12. apr, 2022

35° post - Questione economica 1

Fino a qual punto possiamo raggiungere oggi lo scopo di fare corrispondere al progresso politico un progresso sociale, che promuova il miglioramento materiale delle classi più povere? E come, per quali vie possiamo raggiungerlo?
Taluni fra i nostri più timidi amici hanno cercato il rimedio nella moralità dei lavoratori. Fondando casse di risparmio o altre simili istituzioni, hanno detto ai lavoratori: recate qui il vostro soldo: economizzate: astenetevi da ogni eccesso nel bere o in altro: emancipatevi dalla miseria con le privazioni. E sono ottimi consigli perché mirano alla moralizzazione del lavoratore, senza la quale tutte le riforme riescono inutili.
Ma non ne sciolgono la questione di miseria intorno alla quale Mazzini ci parlò, nè tengono conto alcuno del dovere sociale. Pochissimi tra i lavoratori possono economizzare quel soldo. E quei pochissimi possono, accumulando lentamente, provvedere in parte agli anni della vecchiaia, mentre la questione economica deve mirare a provvedere agli anni virili, allo sviluppo, all’espansione possibile della vita quando è attiva e potente e può giovare efficacemente al progresso della Patria e dell’Umanità. Perciò che riguarda i beni materiali, la questione sta nel come accrescere la ricchezza, la produzione; e quei consigli neppure vi accennano. Inoltre, la Società che vive del lavoro e chiede, ogni qualvolta è minacciata, tributo di sangue ai figli del popolo, ha debiti sacri verso di loro.

Altri, non nemici, ma poco curanti del popolo e del grido di dolore che sorge dalle viscere dei lavoratori e dei sottoccupati, nonchè dei disoccupati, paurosi d’ogni innovazione potente, e legati a una scuola detta degli economisti, che combattè con merito e con vantaggio tutte le battaglie della libertà, dell’industria, ma senza porre mente alla necessità di progresso e di associazione, inseparabili anch’esse dalla natura umana, sostennero e sostengono, come i filantropi dei quali ora parlammo, che ciascuno può anche nella condizione di cose attuale, edificare con la propria attività la propria indipendenza; che ogni mutamento nella costituzione del lavoro riuscirebbe superfluo o dannoso; e che la formula ciascuno per sé, libertà per tutti è sufficiente a creare a poco a poco un equilibrio approssimativo d’agi e conforti fra le classi che costituiscono la Società. Libertà di traffici interni, libertà di commercio fra le nazioni, abbassamento progressivo delle tariffe daziarie specialmente sulle materie prime, incoraggiamenti dati generalmente alle grandi imprese industriali, alla moltiplicazione delle vie di comunicazione, alle macchine che rendono più attiva la produzione: questo è quanto, secondo gli economisti, può farsi dalla Società: ogni suo intervento al di là di questo è, per essi, sorgente di male.

Se ciò fosse vero, la piaga della miseria sarebbe insanabile; e Dio tolga, o fratelli, che noi possiamo mai gettare, convinti, come risposta ai patimenti dei nostri fratelli e delle nostre sorelle, alle loro aspirazioni, questa risposta disperata, atea, immorale. Dio ha statuito per costoro un migliore avvenire, che non è quello contenuto nei rimedi degli economisti.

Quei rimedi non mirano infatti che ad accrescere possibilmente e per un certo tempo la produzione della ricchezza, non a farne più equa la distribuzione. Mentre i filantropi contemplano unicamente l’essere umano e s’affannano a renderlo più morale senza farsi carico d’accrescere, per dargli possibilità di migliorarsi, la ricchezza comune, gli economisti non guardano che a fecondare le sorgenti della produzione senza occuparsi dell’essere umano. Sotto il regime esclusivo di libertà che essi predicano e che ha più o meno regolato il mondo economico nei tempi a noi più vicini, i documenti più innegabili ci mostrano aumento d’attività produttrice e di capitali, non di prosperità universalmente diffusa: la miseria delle classi lavoratrici è la stessa di prima ancora per molti, sempre in maggior numero. La libertà di concorrere per chi nulla o pochissimo possiede, per chi, non potendo risparmiare sulla giornata, non ha di che iniziare la concorrenza, è menzogna, come è menzogna la libertà politica per chi mancando di educazione, d’istruzione, di mezzi e di tempo, non può esercitarne i diritti. L’accrescimento della facilità dei traffici, i progressi nei modi di comunicare, hanno emancipato a poco a poco il lavoro dalla tirannide del commercio della parte di classe intermedia privilegiata fra la produzione e i consumatori; ma non hanno giovato a emanciparlo dalla tirannide del capitale, che non da i mezzi del lavoro a chi non li ha. E per la mancanza di un’equa distribuzione della ricchezza, di un più giusto riparto dei prodotti, di un aumento progressivo della cifra dei consumatori, il capitale stesso si svia dal suo vero scopo economico, s’immobilizza in parte nelle mani dei pochi invece di spandersi tutto nella circolazione, si dirige verso la produzione d’oggetti superflui, di lusso apparente, di bisogni fittizi, invece di concentrarsi sulla produzione degli oggetti di prima necessità per la vita o si avventura in pericolose e spesso immorali speculazioni.