzera.

Tornato a Nizza, il 24 ottobre ne ripartì con alcune centinaia di volontari per la Sicilia, inviato dal mazziniano Paolo Fabrizi; ma, fermatosi in Toscana (25 ottobre - 8 novembre), offrì alla Repubblica Romana la sua spada; tenuto dapprima in disparte, a Macerata, che lo nominò deputato alla Costituente, e poi a Rieti, fu chiamato a Roma per l'ultima difesa contro i Francesi.

Dopo il sanguinoso scontro del 30 aprile 1849 seguirono la breve campagna contro l'esercito napoletano, interrotta per volere di Mazzini, e l'assedio, conclusosi con la caduta della Repubblica. Garibaldi sfuggì all'accerchiamento e riparò a S. Marino (31 luglio), donde tentò di raggiungere Venezia ancora libera. Ma attaccato da navi austriache sbarcò sulla costa di Magnavacca (ora Porto Garibaldi), e, nel tragico inseguimento, vide morire la moglie Anita (4 agosto). Attraverso Romagna e Toscana riuscì a raggiungere il territorio piemontese, dal quale, senza proteste, accettò l'espulsione.

Cominciava il suo secondo esilio (16 settembre). Ospite prima del console piemontese di Tangeri (novembre 1849 - giugno 1850), poi operaio in una fabbrica di candele a New York da Antonio Meucci, riprese finalmente a navigare nell'America Centrale, e tra il Perù, la Cina, l'Australia.

Conquistato dalla politica realistica del governo sardo, nel 1854 Garibaldi tornò in Europa e, in seguito a un colloquio segreto con Cavour (13 agosto 1856), pubblicamente dichiarò di voler mettere a base dell'unità italiana la monarchia, aderendo alla Società Nazionale. Alla vigilia della seconda guerra d'indipendenza, il 2 marzo 1859 s'incontrò con Cavour per accordarsi sull'organizzazione dei volontari; e in quell'occasione conobbe Vittorio Emanuele.

Al comando dei cacciatori delle Alpi, vinse il gen. Urban sotto Varese (26 maggio) e a S. Fermo (27 maggio); protesse i fianchi dei Franco-Piemontesi ed entrò trionfalmente in Brescia (13 giugno).

Gli avvenimenti che seguirono alla pace di Villafranca raffreddarono i rapporti fra Garibaldi e il governo sardo, che con la cessione di Nizza alla Francia lo aveva reso straniero in patria.

Comandante in seconda delle truppe della lega militare formatasi fra Toscana, Romagna, Parma e Modena, passò nelle Marche per estendere colà il movimento rivoluzionario, ma, richiamato dallo stesso Vittorio Emanuele, depose il comando, ritirandosi a Caprera, dopo aver lanciato a Genova un manifesto agli Italiani di violenta critica alla politica piemontese.

Giuntagli nell'aprile del 1860 notizia della rivolta scoppiata a Palermo, col consenso almeno tacito del governo si pose a capo della missione nota come spedizione dei Mille, che partì da Quarto nella notte dal 5 al 6 maggio 1860. Tappe dell'impresa furono: lo sbarco a Marsala (11 maggio), la battaglia di Calatafimi (15 maggio), la presa di Palermo (27 maggio), la battaglia di Milazzo (20 luglio), il passaggio dello Stretto di Messina (19 agosto), la trionfale marcia attraverso la Calabria, l'ingresso in Napoli (7 sett.), la decisiva battaglia del Volturno (1-2 ott.), l'incontro col re a Teano (26 ott.). Il 7 novembre entrò con Vittorio Emanuele a Napoli; sacrificando ogni ambizione alla soluzione sabauda, che sentiva necessaria per l'unità, il giorno seguente gli consegnò i risultati del plebiscito e il 9 ripartì per Caprera, rifiutando la nomina a generale e le ricompense concessegli.

L'impresa che univa il Mezzogiorno al Piemonte per formare di lì a poco il Regno d'Italia, apparve subito come l'azione politicamente risolutiva del processo unitario; anche dal punto di vista tecnicamente militare, sia nello stratagemma della marcia avvolgente su Palermo, sia nella dislocazione e nella manovra delle forze al Volturno, Garibaldi rivelò le sue grandi qualità di comandante, esaltate dall'ascendente che esercitava sui suoi uomini. Intanto la morte di Cavour parve allontanare il giorno del compimento dell'unità italiana. Le forze rivoluzionarie guardavano di nuovo a Garibaldi come all'uomo che sapeva osare, mentre Rattazzi cercava di ripetere, in modi assai più ambigui, la politica svolta con tanto successo da Cavour nel 1860. Dopo un vano tentativo di invasione del Trentino (Sarnico, maggio 1862), Garibaldi si recò a Palermo (28 giugno), lanciò un proclama contro la Francia, e al grido di "Roma o morte" marciò verso Roma; nell'Aspromonte (29 agosto) fu ferito e fatto prigioniero da soldati italiani.

Amnistiato, nel marzo 1864 lasciò Caprera per Londra, dove ebbe incontri con Mazzini e con Herzen, oltre che col Palmerston, e misurò la propria straordinaria popolarità.

Scoppiata la terza guerra d'indipendenza nel 1866, accettò il comando dei volontari; entrò con essi nel Trentino e li condusse alla vittoria (Monte Suello, 3 luglio; Bezzecca, 21 luglio). Dopo l'annessione del Veneto, Garibaldi sentì ancor più urgente la conquista di Roma. Fermato a Sinalunga (24 sett. 1867) da soldati italiani mentre organizzava una spedizione contro Roma, fu ricondotto a Caprera, ma, sfuggendo alla sorveglianza della flotta italiana, ritornò sul continente e il 23 ottobre passò il confine con i volontari accorsi all'impresa: a Mentana (3 novembre) le truppe francesi e pontificie lo costrinsero alla ritirata.

Arrestato a Figline e condotto nella fortezza del Varignano, il 25 novembre fu imbarcato, virtualmente prigioniero, per Caprera, donde salpò solo per partecipare alla difesa della Francia (1870), ottenendo una vittoria a Digione (21-23 gennaio 1871).

Negli ultimi anni della sua vita inclinò sempre più a un socialismo di tipo umanitario e aderì all'Internazionale. In questo periodo aggiornò le sue Memorie autobiografiche, cominciate a Tangeri tra il 1849 e il 1850, aggiungendovi una redazione in versi sciolti, e scrisse (1869-74) tre romanzi: Clelia o il governo del monaco, Cantoni il volontario, I mille, e compose versi in lingua italiana e francese. 

Si spense a Caprera il 2 giugno 1882, sul suo comodino c'erano i due libri che ha sempre portato con sè: Il vangelo di S. Simon I Doveri dell'Uomo di G. Mazzini

Giuseppe Garibaldi (1807 - 1882)

Arcangelo Ghisleri (1855 - 1938)

Arcangelo Ghisleri nasce il 5 settembre 1855 a Persico, in provincia di Cremona.

Sin da giovane si impegna in una intensa attività giornalistica, che durerà fin quando il fascismo porrà fine a ogni libertà di stampa. Sono varie le pubblicazioni a da lui fondate: La rivista repubblicana, Cuore e critica, L'educazione politica, importanti per la messa a punto di una ideologia di scuola repubblicana.

Nel 1881 è impiegato in una società di esportazioni milanese; nel 1884 passa all'insegnamento presso un liceo in Basilicata. Nel 1888 lo troviamo a Bergamo, ancora insegnante. E' da questo momento che inizia la sua attività di cartografo, che gli ha dato nome in Italia, anche al di là dell'attività di politico.

Dal 1895 il repubblicanesimo aveva assunto il volto di oggi del Partito Repubblicano Italiano; Ghisleri diede un contributo fondamentale di indirizzo, dimostrando un attaccamento al partito assolutamente straordinario: "Questo nostro partito che io amo più dei miei figli", ebbe a scrivere nel 1903.

Riguardo al fascismo, ebbe a riconoscervi una sorta di "marca plutocratica". Scriveva a Giovanni Conti all'indomani del 28 ottobre 1922: "Il colpo di Stato vero l'hanno fatto i pescicani dell'alta banca e i filibustieri delle industrie parassitarie. Richiamate l'attenzione del pubblico sulla vera essenza del governo attuale come dominio della plutocrazia, di cui gli attuali ministri non sono che strumenti e servitori zelanti".

In realtà Ghisleri non fu un ideologo sistematico; una sistematizzazione del suo pensiero è soprattutto opera di Giovanni Conti. Ghisleri contesta la teoria marxista, che considerava straniera all'Italia, ma soprattutto limitata al dato economico, alla cosiddetta "formuletta unica". Come ebbe a scrivere: "Noi vediamo quello che vedono i marxisti, ed anche quello che essi trascurano di vedere". Il conflitto con i socialisti e i marxisti si accentua in Ghisleri quando si passa al principio istituzionale: se per l'ideologia marxista ogni forma politica è una sovrastruttura, per il pensiero repubblicano la Repubblica è cosa di tutti, il suo governo è formato dal convergere delle comuni volontà. "E' di volgare evidenza che la repubblica democratica qual è da noi concepita non deve essere un'arma offerta agli interessi di un ceto contro altri ceti".

In economia ebbe una visione "federale". Riteneva il sistema federale capace di "triplicare la produzione rimovendo i mille impacci della tutela e della diffidenza attuali, sostituendo con le autonomie la competenza dei direttamente interessati, agli imbrogli, ai ritardi e all'incompetenza degli alti papaveri dell'accentramento".

Si spense nel 1938.

Arxangelo Ghisleri (1855 - 1938)

Paul Thomas Mann (1875 – 1955)

Paul Thomas Mann, semplicemente noto come Thomas Mann (Lubecca, 6 giugno 1875 – Zurigo, 12 agosto 1955), è stato uno scrittore e saggista tedesco.

Paul Thomas Mann nacque a Lubecca, in Germania, secondogenito di Thomas Johann Heinrich Mann, senatore e facoltoso commerciante, e di Júlia da Silva Bruhns, nata da padre tedesco e madre brasiliana a Paraty in Brasile, ma emigrata in Germania all'età di sette anni. Nonostante la confessione cattolica della madre, Mann venne battezzato secondo la fede luterana del padre.

Nel 1892 il padre morì, la ditta di famiglia fu liquidata e la madre si trasferì a Monaco di Baviera con i figli (Mann aveva due fratelli e due sorelle) mentre Thomas rimase ancora due anni a Lubecca, a "dozzina" da un professore, per completare gli studi. Mann raggiunse quindi la famiglia nella città bavarese, per dimorarvi fino al 1933. Fratello minore di Heinrich Mann, anch'egli scrittore, si dedicò fin da giovanissimo anche al giornalismo, scrivendo nel 1893 schizzi di prosa e saggi per la rivista scolastica Der Frühlingssturm (La tempesta primaverile) da lui coedita.

Nel 1894 entrò in una compagnia di assicurazioni ma nel tempo libero continuava a scrivere: nacque così il primo racconto, Gefallen, pubblicato sulla prestigiosa rivista Gesellschaft e capace di suscitare l'ammirazione di Richard Dehmel, rinomato poeta che lo spronò a continuare nell'attività letteraria e gli rimase amico fino alla morte.

Nel 1895, dopo un solo anno di lavoro, decise di rinunciare alla professione borghese e dedicarsi ai propri interessi a tempo pieno. D'accordo con Dehmel, si iscrisse all'università e al politecnico di Monaco con l'intenzione di diventare giornalista, compagno di quel Koch-Weser che sarebbe diventato Ministro dell'Interno. In questo periodo cominciò a frequentare i caffè assieme ad alcuni giovani intellettuali, e fu così che conobbe anche insigni rappresentanti della cultura tedesca, che di tanto in tanto si univano alla compagnia.

Dato che il fratello Heinrich risiedeva a Roma, decise di raggiungerlo e di passare con lui l'estate a Palestrina, per poi andare a vivere assieme nell'Urbe, subinquilini di un appartamento di via di Torre Argentina. Rimase a Roma un anno, evitando quasi ogni forma di vita sociale, e dedicandosi esclusivamente alla lettura – di scandinavi e russi in particolare – e alla scrittura, aiutato dal denaro che mensilmente la madre mandava ai due fratelli.

Il racconto breve, Il piccolo signor Friedemann (Der kleine Herr Friedemann), concluso già a Monaco, destò l'interesse della casa editrice berlinese S. Fischer Verlag, e fu pubblicato nel 1898.

Nel frattempo iniziò anche a lavorare al suo primo romanzo, I Buddenbrook che, pubblicato poi nel 1901, riceverà un notevole successo.

Tornato a Monaco, ebbe il primo impiego di rilievo, quando Korfiz Holm lo assunse nella redazione del periodico Simplicissimus, dove lavorò un anno come lettore e correttore.

L'11 febbraio 1905 sposò Katharina Pringsheim (Katia), una giovane laureata in chimica, figlia del grande matematico Alfred Pringsheim e nipote della propugnatrice dei diritti delle donne Hedwig Dohm, dalla quale avrà sei figli.

Nel 1929 gli venne conferito il premio Nobel per la letteratura. Nel gennaio del 1933 Mann tenne una celebre conferenza all'Università di Monaco, sua ultima apparizione pubblica in Germania: Dolore e grandezza di Richard Wagner. In quell'occasione lo scrittore – grande appassionato wagneriano – criticò i legami tra il nazismo e l'arte tedesca, dei quali la musica di Wagner sembra il simbolo più autentico. La conferenza infastidì non poco i nazionalisti presenti in sala, proprio nei giorni dell'ascesa di Adolf Hitler al potere. Mann si trasferì immediatamente all'estero, stabilendosi prima a Küsnacht, presso Zurigo, poi negli Stati Uniti d'America, a Pacific Palisades, distretto di Los Angeles, località che già ospitava una nutrita comunità di esuli tedeschi.

Terminata la seconda guerra mondiale, nel 1952 fece ritorno in Europa, ma in Svizzera, non in Germania Ovest, nonostante fosse stato proposto come primo presidente federale.

Morì di arteriosclerosi a Kilchberg, presso Zurigo, il 12 agosto del 1955.

Paul Thomas Mann (1875 – 1955)

Coudenhove-Kalergi, Richard. - (1894 - 1972)

Coudenhove-Kalergi, Richard. - Pubblicista austriaco (Tokyo 1894 - Schruns, Vorarlberg, 1972).

Nel 1923 fondò l'Unione paneuropea e divenne infaticabile propagatore dell'associazione federale degli stati europei.

Nel 1938 emigrò negli USA dove insegnò a New York. Al termine della seconda guerra mondiale promosse (1947) a Gstaad la costituzione dell'Unione parlamentare europea di cui è stato presidente onorario (1952-65).

Tra le sue opere: Kampf um Paneuropa (1925-28); Europa erwacht! (1934); Kommen die Vereinigten Staaten von Europa? (1938); Kampf um Europa (1949); Die Europäische Union (1953); Leben für EuroClosepa (1966); Weltmacht Europa (1971)

Richard Nikolaus di Coudenhove-Kalergi (1894 - 1972)

Aldo Spallicci (1886 - 1973)

Nacque a Santa Croce di Bertinoro (Forlì) il 22 novembre 1886 da Silvestro, medico condotto originario di Filottrano (Ancona), e da Maria Imperatrice Bazzocchi, di Bertinoro. Si trasferì con la famiglia nella vicina Santa Maria Nuova nel 1891. Qui frequentò le scuole elementari per poi passare a Forlì, dove compì gli studi ginnasiali e liceali. Nel capoluogo romagnolo incontrò Maria Martinez, nata nel 1885 a Pontelandolfo (Benevento), che sposò nel 1911, anno di nascita della primogenita Ada (la coppia ebbe poi altri due figli: Anna e Mario). Iscrittosi nel 1906 alla facoltà di medicina dell’Università di Firenze, si trasferì nel 1907 a Bologna, dove si laureò nel 1912. Proseguì la formazione presso la clinica pediatrica Anna Meyer di Firenze, perfezionandosi nel 1915; nel 1925, sempre a Bologna, ottenne la libera docenza in clinica pediatrica.

A inizio Novecento fece le sue prime prove in dialetto romagnolo sul periodico satirico forlivese E Pestapevar (1907-1911), e al contempo manifestò le sue prime espressioni di sensibilità politica, nei fogli socialisti e repubblicani locali, L’idea socialista e Il Pensiero romagnolo (1907-1908).

L’inclinazione umanitaria, mazziniana per l’impronta spiritualista e garibaldina per la disponibilità all’azione, lo portarono nel 1912 ad aderire al Partito repubblicano italiano (PRI); nello stesso anno fu con la spedizione di Ricciotti Garibaldi in Epiro, a fianco dei greci e contro i turchi, durante la prima fase delle guerre balcaniche.

Rientrato in Italia, nell’autunno del 1914 partì per Nizza con i garibaldini che intendevano partecipare da volontari alla guerra contro gli imperi centrali e che ebbero il battesimo del fuoco sulle Argonne.

Nel maggio del 1915, nonostante la nascita della figlia Anna, andò sul Carso, come ufficiale medico volontario, con i fanti romagnoli dell’11° reggimento fanteria. Fu congedato con il grado di capitano nel 1919.

Si dedicò quindi alla professione di pediatra nella sua terra d’origine. Ciò che distingue Spallicci da altre figure del volontariato mazziniano e garibaldino a cavallo del secolo, fra Marche e Romagna, è, tuttavia, la dimensione culturale. Spallicci, infatti, si dedicò per tutta la vita a un’intensa opera letteraria e intellettuale, rilevante in particolare in due ambiti tipici dell’atmosfera giolittiana: il recupero del regionalismo attraverso il vernacolo, l’etnografia e il folklore; e la propensione a comunicare attraverso le riviste.

Dal 1911 fino al 1973, salvo il periodo più buio della dittatura (1933-45), diresse o partecipò da protagonista a periodici culturali o politici; nello stesso tempo, la sua opera di restituzione e costruzione dell’identità romagnola dal 1907 non conobbe praticamente soste. Questa eccezionale vitalità ha dato luogo a una produzione monumentale, che spazia dall’articolo di giornale al saggio erudito, dalla poesia in dialetto al discorso elettorale.

Spallicci fondò due periodici fondamentali per la cultura romagnola: Il Plaustro (1911-1914), «quindicinale d’illustrazione romagnola» uscito a Forlì, e La Piê (1920-1933; 1946-), «rassegna mensile d’illustrazione romagnola», sempre pubblicato a Forlì. Nel secondo caso, egli appariva direttore insieme con Antonio Beltramelli e Francesco Balilla Pratella. Il programma del Plaustro, il cui primo numero uscì il 4 ottobre 1911, era tipicamente etnografico: «Far conoscere la Romagna ai romagnoli ed ai non romagnoli, fare amare la nostra piccola patria come figlia della patria grande, ecco l’intento nostro. Allacciare in un sol fascio ideale le forze giovani e vive della nostra terra al di sopra d’ogni sterile animosità di campanile, ad onta delle avversità e delle apatie ecco il nostro sogno. [...] Poi per ritrarre il cuore della nostra terra [Il Plaustro] indagherà la vita intima del popolo ne’ suoi canti di passione, nelle tradizioni [...], nei pregiudizi, nelle leggende che sopravvivono ancora [...], nelle linee caratteristiche insomma per tratteggiare ciò che suolsi chiamare folklore. Arduo compito quest’ultimo, dacché l’invadente democrazia tende a ridurre le genti ad una stessa stregua».

Il plaustro era il nome del carro agricolo romagnolo; la piê quello dialettale di piada, il pane tipico dei romagnoli: «Sulle trincee del Calvario [la piada] era nell’involto che la mamma aveva affidato al reduce dalla licenza – si leggeva nel programma della nuova rivista – [...] E si mangiava colla palma sinistra al mento, che era peccato grande mandarne a male una crosticina... Il Plaustro si smarrì tra un rudero e una tomba. La Piê vuol camminare tra la nostra gente [...] Forse il gran bagno di sangue da cui esce ora l’umanità ci avrà purificato da ogni sterilità materialistica» (La Piê, I (1920), 1, p. 2).

Il cambio di passo era evidente: Il Plaustro s’inseriva nel recupero della tradizione culturale regionale, con il proposito di saldare ciò che restava dell’universo antropologico rurale con i nuovi media della comunicazione letteraria e periodica, filtrati da una generazione di intellettuali rabdomanti. La Piê, viceversa, partiva da un disegno di «rigenerazione civile», da «iniziare nella regione perché la nazione segua», con la «forza di una fede»: e faceva suo il grido «torniamo alla terra!» per «incominciare di qui la nostra redenzione» (ibid.).

Spallicci nel 1920 era quindi tentato dal regionalismo politico, nella persuasione che i fanti contadini, riconciliati con la cultura autoctona in virtù dell’esperienza drammatica del fronte, avrebbero potuto rappresentare una forza immacolata contro le ‘degenerazioni’ dei partiti; nonostante ciò, egli riteneva che il mazzianianesimo avrebbe potuto interpretare l’ansia di rifondazione spirituale della patria. Del resto, in Romagna il PRI restava il punto di riferimento, nonostante tutto; ed egli si limitò ad animare in senso regionalista la locale sezione dell’Associazione nazionale combattenti.

Il progetto rigenerativo della cultura e della società romagnole durò poco; già nel 1922 l’illusione di un’alleanza fra coloni e nuovi artigiani delle città e dei borghi, favorita dalla comune condizione di reduci, al di fuori degli schemi politici abituali, fu riassorbita dalla fenditura che, soprattutto nella valle padana, non lasciava spazio allo scontro fra ‘neri’ e ‘rossi’.

Antropologicamente antifascista, sebbene conoscesse tanto Benito quanto Arnaldo Mussolini, dei quali aveva condiviso l’interventismo e poi la primissima stagione dei Fasci di combattimento, Spallicci già nel 1923 avrebbe abbandonato l’idea militante alla base della Piê per ricondurre la rivista lungo i sentieri meno esposti della letteratura, della cultura e dell’arte territoriali. Ciò permise al periodico di continuare le pubblicazioni per un decennio, pur mantenendo un atteggiamento sostanzialmente agnostico verso il regime.

Spallicci, tuttavia, dopo che fu sciolta nel 1926 la Federazione romagnola combattenti, fu indotto dal governo a trasferirsi a Milano, quindi nel 1941 fu confinato da aprile ad agosto a Mercogliano nell’Avellinese e, nel 1943, incarcerato per breve tempo a San Vittore.

Egli non cessò, durante il fascismo, i contatti con il mondo d’origine, repubblicano e liberal-democratico, anche se i suoi interessi s’indirizzarono soprattutto verso la storia della medicina in età classica, cui dedicò una serie di volumi.

Il periodo resistenziale lo trovò attivo in Romagna nell’ambiente mazziniano, pronto a recuperare il ruolo di guida politica, oltre che culturale. Ripresa l’attività giornalistica in senso antifascista nel 1945 (fondò e diresse a Ravenna il settimanale d’informazione dei comuni La voce di Romagna, 1945-1946), nel 1946 resuscitò la Piê.

Eletto alla Costituente nelle fila del PRI, si batté perché nella carta fondamentale fosse riconosciuto un ruolo alle autonomie locali; riuscì a far accostare al termine Emilia quello di Romagna.

Rieletto come senatore nel 1948 e nel 1953 nel collegio dell’Emilia-Romagna (nel giugno del 1948 fu nominato anche alto commissario aggiunto per l’Igiene e la Sanità pubblica), Spallicci raccolse allora i frutti della sua doppia natura, di intellettuale solidamente radicato nel territorio e di antifascista; ma la società cui aveva guardato nel primo dopoguerra, fondata sulla mezzadria e sull’artigianato, nonostante gli ultimi successi raccolti in Romagna dal PRI (che nel 1946 risultava ancora il più votato a Forlì, Cesena e Ravenna), era ormai al tramonto. All’interno del partito, con l’affermarsi delle tendenze modernizzatrici e tecnocratiche rappresentate da Ugo La Malfa, lo spazio per l’enclave regionale padana, pur necessaria alla sopravvivenza del movimento, si ridusse drasticamente sotto il profilo politico. Spallicci avversò il centrosinistra e le sue principali riforme, che riteneva il risultato di un connubio trasformistico con il Partito socialista italiano, fondò nuove riviste di dibattito, mazziniane e di taglio storico-erudito: Fede e Avvenire («bimestrale di politica, economia, storia, letteratura, arte», pubblicato a Forlì fra il 1959 e il 1964) e poi Avvenire e Fede (1964-1966), «bimestrale dei repubblicani mazziniani» usciti dal PRI nel 1964 per confluire nel movimento Nuova Repubblica di Randolfo Pacciardi.

Con Avvenire e Fede si chiuse di fatto la fase militante di Spallicci: la rivista, infatti, ispirata all’anticomunismo in stile guerra fredda, si nutriva pure di una solida base di pensiero antisocialista, che il direttore assimilava al ‘collettivismo’ fin de siècle, esiziale per il repubblicanesimo di matrice spiritualista degli eredi di Mazzini e di Aurelio Saffi. Il fallimento di Nuova Repubblica spinse Spallicci al ritiro dalla politica attiva.

Egli riacquistò allora il profilo a lui congeniale del cantore della Romagna, alimentando il suo periodico di maggior successo, la Piê.

Morì a Premilcuore il 14 marzo 1973. Fu il principale dissodatore del recupero dei dialetti italiani quali "lingue del cuore"

Aldo Spallicci (1886 - 1973)

Giovanni Conti (1882 - 1957)

Giovanni Conti nasce il 17 novembre 1882 a Montegranaro, in provincia di Ascoli Piceno. Sin da giovane inizia opera di proselitismo, predicando il credo mazziniano, studiando contemporaneamente i grandi politici e filosofi dell' Ottocento: Mazzini, naturalmente, ma anche Cattaneo, Bovio, Ghisleri. Con quest'ultimo intratterrà un rapporto di devota amicizia.

Si laurea a Roma in giurisprudenza; esercita la professione forense. All'interno del Pri si dichiara contrario alla guerra libica e al colonialismo; svolge indagini sulle condizioni della popolazione dell'Agro romano e della Maremma toscana. Accanto a Salvemini prende una decisa posizione antigiolittiana.

Allo scoppio della Prima guerra mondiale si dichiara interventista democratico, arruolandosi volontario.

Tornato dal fronte si dedica alla ricostruzione del Pri; nel 1921 viene eletto deputato in Parlamento.

E' il fondatore del giornale del partito La Voce Repubblicana, quotidiano a cui dedicherà molti anni della sua vita. In Parlamento si proclama da subito deciso oppositore di Mussolini; la sua intransigenza ha ripercussioni anche sulla testata, che subisce continui sequestri.

La Voce, dopo l'assassinio di Don Minzoni ad Argenta, ne attribuisce la responsabilità a Italo Balbo, il quale sporge querela. La testata è assolta in tribunale.

Il 9 novembre 1926, insieme agli altri deputati dell'opposizione, viene dichiarato decaduto dal mandato parlamentare. Diviene un sorvegliato speciale ed è più volte incarcerato. Nella clandestinità cui è costretto, ricostruisce il Pri e riesce a far stampare un numero della Voce Repubblicana, contenente un suo famoso articolo di fondo: Italiani, preparate le vie!

Dopo la liberazione di Roma dà inizio alla sua battaglia per la Repubblica, indicando come via da perseguire quella delle autonomie regionali e comunali.

E' eletto alla Costituente; è nominato vicepresidente dell'Assemblea e fa parte della Commissione dei 75 come membro della sottocommissione incaricata dei problemi dell'ordinamento costituzionale dello Stato. In seguito è designato alla Presidenza della Sezione speciale per l'elaborazione delle norme sul potere giudiziario.

Nel 1948 è nominato senatore di diritto con Facchinetti, Macrelli, Parri e Sforza.

Elabora un progetto di riforma agraria per la Calabria. In ultimo assumerà posizioni critiche verso il partito (è avverso alla politica degli "schieramenti" e delle "formule"), ma al Pri rimane sempre fedele (si veda, ad esempio, un lettera inviata a Reale pochi giorni prima della morte).

Si spegne l'11 marzo 1957.

Giovanni Conti (1882 - 1957)

Cino Macrelli (1887 - 1963)

Nacque a Sarsina (Cesena), il 21 gennaio 1887.

La sua prima formazione avviene sotto il segno di Ubaldo Comandini e di Giuseppe Gaudenzi.

E' dal 1911 al 1913, direttore de Il Popolano, periodico dei repubblicani cesenati; durante la Grande Guerra assume posizioni interventiste democratiche e si arruola volontario.

Viene fatto prigioniero nel '15 e chiuso in un campo di concentramento.

A Cesena, nel primo dopoguerra, lavora per riorganizzare le file del Pri. E' parlamentare, prendendo una netta presa di distanza dal fascismo, denunciando puntualmente le violenze delle squadracce. Fu, di conseguenza, strettamente sorvegliato dalla polizia del duce.

Partecipa a Roma alla Resistenza; viene eletto alla Costituente, svolgendovi importanti interventi a proposito della cooperazione, dell'ordinamento costituzionale, dell'imposta straordinaria patrimoniale, del cambio della moneta, delle funzioni del Senato, del potere giudiziario.

Fu Senatore di diritto fino al 1953, poi membro dell'Assemblea di Montecitorio per la II e III legislatura, nonché vicepresidente della Camera per quattro anni.

Sostenitore della svolta di centrosinistra, nel governo Fanfani del 1962 fu ministro della Marina mercantile.

Nel 1963 venne eletto senatore del collegio di Ravenna. In quello stesso anno muore il 25 agosto.

Cino Macrelli (1887 - 1963)

Randolfo Pacciardi (1899 - 1991)

Nasce il 1° gennaio 1899 a Giuncarico, in provincia di Grosseto.

Nel 1915, studente alle scuole normali, partecipa alle manifestazioni irredentistiche organizzate a Grosseto dal Partito repubblicano.

Dopo Caporetto (ha cercato di arruolarsi volontario nel 1916, pur non avendone l'età), entra nel corpo dei bersaglieri. Ottiene vari riconoscimenti per le sue azioni di guerra.

Nel 1920 inizia a collaborare con Etruria Nuova, un periodico repubblicano di Grosseto. A Roma si laurea in giurisprudenza, iniziando a lavorare nello studio di Giovanni Conti; nel 1923 fonda Italia Libera, un'associazione combattentistica, cui aderiscono vari elementi di diversa natura politica: oltre ai repubblicani, anche amendoliani, socialisti, riformisti, autonomisti (come Emilio Lussu ).

Nel '25 l'associazione è colpita dal decreto di scioglimento seguito al discorso di Mussolini del 3 gennaio. Pacciardi è condannato a 5 anni di confino; riesce ad espatriare clandestinamente.

Nel 1927 si stabilisce in Svizzera, diventando l'animatore dell'attività degli esuli antifascisti di Lugano. Il governo fascista riesce comunque a farlo espellere; Pacciardi ripara in Francia.

Nel 1933 è nominato segretario del Partito repubblicano. Durante la guerra civile spagnola gli viene affidato il comando del Battaglione Garibaldi.

Nel '37, a Parigi, fonda, con Alberto Tarchiani, il periodico La Giovine Italia - La Jeune Europe. L'anno seguente compie un lungo viaggio di propaganda antifascista negli Stati Uniti. Nel giugno del 1940 i nazisti occupano Parigi. Il 29 maggio era uscito l'ultimo numero de La Giovine Italia. Pacciardi propone la costituzione di un corpo di volontari italiani da impegnare contro i soldati di Hitler.

Col crollo della resistenza alleata, Pacciardi raggiunge Casablanca. Si imbarca alla volta degli Stati Uniti: a New York viene accolto dai membri della Mazzini Society. Non esita a manifestare il suo dissidio con il gruppo dirigente della Mazzini Society, contrari ad impegnare militanti comunisti nella lotta al nazifascismo.

Nella tarda primavera del 1944 rientra in Italia. Il 10 giugno firma l'editoriale del primo numero della rinata Voce Repubblicana. Nel 1946 è confermato alla guida del partito; è eletto deputato all'Assemblea Costituente.

Nel 1947 è nominato vicepresidente del Consiglio. Nel quinto gabinetto De Gasperi (1948) è nominato ministro della Difesa.

Nel 1949 si batte per accelerare l'adesione dell'Italia al Patto Atlantico. Dopo le elezioni del 1958 è eletto presidente della Commissione Difesa della Camera.

Contrariamente a Ugo La Malfa, Pacciardi ritiene che i socialisti non siano ancora in grado di offrire garanzie di autonomia e di affidabilità democratica. Nel congresso repubblicano del marzo 1960, Pacciardi esprime le ragioni delle sue riserve alla formula del centrosinistra. Pacciardi e la sua corrente decidono di non partecipare al Congresso repubblicano di Livorno del 1962, sede del consolidamento della leadership di Ugo La Malfa. L'anno seguente vota contro il primo governo organico di centrosinistra; viene espulso dal Pri.

Nel '64 fonda l'Unione Democratica per la Nuova Repubblica, che annovera, nel suo programma, l'elezione diretta del capo dello Stato. Fonda un settimanale, Folla, che nel '66 cessa le pubblicazioni. Al suo posto esce Nuova Repubblica. L'Unione pacciardiana partecipa senza successo alle elezioni politiche del 1968.

Tornerà nel Pri nel 1981; nello stesso anno fonda il settimanale L'Italia del Popolo.

Muore a Roma il 14 aprile 1991.

Randolfo Pacciardi (1899 - 1991)

LA VISITA A RIMINI DELLA DELEGAZIONE DELLA GIOVENTU’ REPUBBLICANA SPAGNOLA Dal “Giornale dell’Emilia” del 4 ottobre 1946

Questa mattina alle ore 8,45 è giunta Rimini proveniente da Forlì la Delegazione della Gioventù Repubblicana Antifranchista Spagnola, composta dai signori: Josè Serantes, capo della delegazione stessa della Commissione Esecutiva della Gioventù Socialista Unificata Spagnola; Raimondo Lopez, Victoria Pjolar, che ha sofferto due anni di carcere in Spagna quindi è riuscita a fuggire in Francia, dove ha continuato insieme ai compagni esuli la lotta per la libertà della sua terra; Soler Araceli, altra audace che dal 1935 si trova in Francia, di cui un giovanissimo fratello ha combattuto in Francia, quindi in Spagna contro il regime franchista.

I graditi ospiti, accompagnati dai signori Pirani e Vermicelli del Consiglio Nazionale del F.d.G. di Roma, e dal sig. Enzo Mingozzi del Consiglio Provinciale del F.d.G. di Forlì, sono stati ricevuti dal Segretario del F.d.G. di Rimini, Raoul Fugalli e da rappresentanti dell’ANPI, dell’UDI, dell’URI, dei partiti Comunista, Socialista, Repubblicano, F.A. e numerosi cittadini.

Alle ragazze spagnole sono stati offerti dei fiori che esse, con gentile e significativo gesto, hanno voluto deporre ai piedi della lapide marmorea che ricorda i tre Martiri vittime della ferocia nazifascista ed i caduti partigiani di Rimini.

Alle 10,30 la Delegazione Giovanile Antifranchista Spagnola è stata ricevuta dal Sindaco, dott. Arturo Clari e dalle altre autorità cittadine nella residenza municipale. Il dott. Clari ha porto il benvenuto in questa città ai giovani ospiti formulando l’augurio che presto la vittoria arrida anche nella loro patria, agli ideali di libertà e di pace.

Successivamente ha preso la parola il sig. Vermicelli che ha pronunciato un breve e sentito discorso d’occasione, dopo di che il giovane spagnolo Raimondo Lopez, esprimendosi anche a nome dei compagni, ha ringraziato le autorità, la gioventù e la cittadinanza di Rimini, per la dimostrazione di fraterna solidarietà con il popolo spagnolo che lotta per la sua liberazione.

Infine, Natale Graziani, rappresentante del P.R.I. ha detto pure brevi e sentite parole di simpatia per gli ospiti, formulando i migliori auspici per il popolo italiano e spagnolo in un clima di libertà, di vera democrazia e di elevazione morale e materiale.

Tutti gli oratori sono stati calorosamente applauditi.

Nel pomeriggio la Delegazione Spagnola, ha visitato la città e le officine ferroviarie, dopo di che si è portata nuovamente alla casa dell’F.d.G. dove ha avuto luogo una conferenza stampa.

I componenti della Delegazione Giovanile Spagnola Antifranchista hanno esposto la situazione della Spagna nel momento attuale e l’opera di resistenza degli elementi partigiani. Alla riunione ha partecipato anche l’on. Spallicci del P.R.I., il quale ha avuto parole di simpatia per i giovani spagnoli assicurandoli della solidarietà di tutto il popolo italiano ed in particolare dei repubblicani italiani.

Bandiera della seconda repubblica spagnola (1931 - 1939) e successivamente degli antifranchisti fino al 1977

Ugo La Malfa (1903 - 1979)

Ugo La Malfa nasce a Palermo il 16 maggio 1903. Completati gli studi secondari, nel 1922 si trasferisce a Venezia, iscrivendosi a Ca' Foscari alla Facoltà di Scienze diplomatiche e consolari. Fra i suoi docenti, Silvio Trentin e Gino Luzzatto.

Fin dagli anni dell'Università ha contatti con il movimento repubblicano di Treviso e con altri gruppi antifascisti.

Nel 1924 si trasferisce a Roma. Partecipa alla fondazione dell'Unione goliardica per la libertà.

Il 14 giugno del 1925 interviene al primo congresso dell'Unione nazionale democratica fondata da Giovanni Amendola. Il movimento amendoliano è in seguito dichiarato fuori legge: il giovane La Malfa figura nella "Pentarchia" che ha lo scopo di porre in liquidazione il movimento.

Si laurea nel 1926 con una tesi dal titolo: Di alcune caratteristiche giuridiche del contratto della giurisdizione, dell'arbitrato, della conciliazione nei diritti intersindacali, interindividuale ed internazionale. Il suo relatore è Francesco Carnelutti.

Nel 1926, durante il servizio militare, viene trasferito in Sardegna per aver diffuso la rivista antifascista Pietre.

Nel 1928 viene arrestato nel quadro delle retate seguenti all'attentato alla Fiera di Milano.

Nel 1929 entra all'Enciclopedia Treccani come redattore: qui lavora sotto la direzione del filosofo Ugo Spirito;

nel 1933 viene assunto da Raffaele Mattioli a Milano, nell'ufficio studi della Banca Commerciale Italiana del quale diviene direttore nel 1938. In questi anni lavora intensamente, soprattutto con funzioni di raccordo fra i vari gruppi dell'antifascismo, per costituire una rete che confluisce nel Partito d'Azione, di cui egli sarà uno dei fondatori.

L'1 gennaio 1943 La Malfa e l'avvocato Adolfo Tino riescono a pubblicare il primo numero clandestino de L'Italia Libera; nello stesso anno La Malfa deve lasciare l'Italia per sfuggire ad un arresto della polizia fascista.

Trasferitosi a Roma, prende parte alla Resistenza e rappresenta il Partito d'Azione in seno al Cnl.

Nel 1945 assume il dicastero dei Trasporti nel governo guidato da Ferruccio Parri. Nel seguente governo De Gasperi, è nominato ministro per la Ricostruzione e in seguito ministro per il Commercio con l'estero.

Nel febbraio del 1946 si tiene il primo congresso del Partito d'Azione, nel quale prevale la corrente filosocialista facente capo a Emilio Lussu: La Malfa e Parri lasciano il partito.

A marzo la Malfa partecipa alla costituzione della Concentrazione democratica repubblicana che si presenta alle elezioni per la Costituente del giugno 1946: La Malfa risulta eletto insieme a Parri.

Nel settembre dello stesso anno, incoraggiato da Pacciardi, La Malfa aderisce al Partito Repubblicano Italiano; si scontra, intorno agli indirizzi politico - economici della storica formazione, con l'ostilità della vecchia guardia, rappresentata soprattutto da Giovanni Conti.

Nell'aprile del 1947 La Malfa viene designato a rappresentare l'Italia al Fondo Monetario Internazionale. L'anno seguente è nominato vicepresidente dell'Istituto.

Nel giugno del 1947 dichiara che il partito avrebbe dovuto sostituire al "Mazzini mistico", un "Mazzini concreto".

Nello stesso anno assume, insieme con Belloni e Reale, la segreteria provvisoria del PRI.

Rieletto parlamentare nel 1948, viene confermato in tutte le successive legislature; è nominato ministro in vari governi. Nel 1950, assume l'incarico di ministro senza portafoglio col compito di procedere alla riorganizzazione dell'Iri. Fondamentale per i destini dell'economia italiana, l'opera da lui portata a termine, nel 1951, in veste di ministro del Commercio estero, per la liberalizzazione degli scambi e per la soppressione dei contingentamenti alle importazioni.

Il decreto sulla liberalizzazione apre la strada al "boom" economico italiano.

Nel 1952 propone, senza successo, una "Costituente programmatica" tra i partiti laici; dal '56, insieme al Pri, sostiene l'idea che i due partiti socialisti si riunifichino.

Nel 1957 i repubblicani ritirano l'appoggio esterno al governo Segni; Randolfo Pacciardi lascia la direzione del partito.

Nel 1959 La Malfa assume la direzione de La Voce Repubblicana.

Nel 1962 è nominato ministro del Bilancio nel primo governo di centrosinistra, presieduto da Fanfani con l'astensione socialista.

Nel mese di maggio presenta la Nota aggiuntiva, che fornisce una visione generale dell'economia italiana e degli squilibri da cui è caratterizzata, delineando inoltre gli strumenti e gli obiettivi di un regime di programmazione. Deve affrontare l'ostilità dei sindacati e di Confindustria.

Nello stesso anno concorre alla decisione del governo di nazionalizzare l'industria elettrica.

Nel marzo del 1965 è eletto segretario del Pri in occasione del XXIX Congresso Repubblicano.

Nel 1966, La Malfa e l' amico di antica data, Giorgio Amendola, comunista, figlio di Giovanni, aprono un dibattito di vasta eco: il leader repubblicano invita la sinistra marxista a lasciare la sua vecchia ortodossia, ponendosi dunque come forza in grado di sviluppare un approccio pragmatico.

Nel 1970, dopo la caduta del terzo governo Rumor, La Malfa rifiuta l'invito di Emilio Colombo ad assumere la carica di ministro del Tesoro: per il leader repubblicano il governo non è stato in grado di delineare un piano strategico di finanziamenti per le riforme dell'università, della sanità, dei trasporti e della casa.

Nel quarto governo Rumor (1973), La Malfa assume l'incarico di ministro del Tesoro; blocca la strada alla richiesta di aumento del capitale della Finambro, aprendo la strada al fallimento delle banche di Michele Sindona. Nel febbraio dell'anno seguente si dimette dall'incarico a seguito di contrasti col ministro del Bilancio.

In dicembre è vicepresidente del quarto governo Moro (bicolore Dc - Pri).

Nel 1975 assume la presidenza del Pri; Biasini ne diviene segretario.

Nel 1976, La Malfa porta il partito nella Federazione dei partiti liberali e democratici europei.

Nel 1978 la sua azione risulta determinante nella decisione italiana di aderire al Sistema monetario europeo.

Nel 1979 è vicepresidente del governo Andreotti e ministro del Bilancio.

Il 24 marzo è colpito da emorragia cerebrale. Muore il 26 marzo del 1979.

Ugo La Malfa (1903 - 1976)

Oronzo Reale (1902 - 1988)

Nasce nel 1902 a Lecce, ultimo di nove figli.

Nel 1919 fonda il circolo giovanile "G. Mameli", riuscendo a far riprendere le pubblicazione de Il Dovere, organo repubblicano del Salento.

Nel 1920 si trasferisce a Roma per intraprendere gli studi universitari. Al Congresso repubblicano di quell'anno aderisce al gruppo guidato da Conti e Zuccarini.

Nel 1924 è nominato direttore dell'Alba repubblicana; diviene segretario nazionale della Federazione giovanile repubblicana. Durante l'Aventino prende una posizione critica nei confronti di tale scelta, seguendo in questo Conti e Zuccarini.

Nel '25, all'università, fonda Il Goliardo. Dal 1926 al 1941 si dedicherà esclusivamente alla professione di avvocato, senza trascurare i contatti con i repubblicani rimasti in patria.

Nel 1943 è nominato componente del Comitato esecutivo del Partito d'Azione.

Nel 1945 è nominato membro della Consulta, divenendo segretario del gruppo degli azionisti. Durante il famoso congresso romano del PdA, che vedrà l'uscita della corrente Parri - La Malfa, e la vittoria del gruppo socialisteggiante di Lussu, pur schierandosi dalla parte dei primi, decide comunque di restare nel Partito d'Azione, ove rimarrà fino al 1947, quando decide di rientrare nel Pri, di cui diviene segretario. Lascerà l'incarico quando sarà nominato ministro di Grazia e Giustizia nel primo governo organico di centrosinistra guidato da Moro.

Reale esercita il ruolo di segretario di partito nella più assoluta discrezione, pronta a tradursi in fermezza ogni volta che l'asprezza del confronto politico spinge la coalizione verso soluzioni da lui giudicate non rispettose pienamente dei principi in nome dei quali la Repubblica italiana è sorta.

Nel 1964 viene confermato ministro di Grazia e Giustizia nel secondo governo Moro; mantiene l'incarico di Guardasigilli fino alla conclusione della legislatura nel terzo governo Moro.

E' ai primi governi di centrosinistra che risale il disegno di legge delega al governo per la riforma del processo penale, riforma che verrà completata più avanti, ma che resta storicamente legata al suo nome.

Nelle elezioni del 1968 è rieletto deputato nelle Marche. Il 12 dicembre di quell'anno, dopo aver lasciato la Presidenza della Commissione Giustizia, assume l'incarico di ministro delle Finanze nel primo governo Rumor.

Il 27 marzo 1970 è nominato Ministro di Grazia e Giustizia nel terzo governo Rumor. E' confermato nell'incarico anche nel primo governo Colombo dell'agosto '70. Quando la direzione del Pri decide di uscire dalla coalizione di governo, presenta le sue dimissioni. A seguito di tale atto, si dimette il presidente del Consiglio.

Nel 1977 è nominato giudice della Corte Costituzionale.

Muore a Roma il 14 luglio 1988.

Oronzo Reale (1902 - 1988)

Michele Cifarelli (1913 - 1998)

Michele Cifarelli nasce a Bari nel 1913. Si dedica - come la sorella Rosa e il fratello Raffaele - agli studi classici, frequenta l’Università di Bari e si laurea in Giurisprudenza nel 1934. Si avvia alla carriera accademica e forense mentre si dedica all’insegnamento nei licei. Nel 1938 vince il concorso per entrare in magistratura.

Da luglio 1934 fino a settembre 1938 tiene un diario, ritrovato tra le sue carte e pubblicato postumo, che documenta la progressiva presa di coscienza di un gruppo di giovani intellettuali e la maturazione di una chiara posizione democratica di orientamento liberal-socialista; è esplicito il rifiuto dell’ideologia e della prassi del Fascismo e delle leggi razziali proprio nel periodo in cui maggiore è il consenso popolare verso il regime.

Grazie ai contatti con Tommaso Fiore e Guido Calogero forma un sodalizio intellettuale con un gruppo di giovani meridionali: i figli di Fiore, Fabrizio Canfora, Ernesto De Martino, Domenico Loizzi, Giuseppe Bartolo ed altri, tutti coinvolti dalla suggestiva atmosfera culturale della libreria di Giovanni Laterza in via Sparano; tramite Fiore frequentano Benedetto Croce nel “cenacolo” che si riunisce presso Villa Laterza in occasione delle frequenti visite dello studioso al suo editore.

Nel 1941, insieme al fratello Raffaele costituisce clandestinamente l'associazione Giovane Europa che si rifà a quella di Mazzini, ed elabora un programma in cui si pone al primo punto l'istituzione della Repubblica e dove è già presente in nuce l'idea dell'Europa federalista che è il primo dei suoi pensieri assieme alla Questione meridionale.

Subito dopo l'8 settembre del 1943, insieme al fratello Raffaele, a Giuseppe Bartolo e Michele D’Erasmo, ottenuto il tacito consenso dal Dirigente Eiar, è animatore delle prime trasmissioni di Radio Bari, la potente stazione emittente del capoluogo pugliese, dalla quale leggono messaggi con cui, inquadrata la nuova situazione geo-politica, esortano all’impegno civile ed alla lotta di liberazione; subito vengono bloccati dal Governo del Regno del Sud insediato a Brindisi ma riprendono le trasmissioni dopo pochi giorni, autorizzati dal maggiore Ian Gordon Greenlees che, a nome degli Alleati, ha preso il controllo della emittente in base ad una clausola dell’Armistizio; il maggiore intuisce che una trasmissione condotta da giovani antifascisti italiani avrà sugli ascoltatori un impatto psicologico ben più efficace di trasmissioni tenute da militari Alleati

Svolge opera di sensibilizzazione anche tra i giovani magistrati suoi colleghi, ma questa intensa attività clandestina non sfugge all'Ovra e nel giugno del 1943 Cifarelli viene arrestato insieme a Calogero, De Ruggero, Tommaso Fiore ed altri. Vengono liberati il 28 luglio subito dopo la caduta del fascismo ma quello stesso giorno è funestato dall’eccidio di via Nicolò dell’Arca, vittime studenti e docenti che andavano a festeggiare la loro liberazione: tra questi Graziano, figlio dello stesso Tommaso Fiore.

Nel dicembre 1943 aderisce con gli altri al Partito d'Azione e si occupa della sua organizzazione locale, aderendo come partito al CLN di Bari e divenendone il segretario provinciale.

In un incontro tra i CLN meridionali avanza la proposta di tenere a Napoli un Congresso Nazionale dei CLN per concordare le scelte politiche ed istituzionali da perseguire nell’immediato e nel futuro e, quando gli Alleati la osteggiano, eleva una vibrante protesta che viene ripresa dalla stampa estera; propone quindi di organizzarlo a Bari e gli Alleati acconsentono.

All'inizio del '44, quindi, si riunisce il Congresso di Bari del CLN (28-29 gennaio 1944), prima Assemblea libera tenutasi nell’Europa liberata e Cifarelli pronuncia il discorso di benvenuto a nome del Comitato Organizzatore. Il Congresso accoglierà l'esortazione di Benedetto Croce a dare un segno di discontinuità politica deliberando di perseguire l'immediata abdicazione del Re ed un nuovo governo aperto ai partiti, e per questo avrà ampia risonanza nel Mondo libero quale primo anello della catena che porterà alla Costituente.

Nel dicembre 1944 come responsabile locale del Partito d'Azione organizza a Bari il Convegno di Studi Meridionalistici dal titolo “Dati storici e prospettive attuali della Questione Meridionale” che vede la partecipazione di eminenti Meridionalisti (Adolfo Omodeo, Guido Dorso, Manlio Rossi-Doria ecc.) e che riprende il dibattito sulle diverse possibili strategie da promuovere per affrontare il problema del Mezzogiorno rimasto congelato per vent’anni a favore della politica di colonizzazione oltremare.

Nel gennaio 1945 assume la direzione organizzativa del Partito d'Azione a livello nazionale.

Dopo l’esito positivo del Congresso dei CLN, avendo assunto impegni politici, ritiene doveroso dimettersi dalla Magistratura, tornando alla carriera forense, per potersi dedicare liberamente alla attività politica.

Dopo la scissione del Partito d'Azione, che comportò l'allontanamento di La Malfa e Parri, partecipa alla costituzione di Democrazia Repubblicana.

Nell'imminenza delle elezioni per la Costituente tenta una ricostruzione dei due tronconi azionisti (un'anima socialisteggiante, con Lussu da una parte, la corrente repubblicaneggiante con La Malfa dall'altra).

Dopo la fine del Partito d'Azione, Cifarelli entra nel PRI. Viene eletto al Parlamento, e designato sottosegretario all'Agricoltura.

Fu un europeista convinto: dal 1948 è vicepresidente del Movimento Federalista Europeo.

Nel 1969 è nominato rappresentante del Partito repubblicano nel Parlamento europeo.

Sostenitore del patrimonio ambientale e artistico italiano, Cifarelli fu uno dei fondatori di Italia Nostra, di cui è stato per molti anni vicepresidente. 

Sensibile alla salvaguardia dei Beni Culturali, all’interno dell’ANIMI promuove anche gli studi archeologici, rilanciando la Società Magna Grecia, le sue pubblicazioni e le attività di ricerca e classificazione di reperti; inoltre, durante la sua attività parlamentare, si impegna ad avviare la costituzione del Parco archeologico di Selinunte e si adopera ad impedire che sul litorale di San Vito Lo Capo e sulla Area archeologica della Piana di Sibari vengano insediate attività industriali.

Nel 1964 fu il promotore della proposta di legge su “Norme generali sui parchi nazionali” e, in sede parlamentare presenterà, nel '70, il disegno di legge - quadro sui parchi nazionali e le riserve naturali.

Il 20 marzo del 1983 è nominato presidente del Parco d'Abruzzo, carica che mantiene per oltre un decennio.

Fu fra i fondatori dell'Associazione Italia - Israele; ne venne eletto presidente e successivamente presidente onorario.

Il suo ultimo impegno pubblico è stato quello, a partire dal 1988, di presidente dell'Associazione per gli interessi del Mezzogiorno d'Italia.

Si è spento il 5 giugno del 1998.

Michele Cifarelli (1913 - 1998)