1. mag, 2022

54° post - Dialogo sui Doveri 3 - dell'attualità della proposta di Mazzini e del PRI: l'intervista impossibile del prof. Sauro Mattarelli a Giuseppe Mazzini

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Marrarelli: Quindi tu ritieni che, dopo aver insegnato per secoli il semplice esercizio dei diritti, sia impossibile chiedere fatica, abnegazione, altruismo, e tutto quanto serve per far crescere una società. Dopo aver predicato il benessere, insomma, sarà difficile sia liberare il Paese da un'eventuale invasione straniera, sia tentare di redimere gli strati sociali più sfortunati perchè l'istinto prevalente sarà quello di arraffare la ricchezza e il potere a scapito del prossimo, senza pensare troppo al futuro, o alle conseguenze.
Mazzini: Non si tratta solo di un'opinione. E' la storia ad insegnarci questa lezione amara. Basta esaminare le lotte del passato. Quando qualcuno ha combattuto, in buona fede intendiamoci, in nome del benessere, della libertà di pensiero, una volta conseguito l'obiettivo non si è mai curato, poi, degli altri. I più hanno dimenticato i drammi dei popoli e le esigenze delle moltitudini che rivendicavano l'esercizio di altri diritti, o la conquista di ulteriore benessere. E' giusto chiamarli traditori? Perché non chiamare invece traditrice la loro dottrina? Prendi ora ad esempio Lamennais: credeva nel dovere di sacrificare l'intera esistenza al bene comune, studiava uomini ed epoche, non si lasciava sedurre dagli applausi, né avvilire dalle delusioni. Oggi possiamo considerarlo un autentico apostolo. La differenza tra gli "uomini dei diritti" e gli uomini come Lamennais sta nel fatto che ai primi la conquista dei loro diritti individuali toglie ogni stimolo ed è sufficiente perché arrestino la loro azione; il lavoro dei secondi invece non si ferma che alla fine della vita.

Mattarelli: Possiamo tentare allora una prima puntualizzazione alla luce di queste considerazioni e dei tuoi scritti più recenti: l'opera di coloro che praticano il dovere si svolge soprattutto tra i popoli schiavi, dove i pericoli sono più alti, dove il sacrificio può giungere fino al martirio, dove la lotta contro le ingiustizie è segreta, oscura, priva dei conforti della pubblicità e, talvolta, dei riconoscimenti. Deve essere un'opera di costanza, che induca a non rassegnarsi mai, a sfidare il rischio della prigione, del patibolo, dell'esilio e a non arrestare la propria azione quando il successo premia individualmente. Non ti sembra una forma di eroismo utopica e lontana dal sentire comune?
Mazzini: E' proprio per questo motivo che la dottrina dei diritti è preferita a quella dei doveri. Una volta placato il tumulto dello spirito, concluso il momento della lotta contro il tiranno, dopo qualche anno di sforzi, sacrifici, delusioni inevitabili, quanti esseri umani non si stancherebbero? Parlo naturalmente della generalità, non delle eccezioni che esistono in tutte le dottrine. Quanti non preferiscono il riposo a una vita irrequieta, densa di contrasti e pericoli? Ma il punto sta proprio nell'individuare la molla capace, oggi, di cambiare le coscienze. In nome di che cosa si può convincere una persona che le delusioni devono servire a fortificarci? Chi può dire a una persona di continuare a lottare per i propri diritti, non per alcuni anni, ma per tutta la vita, quando quella stessa lotta gli costa di più che non il mettersi in disparte?

Mattarelli: Da queste considerazioni si deve quindi desumere che, stando alla tua impostazione, nella società contemporanea la sfida vera consiste nell'agire sulle coscienze cambiando il principio di partenza. Devo però farti notare che, attraverso le teoriche dei diritti, la nostra civiltà ha conosciuto un progresso sociale importante; sono stati conseguiti significativi traguardi nel campo della giustizia. Non sembra un compito facile convincere al cambiamento un'opinione pubblica plasmata su modelli irti di difetti, se vogliamo, ma indubbiamente efficaci, almeno per una parte significativa dell'umanità.
Mazzini: Ti sottopongo un caso. Supponiamo che una persona si senta abbastanza forte da rompere il patto sociale. Ipotizziamo che dica:"le mie tendenze, le mie facoltà mi chiamano altrove: ho il diritto sacro, inviolabile, di svilupparle a costo di pormi in guerra contro tutti". Che risposta possiamo dare (o abbiamo dato in passato) a una simile ipotesi restando fedeli alla teorica dei diritti? Possiamo, in nome della maggioranza, imporre l'ubbidienza a leggi che non si accordano con i suoi desideri sfrenati e con le sue aspirazioni individuali? Se abbiamo fondato le regole della convivenza sociale sui diritti, che diritto abbiamo di punirlo quando egli le viola? I diritti, per essere tali, devono appartenere in misura eguale ad ogni individuo, la convivenza sociale non può crearne uno solo. La società ha più forza, non più diritti dell'individuo. Come possiamo allora indurre l'individuo a dissolvere la sua volontà nella volontà degli altri cittadini o dell'umanità intera? La società, finora, ha dovuto usare la forza, ma questa è guerra, e noi vogliamo la pace; è repressione tirannica, e noi vogliamo educazione.

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Nel link che segue, l'ultimo saluto a Mario Guidazzi mentre 36 bandiere di 36 sezioni repubblicane di tutta l'Emilia Romagna lo onorano durante l'Inno di Garibaldi suonato dalla banda della sua Cesena:

Nel link che segue il resoconto di Cesenatoday delle onoranze a Mario Guidazzi:
https://www.cesenatoday.it/cronaca/funerali-mario-guidazzi-capo-storico-repubblicani-cesena.html