16. giu, 2022

99° post - Prosegue la pubblicazione a puntate del romanzo biografico, "Une nuit de Rimini - della vita di Giuseppe Mazzini"

Dall'almanacco dei martiri del dovere, riportiamo che, come oggi, il 16 giugno 1849 fu ferito nella difesa di Roma l'artigliere faentino Giovanni Calzi.

L’esilio in Francia 
Qualche giorno dopo a Marsiglia, nella stanza di Mazzini che lì viveva in esilio, si incontrarono tutti i capi dell’organizzazione repubblicana francese e italiana. Mazzini disse ai presenti: “Ieri, 27 aprile, Carlo Felice è morto e Carlo Alberto gli succede sul trono del Piemonte. Anche se ho il presentimento che ben poco cambierà a Torino, considerata l’influenza che i gesuiti mantengono a Corte, dobbiamo comunque lavorare e cercare di cogliere le opportunità che ci verranno offerte. Ho il piacere di fare le presentazioni degli amici presenti: Armond Carrel, Godefroy Covoignac, Garnie Pages, Carlo Bianco, Gustavo Modena, Luigi Amedeo Melegari, Angelo Usilio, Giuseppe Lamberti, Giuseppe La Cecilia. Ognuno dei presenti si è dichiarato disponibile a collaborare per la causa italiana.” I presenti sentivano l’importanza di esserci e fu spontaneo al termine della breve e significativa presentazione che tutti si stringessero la mano e si abbracciassero fraternamente per poi mettersi al lavoro. A causa del tragico destino che stavano vivendo l’Italia e gli italiani in quel periodo, che un pensiero razionale non poteva che vedere ancor peggiore all’orizzonte, Mazzini iniziò, come in lutto per la tragedia in atto, a vestirsi sempre in abito nero con foulard di seta nera al collo, e con una barba nera lunga e folta. In quella stanza di Marsiglia iniziò così tra i repubblicani adunati da Mazzini, un’attività febbrile a preparare testi di volantini, a stampare e organizzare le copie dei vari documenti da spargere nella penisola. In quelle giornate di frenetica, appassionata, rischiosa e gratuita attività patriottica, un giorno Mazzini, mentre attorno a lui nella sua stanza si svolgevano le più svariate attività preparatorie di momenti insurrezionali, si sedette alla scrivania, prese un foglio e scrisse:
”A Carlo Alberto di Savoia
Sire
Vi fu un momento, in Italia, in cui gli schiavi guardarono in voi siccome un loro liberatore. E vi fu un altro momento in cui le madri maledissero il vostro nome, e le migliaia vi salutarono traditore.
Noi abbiamo detto: nessuno fu traditore fuorché il destino... Ora vedremo se c’ingannammo.
Sire! Ponetevi alla testa nella nazione e scrivete sulla vostra bandiera: Unione, Libertà, Indipendenza! Liberate l’Italia dai barbari e vivete eterno.  
UN ITALIANO”
Qualche settimana dopo, nei pressi di un’edicola in una piazza centrale di Torino due persone parlavano tra loro a bassa voce. Uno di loro, che teneva il giornale sotto l’ascella, poi lo aprì con gesto nervoso e sottovoce disse all’altro:”Bisogna avvertire Mazzini” e indicò al confidente una scheda di polizia sul giornale con i dati e il ritratto di Mazzini con scritto sotto a caratteri ben evidenti “Ordine d’arresto qualora mettesse piede nel regno”. Sotto era riportato il seguente proclama reale: “Il Re Carlo Alberto concede un’amnistia per i reati comuni, rifiutandola ai detenuti politici, diminuisce le pene per i piccoli reati, non revoca le interdizioni, ampia la facoltà discrezionale dei magistrati, elimina la confisca dei beni.” I due con uno sguardo preoccupato e un cenno del viso si accomiatarono e si divisero a passo svelto.
Intanto a Marsiglia, nella stanza di Mazzini si discuteva tra i repubblicani su come proseguire l’iniziativa emancipatrice. Erano presenti Carlo Bianco, Gustavo Modena, Angelo Usiglio, Giuseppe Lamberti, Amedeo Melegari, Giuseppe La Cecilia. Mazzini seduto a capo tavola con il sigaro in bocca ascoltava, come tutti, Carlo Bianco che aveva preso la parola: “Amici, io sono il capo della società segreta “Votati alla morte”, braccio armato della setta degli Apofasimeni, presieduta da Filippo Buonarrotti. Giuseppe i fratelli mi chiedono di insistere affinché anche tu sia dei nostri.” Mazzini, agitando la testa, rispose:”Carlo, da quello che ho appreso la vostra società ha un ordinamento militare complesso di simbolismo, giuramenti e gradi molteplici che uccidono, con la disciplina, l’entusiasmo del cuore. Per me un’Associazione deve essere sì insurrezionale ma anche educatrice. I moti del centro Italia inoltre hanno dato un colpo mortale alla supposta vitalità della vostra Società. O gli Apofasimeni si sono inseriti in quei moti, e sono ora esuli, dispersi o noti, o si sono tenuti in disparte, e questa è una prova che non erano forti come tu dici.” A queste parole, i presenti come mossi da una molla, iniziarono a discutere animatamente nella stanza, creando una gran confusione. Così Mazzini alzò la mano per chiedere silenzio e ancora la parola: “Fratelli, tutti noi, abbiamo nostalgia di una patria e ognuno di noi è pronto a sacrificarsi per crearla. Tutte le nazioni libere d’Europa sono piene degli antichi cospiratori esuli da ogni Stato d’Italia, che ormai non fanno altro che piangere sulle sventure proprie e della patria perduta.” A quelle parole i giovini accennavano con la testa, pensierosi. Mazzini continuò:”Ma noi siamo ancora giovini e non possiamo limitarci a compiangere noi stessi: dobbiamo metterci al lavoro. Le vecchie società segrete sono troppo ambigue e tenebrose per accogliere i nostri disegni: e poi non le guida alcun pensiero morale: dobbiamo riunirci tra giovini e stringerci in giuramento solenne. La nostra Associazione sarà la “Giovine Italia” con un suo statuto e un suo giuramento”. Bianco interruppe Mazzini dicendo:”Giuseppe, pensaci, aspetta, vedrai che l’ azione clamorosa è prossima”. Mazzini fissò Bianco, poi, con tono forte replicò:”No, Carlo, i tuoi Apofasimeni si abbandonano all’estro individuale dei singoli, un’organizzazione armata che non combatte e al massimo, contempla l’uso del pugnale, in attesa che la Francia torni a esser guida e vindice di democrazia in Europa. Il mio concetto politico, che deve guidare la Giovine Italia, implica invece l’insurrezione generale e la guerra di popolo” Mazzini battè nervosamente la mano sul tavolo e continuò:”Un popolo deve liberarsi da se, altrimenti è indegno di libertà. La vittoria è sulla punta della spada, non in astuti protocolli.” Mostrando una bandiera tricolore italiana che mentre parlava dispiegava, Mazzini aggiunse:”Su questa bandiera tricolore scriveremo il motto: Unione, Libertà e Indipendenza.” I presenti ricominciarono a gesticolare e discutere. Bianco chiese silenzio e poi rivolto a Mazzini disse:”Giuseppe, ogni mia resistenza cade, mi hai convinto, è ora di passare veramente alla lotta. Io sono con te e porterò alla Giovine Italia tutti quei giovini Apofasimeni che sono stanchi delle mene dei vecchi esuli.” Di fronte a quell’intervento appassionato di Bianco, i presenti si alzarono e iniziando tutti a battere le mani, finirono abbracciandosi gridando:”Viva la Giovine Italia, Viva l’Italia, Viva Mazzini!” Mazzini riprese a parlare:”l’amico Giuseppe Lamberti vi leggerà ora lo Statuto dell’Associazione, affinché vi siano chiari gli scopi e le strade per raggiungerli”. Giuseppe Lamberti si alzò e lesse lo Statuto della Giovine Italia:”La Giovine Italia è la fratellanza degli italiani convinti che l’Italia è chiamata ad essere Nazione, che il segreto della potenza è nella costanza e nella unità degli sforzi e quindi c o n s a c r a n o il pensiero e l’azione al grande intento di restituire l’Italia in nazione di liberi ed uguali. Una, Indipendente, Sovrana” - mentre Lamberti leggeva con tono stentoreo lo sguardo di molti si posava su una mappa d’Italia, suddivisa nei vari Stati del 1831 - “La Giovine Italia è per un’Italia repubblicana e unitaria organizzata amministrativamente su larghe basi di autonomia e rispettosa della libertà dei Comuni, ma con un’organizzazione politica unica e centrale. Senza unità di fede e di patto sociale, senza unità di legislazione politica, civile e penale, senza unità di educazione e di rappresentanza non vi è nazione”. I giovini, fino a quel punto in totale ascolto scoppiarono in un fragoroso applauso convinti ed entusiasti. Mazzini fece un ampio segno della mano per interrompere e con tono dolce e solenne allo stesso tempo disse:”Se il programma dell’Associazione è anche il Vostro programma, ascoltate le sacre parole del giuramento che Modena vi leggerà e, al termine, giurate!” Gustavo Modena si alzò e iniziò a declamare:”Io, cittadino italiano per l’ amore che mi lega alla mia Patria infelice, per i tormenti sofferti dai miei fratelli italiani, per le lacrime sparse dalle madri sui figli uccisi o imprigionati, per la memoria dei padri, per le catene che mi circondano G I U R O di consacrarmi tutto e sempre alla Patria, per conquistare indipendenza, unità e libertà all’Italia, di spegnere col braccio ed infamare con la voce i tiranni e la tirannide politica, civile, morale, cittadina e straniera e di distruggere, potendolo, il traditore.” E da quel momento, tutti insieme lessero il giuramento:”Così giuro, rinnegando ogni mio particolare interesse per il vantaggio della mia Patria ed invocando sulla mia testa l’ira di Dio e l’abominio degli uomini, l’infamia e la morte dello spergiuro se io mancassi al mio giuramento.” Nei giorni successivi l’Associazione iniziò il proselitismo fuori dalla stanza di Mazzini.  
In questo contesto operativo di tutti gli associati, anche la stampa venne a conoscenza di questa attività, e per la prima volta a Modena nel Ducato ripristinato ne pubblicava, a modo suo, l’esistenza. Alcune persone, che con curiosità si erano portate in prossimità dell’edicola in Piazza San Domenico, vicino al Palazzo Ducale dove in quei giorni era stata firmata la condanna a morte per Ciro Menotti eseguita qualche giorno prima, lessero sul giornale “La Voce della Verità” che “Un’empia associazione s’è formata a Marsiglia dal rifiuto e dalla feccia dei fuorusciti italiani, la quale impunemente si dà il titolo di “Giovine Italia”. Essa ha lo scopo dichiarato di portare in Italia il fuoco della discordia e della rivoluzione. Sembra che voglia addirittura stampare un giornale per diffonderlo negli Stati della penisola. Questi nuovi strumenti del demonio porteranno nuovamente sulle nostre terre rivolta e sangue.” A quella lettura, un uomo esterrefatto, agitando la testa, disse:”Sono dei pazzi, pazzi e fanatici e colpevole è il governo francese che permette a costoro di circolare indisturbati!” Un altro, più isolato nella stessa piazza, vestito di nero che, letto per conto suo l’articolo, appallottolando nervosamente il giornale e buttandolo, sentenziò imprecando:”Merde !”
A Marsiglia, Mazzini e Modena trovatisi a tu per tu, discutevano animatamente e Modena con tono duro disse:”...Ma gli intellettuali italiani, non avevano promesso di collaborare?” Mazzini, amareggiato rispose:”Quasi nessuno lo ha fatto, caro Modena, lo stesso La Cecilia ha dovuto smettere quando a Napoli ha appreso che suo padre era stato incarcerato dal governo borbonico a causa degli articoli che aveva scritto.” Modena era visibilmente preoccupato e a lui Mazzini con viso tirato continuando disse:”In Italia la tirannia sussiste perché i padri restano inerti”. Modena fissò Mazzini, riflettè, poi sfogliando un giornale si rivolse all’amico dicendo:”In quest’articolo c’è un compendio di luoghi comuni che sull’Italia hanno espresso noti personaggi. Ascolta: ”l’Italia è terra di morti (Lamartain), l’Italia è solo una espressione geografica i suoi abitanti polvere di umanità (Principe di Metternich). Tu sai che molti intellettuali italiani, anche repubblicani sono per la federazione e considerano l’ unione dell’Italia un’utopia.” Mazzini ancora più bianco del solito replicò:”Caro Gustavo, riconosco che è impresa difficile e pericolosa, molto più di quanto non sembra agli spiriti romantici.”
E mentre a Marsiglia i capi dell’Associazione si interrogavano e si impegnavano per la diffusione del proprio programma e la crescita dell’Associazione stessa, in un lussuoso salone di Milano molte persone vestite a modo per l’occasione per una serata galante lo affollavano; erano presenti signori e aristocratici di entrambi i generi, tutti vestiti con abiti sontuosi e le dame sfoggiavano gioielli di ottima fattura. Nel salone c’era un ambiente fastoso, dove troneggiavano i lampadari di Murano con i cristalli a goccia. In un capannello di persone presenti nel salone, tra le quali Carlo Cattaneo, si iniziò una discussione. Cattaneo con un sigaro in mano, aprì la discussione dicendo:”La Giovine Italia è ornata di dottrine filosofiche e di bello stile, ma essa parla una lingua ardua alle plebi e a molti che non stimano le plebi. L’eco della Giovine Italia di Mazzini è nella generosa e poetica gioventù delle accademie, di qualche caserma, e delle aule teologiche. No non è popolare, non penetra addentro nella carne e nell’anima del popolo come la coscrizione, il bastone tedesco e la legge del bollo.....” Mentre Cattaneo affermava il suo pensiero, un anziano signore, interessato a quella conversazione lo interruppe dicendo:”Le moltitudini raramente si ribellano per le idee, nemmeno la libertà è una ragione sufficiente a provocare una rivoluzione. Le ragioni ideali sono ancora meno valide in Italia, dove ogni città, per storia e tradizione, è ostile all’altra. Nessuno convincerà i napoletani a muover guerra agli austriaci per la libertà di Milano.” Cattaneo a queste parole rispose con un battito di mani. Poi con timbro di voce più alto ed additando con la mano a semicerchio i presenti disse:”Signori, le idee di Mazzini fanno breccia fra gli studenti, i giovini e gli idealisti, mentre restano estranei gli intellettuali ostili, i moderati e i benpensanti.“ Cattaneo fu bruscamente interrotto dall’avviso divulgato per il salone dal personale di servizio:”Fra poco avranno inizio le danze. Tutti i presenti sono pregati di portarsi al centro della sala”.
In quei giorni a Genova, segretamente, si erano riuniti pochi amici nella stanza della casa di Jacopo Ruffini. Il giovine Jacopo rivolto agli amici disse:”Eccoci in cinque amici, molto giovini, con assai scarsi mezzi, chiamati ad abbattere un governo costituito. Ho il presentimento che a pochi di noi sarà concesso di vivere per poter vedere la vittoria, ma il seme sparso darà i suoi frutti dopo di noi. Oggi stesso a Torino e in tutto il Regno di Sardegna, nella Lombardia, nella Toscana, nelle Romagne, nelle Legazioni e nelle Marche pontificie, negli Abruzzi e nel Regno di Napoli si stanno costituendo i comitati, o congreghe come vuole chiamarli Mazzini in ricordo di Pontida. Dobbiamo distribuire questo materiale alle persone a noi note, di sicuri sentimenti repubblicani e democratici, che a loro volta lo distribuiranno seguendo lo stesso criterio. Quando sarà il momento dell’azione, Mazzini ce lo farà sapere.” Terminata la breve comunicazione i giovini uscirono dalla casa di Ruffini uno alla volta a distanza di cinque minuti l’uno dall’altro guardandosi intorno, per assicurarsi che nessuno li stesse spiando o li seguisse.