13. apr, 2022

36° post - Questione economica 2

Oggi il capitale — e questa è la piaga della Società economica attuale — è despota del lavoro. Delle tre classi che oggi formano economicamente la Società — capitalisti, cioè detentori dei mezzi o strumenti del lavoro, terre, fattorie, banche, materie prime — intraprenditori, capilavoro, commercianti, che rappresentano o dovrebbero rappresentare l’intelletto — e operai e sottoposti che rappresentano il lavoro manuale — la prima, sola, è padrona del campo, padrona di promuovere, indugiare, accelerare verso certi fini il lavoro.

La parte dei secondi è incerta, dipendente dal loro intelletto, dalla loro attività, ma segnatamente dalle circostanze, dallo sviluppo maggiore o minore della concorrenza e dal rifluire o ritirarsi, in conseguenza d’eventi non calcolabili, dei capitali.

La parte degli ultimi, degli operai e dei sottoposti, è il salario, determinato anteriormente al lavoro e senza riguardi agli utili maggiori o minori che usciranno dall’impresa; e i limiti fra i quali il salario si aggira, sono determinati dalla relazione che esiste fra il lavoro offerto e il lavoro richiesto, in altri termini, tra il numero degli operai ed il capitale. Ora il numero degli operai tendendo all’aumento e ad un aumento che supera generalmente, non fosse che di poco, l’aumento del secondo, favorisce la tendenza secondo la quale, il salario, dove altre cause non s’infrappongano, scenda.

E il tempo non è nelle mani dell’operaio o del sottoposto: le crisi finanziarie e politiche, la rinnovata apparizione di nuove macchine ai rami diversi dell’attività industriale, le irregolarità nella produzione e il suo frequente soverchio accumularsi in unica direzione inseparabile da una poco illuminata concorrenza, il riparto ineguale del popolo dei lavoranti su certi punti o su certi rami d’attività, e dieci altre cause interrompendo il lavoro, non lasciano all’operaio e al sottoposto la libera scelta delle sue condizioni. Da un lato sta per loro l’assoluta miseria, dall’altro l’accettazione d’ogni patto che gli venga proposto nei contratti precostituiti.Condizione siffatta di cose ha, val la pena di ripeterlo, il germe in sè d’una piaga che bisogna curare. I rimedi proposti dagli economisti sono inefficaci per questo.E nondimeno, c’è progresso nella condizione della classe alla quale appartengono operaie e operai: progresso storico, continuo, che ha superato ben altre difficoltà. Gli operai dei tempi passati furono schiavi, poi furono servi, oggi sono salariati. Si emanciparono dalla schiavitù, dal servaggio; perché non emanciparsi dal giogo del salario per diventare produttori liberi, padroni della totalità del lavoro della produzione che esce da essi stessi?

Perché tra l’opera loro e l’opera della Società, che ha doveri sacri verso i suoi membri, non si dovrebbe compiere pacificamente la più grande, la più bella rivoluzione che possa idearsi, quella che, dando come base economica al consorzio umano il lavoro, come base alla proprietà i frutti del lavoro, raccoglierebbe, sotto una sola legge d’equilibrio tra la produzione e il consumo, senza distinzione di classi, senza predominio tirannico d’uno degli elementi del lavoro sull’altro, tutti i figli della stessa madre, la Patria Europea?