25. apr, 2022

48° post - Buon XXV Aprile! Una comune patria europea è da realizzare avendo un pantheon di padri e madri, come, per esempio la partigiana Oriana Fallaci.

Primogenita di Edoardo, artigiano, e Tosca Cantini, casalinga, nacque a Firenze il 29 giugno 1929. Dopo la caduta del regime fascista, nel luglio del 1943, Edoardo entrò nella Resistenza nelle fila di Giustizia e Libertà e portò con sé la figlia. Oriana aveva 14 anni e con la sua aria da ragazzina era perfetta per fare da staffetta e portare messaggi e materiale senza destare sospetti. Con il nome di battaglia di Emilia, scelto dalla sua professoressa di filosofia alle superiori, affiancò il padre anche nelle azioni più pericolose, come la raccolta di materiale paracadutato dagli Alleati sulle montagne fuori Firenze o prestare aiuto ai soldati alleati evasi dai campi di prigionia italiani, o dispersi dietro le linee.

Nel 1943, due soldati britannici restarono nascosti in casa Fallaci e furono sistemati proprio nella stanza di Oriana che, per l’occasione, si spostò a dormire nel corridoio. Tutto ciò fu determinante per la formazione di Fallaci che rimase molto colpita da questo suo primo contatto con soldati di Paesi che ai suoi occhi rappresentavano la libertà e la lotta contro fascismo e nazismo. Quando arrivò il via libera dalla Resistenza li accompagnò lei stessa con il padre vicino a Pontassieve, da dove poi avrebbero potuto passare le linee e tornare a combattere. Il ricordo di tali avvenimenti venne narrato molti anni dopo nel romanzo "Penelope alla guerra" (Milano 1962), in cui l’eroina adolescente si innamora di uno dei due soldati nascosti in casa dal padre.

Nel marzo del 1944 Edoardo, arrestato dai fascisti, fu torturato a lungo dalla banda Carità affinché rivelasse i nomi dei compagni. Non cedette e venne poi trasferito al carcere cittadino delle Murate, dove fu poi scarcerato nello stesso anno. Oriana raccontò in seguito che questo avvenne grazie al coraggio e allo spirito di iniziativa della madre, che ricattò un miliziano fascista che aveva dei precedenti penali da nascondere.

Nell’agosto del 1944 Firenze venne liberata dalle forze alleate e Oriana congedata dal corpo Volontari della libertà con il grado di soldato semplice e 14.570 lire di paga.

Fino allo scioglimento del Partito d’Azione, nel 1947, fu iscritta alla Federazione giovanile, e partecipò alle attività e ai comizi in città. Sottolineò sempre, in seguito, che il Partito d’Azione era stato l’unico partito di cui avesse mai avuto la tessera.

Il periodo della Resistenza durò meno di un anno, ma giocò un ruolo fondamentale nella maturazione di Fallaci. In quei mesi, infatti, la giovanissima Oriana ebbe modo di osservare da vicino i grandi personaggi del Partito d’Azione – Enzo Enriquez Agnoletti, Tristano Codignola, Margherita Fasolo, Carlo Furno, Maria Luigia Guaita, Nello Traquandi, Paolo Barile, Leo Valiani, Ugo La Malfa, Emilio Lussu –, sviluppando ancor più il culto della libertà e dell’eroismo, già trasmessole dalla famiglia. Eroismo, coraggio e libertà furono per tutta la vita i tre capisaldi su cui basò la sua coscienza politica.

Ottima allieva, Fallaci non perse l’anno a causa della militanza nella Resistenza, anzi, ne saltò uno sostenendo un esame per passare dall’Istituto magistrale Gino Capponi, ov'era iscritta, al liceo classico Galileo Galilei, presso cui si diplomò con ottimi voti nel giugno del 1947. A settembre si iscrisse alla facoltà di Medicina ma per mantenersi iniziò anche a lavorare come cronista per il quotidiano fiorentino Il Mattino dell’Italia centrale. Quando si presentò in redazione aveva 18 anni e, come uniche credenziali, la sua determinazione a scrivere e il nome di Bruno Fallaci, fratello maggiore del padre e all’epoca giornalista di fama. Venne subito notata e diventò cronista regolare del quotidiano. Dopo un anno di studi e lavoro paralleli fu costretta a scegliere e optò per il giornalismo, che le dava uno stipendio regolare. Il suo sogno era quello di diventare «scrittore» e il giornalismo non era che un modo per arrivare a questo obiettivo e al tempo stesso per potersi mantenere senza pesare sulla famiglia.Come cronista del Mattino dimostrò fin dall’inizio grande talento e duttilità, scrivendo di qualsiasi argomento: dalla cronaca nera alla politica locale, al costume. Fin da allora si distinse per l’approccio personale ai soggetti giornalistici, lo stile vivace della narrazione e la grande capacità di osservare e rendere ogni dettaglio di ciò che vedeva, con vero piglio di scrittrice. I suoi primi articoli sono già straordinariamente riconoscibili e maturi. Collaborò con molti altri giornali e nell’aprile del 1951 ebbe l’onore di veder pubblicato un suo articolo nel settimanale L’Europeo, uno fra i più prestigiosi del Paese. L’articolo, intitolato "Anche a Fiesole Dio ha avuto bisogno degli uomini", era ispirato alla curiosa vicenda di un cattolico comunista di Fiesole cui i compagni di partito avevano fatto il funerale religioso contro le indicazioni del parroco, che gli aveva negato i sacramenti. Il direttore Arrigo Benedetti la notò e le fece scrivere altri articoli. Dopo un breve passaggio a Epoca, nel 1955 Oriana Fallaci venne assunta nella redazione milanese dell’Europeo, che restò il suo giornale fino al 1977.

All’epoca le donne nei giornali italiani erano pochissime e relegate ai temi cosiddetti 'femminili': costume, moda, cinema. Fallaci dovette accettare questo stato di cose anche se in realtà il rigore intellettuale, la severità del carattere e la formazione personale erano lontanissimi da quei soggetti leggeri, che non amava. Fin da giovane voleva scrivere di politica, desiderio quasi irrealizzabile per una donna in quegli anni, anche se si impegnò fin da allora per arrivare a questo obiettivo. Appena possibile partecipò a viaggi stampa, per vedere il mondo.

Nel 1954 fu a Teheran con una delegazione di giornalisti e ottenne un’intervista con Soraya, la moglie dello Scià, scrivendo un pezzo vivacissimo che racchiudeva già tutto il suo talento di intervistatrice. Pur non amando i soggetti mondani, grazie a essi Fallaci poté mettere a punto la sua tecnica, che poi sbocciò nella grande stagione delle interviste politiche degli anni Settanta.Un primo viaggio negli Stati Uniti, seguito subito da molti altri, e un lungo soggiorno a Hollywood le permisero di studiare le tecniche delle giornaliste di costume americane, che parlavano con grande disinvoltura delle star del cinema esercitando di fatto un controllo totale sul destino dei divi. Fallaci mutuò da loro un giornalismo aggressivo, d'attacco, sconosciuto in Italia, che presto divenne il suo tratto distintivo. In quei primi anni la sua tecnica era già perfettamente formata: preparazione accurata di ogni intervista, uso continuo del registratore, montaggio cinematografico del materiale, presenza in prima persona nell’articolo e nell’incontro con l’intervistato, che spesso usciva malconcio dal trattamento.

Nel 1958 pubblicò a Milano per Longanesi il suo primo libro, I sette peccati di Hollywood, una raccolta di articoli sul cinema americano apparsi ne L’Europeo, che ottenne un grande successo. Firma di primo piano del giornale, Oriana Fallaci cominciava ad avere un pubblico affezionato. Al primo libro seguirono rapidamente altri volumi, pubblicati sempre a Milano per Rizzoli, che divenne da allora la sua casa editrice di riferimento, a cominciare da "Il sesso inutile" (1961), una raccolta di articoli pubblicati su L’Europeo sulla condizione della donna nel mondo: inviata dalla rivista e accompagnata da un fotografo del settimanale, Fallaci aveva viaggiato per settimane attraverso Turchia, Pakistan, India, Malesia, Hong-Kong, Giappone, Hawaii, raccontando al pubblico la condizione femminile in ogni cultura. Risale a questo viaggio il suo primo contatto diretto con l’Islam e le sue critiche alla condizione della donna nei Paesi dove questa religione è dominante.

Nel 1962 dette alle stampe il suo primo romanzo, "Penelope alla guerra", ritratto di una giovane scrittrice italiana che scopre New York e l’amore. In gran parte autobiografico, il romanzo porta traccia dell’amore tragico e non ricambiato che Fallaci aveva vissuto alcuni anni prima con un collega italiano. Subito dopo pubblicò "Gli antipatici" (1963), una raccolta di ritratti al vetriolo delle celebrità del cinema e della cultura pubblicati sull’Europeo. Tutti questi libri furono grandi successi di vendita in Italia e vennero tradotti nelle principali lingue occidentali: grazie ai proventi ottenuti, Fallaci poté riscattare la povertà della famiglia, acquistando una grande tenuta nel Chianti che offrì ai genitori per i loro anni della vecchiaia, e comprare una casa per sé a Manhattan. A contatto con gli Stati Uniti aveva maturato infatti la convinzione che la comunicazione globale fosse destinata ad avvenire in inglese, e che il futuro del giornalismo fosse di fatto in America e non in Europa. Dopo anni di pendolarismo tra Italia e Stati Uniti, nel 1963 si trasferì in modo definitivo a New York.Ormai diventata una firma famosissima del giornalismo italiano e un’autrice di successo, Fallaci poté finalmente decidere di cosa occuparsi. Voleva tornare ai temi della sua giovinezza: il coraggio e la politica.

Per un breve periodo meditò un libro sugli eroi che avevano lottato nel Partito d’Azione, poi decise di occuparsi di un altro tipo di eroi, quegli astronauti che negli Stati Uniti erano impegnati nella corsa allo spazio contro l’URSS. Chiese all’Europeo di poter compiere una serie di lunghi soggiorni in California e in Texas, per studiare come gli astronauti lavoravano e si preparavano ad arrivare sulla Luna. Attratta dalla loro abnegazione e dal loro coraggio, divennne amica di molti di loro, in particolare di Pete Conrad, che fu al comando della missione «Apollo 13» e che lei chiamò sempre 'suo fratello'. Alla corsa allo spazio dedicò poi due libri di grande successo: "Se il sole muore" e "Quel giorno sulla Luna" (1970).

Nel 1968 ottenne di essere inviata dall’Europeo in Vietnam, per assistere a quel conflitto che divenne presto emblematico dell’epoca della guerra fredda e che vide per la prima volta gli Stati Uniti sconfitti. Fallaci, che nella guerra era cresciuta, volle recarsi di persona per vedere e testimoniare ciò che stava succedendo laggiù e insistette con il suo direttore per partire. Andare al fronte fu anche un modo per viaggiare indietro nel tempo e tornare a studiare la guerra che l’aveva segnata fin da bambina. Si disse sempre convinta che la guerra fosse una cosa orribile e spesso inutile, ma al tempo stesso ne era affascinata perché sosteneva che in guerra era possibile scorgere l’uomo nella sua verità assoluta, nel bene e nel male.

Fu l’unica giornalista italiana presente in Vietnam, e ben presto i suoi reportage divennero leggendari. Soggiornò più volte nel Paese, restando fino alla fine del conflitto, nel 1975, e raccontando al pubblico la vita a Saigon, ma anche le condizioni in cui si viveva al fronte, i bombardamenti, i rastrellamenti, gli interrogatori dei prigionieri. Realizzò molte interviste esclusive, come quella al generale Giap, ad Hanoi, e mostrò nelle sue cronache le atrocità della guerra, da qualsiasi parte provenissero. Critica verso gli Stati Uniti ma anche verso il Vietnam del Nord, riuscì in questo modo a inimicarsi entrambe le parti in lotta. A questa esperienza dedicò "Niente e così sia" (Milano 1969). In Vietnam incontrò François Pelou, giornalista francese direttore dell’Agenzia France Presse di Saigon, che fu per alcuni anni il suo compagno e la aiutò a maturare politicamente.

In quegli anni Fallaci divenne una grande giornalista politica, impegnata su più fronti: non solo la guerra vietnamita, ma anche le dittature in Sudamerica – nel frattempo Pelou era diventato direttore dell’Agenzia France Presse di Rio de Janeiro –, la guerriglia in Medio Oriente e le grandi questioni politiche e militari dell’epoca. In Medio Oriente inaugurò la serie di interviste a leader politici che presto la fecero conoscere in tutto il mondo come la più famosa e temibile intervistatrice internazionale. Mise al servizio dei ritratti politici le tecniche che aveva messo a punto durante i primi anni del giornalismo di costume e di fatto inventò un nuovo modo di intervistare i personaggi. Nacquero pertanto le Fallaci Interviews, poi riunite in "Intervista con la storia" (Milano 1974) e che ben presto divennero materia di studio nelle scuole americane di giornalismo. In quegli anni fu una giornalista impegnata e divenne una vera e propria celebrità.

Quando, nel 1968, fu ferita gravemente a Città del Messico, durante la repressione governativa di una manifestazione popolare e studentesca di protesta che stava seguendo per L’Europeo, ricevette telegrammi di solidarietà provenienti da tutto il mondo.

"Lettera a un bambino mai nato" (Milano 1975) fu il primo romanzo che raggiunse i numeri e il successo di un best-seller planetario, dove Fallaci si interroga sui grandi temi della vita, della morte, del limite tra libertà individuale e diritti del nascituro.

Poi, "Un uomo" (1979), romanzo ispirato alla storia di Alexandros Panagulis, che per tre anni fu il compagno di Oriana e che morì nel 1976 ad Atene in un incidente automobilistico mai chiarito.

Nel 1979 si recò in Iran a intervistare Ruhollah Khomeini, il leader religioso che aveva rovesciato Mohammad Reza Pahlavi, scià di Persia, e instaurato la Repubblica islamica; quindi fu in Libia per incontrare e intervistare Muammar Gheddafi, all'epoca giovane dittatore a capo del Paese. Nel 1981 intevistò Lech Wałęsa, un oscuro operaio di Danzica che iniziava a sfidare il potere sovietico con il suo sindacato Solidarność.

Nel 1990 pubblicò "Insciallah", grande narrazione corale ambientata durante la guerra civile libanese, che Fallaci aveva visto da vicino visitando sul terreno molte volte il comando italiano delle forze di pace nel 1983. Il romanzo è una condanna senza appello dell’assurdità della guerra e al tempo stesso una prefigurazione dello scontro tra Islam politico e Occidente destinato a prender corpo nei decenni successivi.

Dopo anni di silenzio, a seguito del crollo delle torri gemelle, scrisse un lungo articolo pubblicato nel Corriere della Sera il 29 settembre 2001, intitolato "La rabbia e l’orgoglio", con cui cercò di fustigare l’Occidente, e in particolare l’Europa, colpevole ai suoi occhi di mancanza di passione e di coraggio davanti all’attacco di una civiltà giovane e aggressiva come l’Islam. Per rispondere alle polemiche immediate che, soprattutto sulla stampa italiana, seguirono la pubblicazione dell’articolo, dedicò tre anni ad argomentare ed estendere il suo discorso, pubblicando una trilogia (La rabbia e l’orgoglio, Milano 2001; La forza della ragione, ibid. 2004; Oriana Fallaci intervista sé stessa - L’Apocalisse, ibid. 2004).
Minata dalle metastasi del tumore, nel 2006 tornò a Firenze dove si spense il 15 settembre del 2006.