3. mag, 2022

56° post - Dialogo sui Doveri 5 - dell'attualità della proposta di Mazzini e del PRI: l'intervista impossibile del prof. Sauro Mattarelli a Giuseppe Mazzini

Da oggi al termine del post inauguriamo il calendario delle donne e degli uomini del dovere che hanno vissuto, patito e spesso hanno trovato morte da martiri per costruire gli Stati Uniti d'Europa.

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Mattarelli: Quindi, secondo il tuo punto di vista, non si tratta affatto di rinunciare aprioristicamente ai diritti, ma di fare in modo che siano la conseguenza logica, il risultato, di un dovere compiuto. Una sorta di priorità: al diritto non si può accedere se non dopo aver adempiuto ai propri doveri. Da questo punto di vista possiamo affermare che il benessere materiale va inteso come mezzo per adempiere ai doveri, anziché come scopo ultimo dell'esistenza?
Mazzini: Certo. Non dico che non dobbiamo occuparci di felicità, di consumi e beni materiali; mi sento però di affermare che questi valori, proposti come fini anziché come semplici strumenti, conducono a tristi risultati. Quando gli antichi romani si limitarono a chiedere "pane e divertimenti" si ridussero a diventare la razza più abietta e dopo aver subito la tirannia degli imperatori caddero vilmente schiavi dei barbari che invasero il loro territorio. La storia insegna che i nemici di ogni progresso hanno sempre seminato la corruzione, infondendo l'idea che lo sviluppo vero sia solo quello materiale. Intendiamoci, i miglioramenti materiali sono necessari e occorre lottare per conquistarli, ma non perché alle persone servano alloggi lussuosi o cibi particolarmente raffinati, ma perchè non possiamo avere coscienza della nostra dignità personale se siamo in continua lotta con la miseria. Se per vivere dobbiamo lavorare dodici ore al giorno; se si guadagna appena il necessario per sopravvivere dove troveremo il tempo e i mezzi per educarci?

Mattarelli: Appunto, torniamo alle osservazioni iniziali. A questi aspetti occorre aggiungere la precarietà del lavoro, il rischio continuo della disoccupazione. Interi popoli guadagnano sotto il limite della sussistenza, milioni di famiglie non sono in condizioni di risparmiare nulla. Molte persone sono costrette dalla miseria a separarsi dai figli, dalle mogli o dai mariti. Per pochi soldi si perdono di vista i sentimenti profondi, gli affetti, il calore familiare. Questa è la dura realtà con cui si scontrano le teorie dei diritti e dei doveri.
Mazzini: Condivido pienamente. Posso anzi aggiungere che in una simile situazione, di fatto, si perdono i diritti di cittadinanza; il voto diventa una farsa, la partecipazione alla vita pubblica si annulla. Come si potrà nutrire rispetto sincero verso le leggi dello Stato in queste condizioni? Se la giustizia è mal distribuita, come sarà possibile apprendere l'amore per la giustizia? Se la società discrimina, come potremo amare la società? Ecco perché occorre un cambiamento, a cominciare dalle condizioni materiali dei più. Ma torno a ribadire che l'aspetto nuovo deve consistere nel fatto che questo mutamento va cercato come mezzo, non come fine. Va perseguito per senso del dovere, non unicamente come diritto: per crescere interiormente, non solo per farci materialmente felici. In caso contrario quale sarebbe la differenza tra noi e i nostri tiranni? Essi sono tali proprio perché guardano esclusivamente al proprio benessere, alla voluttà, alla potenza. Invece lo scopo della nostra vita è di farci migliori.

Mattarelli: In altri termini sostieni che la ricetta per renderci stabilmente meno infelici sta nella nostra capacità di migliorarci.
Mazzini: Se combattessimo in nome esclusivo della convenienza materiale o per gli interessi di una certa organizzazione i tiranni sorgerebbero a migliaia fra noi. Poco importa che cambino le strutture se sopravvivono le passioni insane, e gli egoismi. Le organizzazioni sono come certe piante che offrono veleno o rimedi a seconda del modo con cui vengono utilizzate. Le persone buone fanno buone le organizzazioni cattive, i malvagi fanno tristi le buone.

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E' bene ricordare che, come oggi, il 03 maggio 1863 Francesco Nullo, bergamasco dei "Mille" di Garibaldi, capo di un manipolo di italiani andati gratuitamente a combattere per l'indipendenza della Polonia dalla Russia dello zar, cadde colpito al cuore, assieme a Elia Marchetti e Febo Arcangeli, anch'essi volontari italiani