21. giu, 2022

104° post - "L'INSURREZIONE DALLA SAVOIA" - 7° paragrafo / 1° capitolo - Dai moti dell’Italia centrale all’esilio in Inghilterra (1831 - 1837)

Dall'almanacco dei martiri del dovere, riportiamo che, come oggi, il 21 giugno 1822 furono condannati a morte in contumacia dal Senato di Torino Giovanni Plasso di Asti, tenente della Legione Reale Leggera, Alessandro Rattazzi avvocato, Giovan Battista Ceruti medico, Giuseppe Strossi di Frossasco (Torino), impiegato alle poste di Alessandria.
L’insurrezione dalla Savoia
Qualche giorno dopo all’hotel Navigation, molti giovini entravano ed uscivano dall’albergo. Tra questi vi era Agostino Ruffini, appartato in un salottino, intento a parlare con una giovine donna:”Sei una bella ragazza…” Nel mentre il giovine Ruffini accarezzava la ragazza e la baciava, apparve Bianco che esclamò:”Agostino, Mazzini ti sta aspettando!” La donna guardò improvvisamente accigliata Ruffini, lo allontanò con una spinta, si alzò e gli gridò:”Imbroglione, non sei Giuseppe Mazzini come mi hai fatto credere. Io posso amare solo lui”. La donna si nascose il viso fra le mani e si allontanò di corsa, mentre Ruffini, allibito trovò Bianco che gli batté una mano sulla spalla. I due si fissarono seri, poi scoppiarono in una sonora risata. All’hotel Navigation di Ginevra continuavano gli incontri preparatori all’insurrezione. Un gruppo di persone entrarono nella hall. Li fermò Harro Harring:”Buongiorno. Voi certamente siete i rappresentanti della Savoia e avete chiesto di parlare con Mazzini, accomodatevi”. Harring precedeva le persone nel Salone, dove Mazzini stava parlando con Carlo Bianco e con Ciani. “Salute a Voi, sono Giuseppe Mazzini e questi sono il colonnello Carlo Bianco e Giacomo Ciani. Avete già conosciuto Harro Harring. Ascolterò con interesse quanto vorrete riferirmi.” Uno dei nuovi giunti, piuttosto anziano, si staccò dal gruppo, e disse:“ad Annecy 300 volontari borghesi e 60 carabinieri, pronti a defezionare, e così pure dei sott’ufficiali della brigata Acqui, attendono il segnale della rivolta; a Chambery e a Bonneville, sono pronti a scoppiare moti insurrezionali. Tuttavia molti abitanti delle nostre terre si chiedono quale sarà la sorte della nostra Regione a rivoluzione conclusa e noi vorremmo tranquillizzare i nostri concittadini.” Mazzini rispose pacatamente:”Quando la Savoia sarà affrancata dal tiranno, i suoi cittadini saranno liberi di scegliere, attraverso un plebiscito, se staccarsi dall’Italia e unirsi alla Francia o, se, come nuovo Cantone, far parte della Confederazione Elvetica”. I rappresentanti della Savoia si guardarono vicendevolmente e col capo fecero cenni d’assenso, mentre Mazzini riprese:”Comanderà le operazioni il generale polacco Ramorino, nativo di Genova, che come ufficiale dell’armata napoleonica ha combattuto a Dresda, a Mosca, a Waterloo e nella rivolta polacca contro gli austriaci e i russi del 1831. Il piano, senza scendere in dettagli, è presto detto: due colonne invaderanno la Savoia, la prima partirà da Lione con alla testa il Ramorino, l’altra da Ginevra e sarà da me personalmente ordinata. “Noi cittadini di Chambery siamo pronti e anche armati. Ci uniremo al Generale Ramorino appena questi passerà il confine!”. Nei giorni seguenti, sempre a Ginevra, Mazzini, Ruffini e altri erano in apprensione e passeggiavano nervosamente. Mazzini, si fermò e disse agli altri:”La sorte non ci è favorevole: da Napoli è giunta la notizia che la polizia ha eseguito alcuni arresti: ciò è bastato per bloccare il piano così come era stato ideato. Come se non bastasse, mi è giunto un messaggio da Lione, dove si dice che Ramorino non si è visto e uno da Parigi dove viene descritto, ubriaco, ai tavoli da gioco, a sperperare, forse, i danari della rivoluzione. Ma da Genova Garibaldi ci conferma che sono pronti alla rivolta ed alla occupazione dei forti e delle caserme. Io dico che, malgrado questi imprevisti, non possiamo attendere oltre”. Entrò Ciani con un altro dispaccio, Mazzini lo visionò e disse:”Ma i volontari sono già in attesa a Lione e Chambery, e a Bonneville sono pronti a insorgere e a dar loro un valido aiuto. Non possiamo desistere proprio ora. Rosales, il compito di Ramorino è affidato a te, vai a Lione e contatta il Comitato italiano di quella città.” Alcuni giorni dopo in un salone signorile di Lione Rosales era già assieme ai membri del Comitato Italiano cittadino. Entrò un membro del Comitato assieme a un cittadino di Chambery “Signor Rosales, tramite questo inviato i cittadini di Chambery ci fanno sapere che non si muoveranno se a capo delle forze d’invasione non vi sarà il Generale Ramorino. Si teme che l’invasione fallisca e che la rappresaglia di Carlo Alberto sulla città sia feroce.” “Andrò a Parigi e cercherò di convincere Ramorino - disse allora Rosales - a cambiare idea. Avvertite intanto Mazzini del cambiamento di programma”. Appena giunto a Parigi, Rosales entrò in una sala di un albergo, dove incontrò Ramorino. I due parlarono brevemente e in modo molto animato. Al termine, congedandosi dal militare:“Allora intesi, - disse Rosales - riprenderà il comando delle operazioni e partirà immediatamente per Lione”.
Sulla sponda Svizzera del lago, vicino a Nyon, c’era una capanna. All’interno erano accatastate carabine, pugnali, cartucce in una confusione indescrivibile. In un angolo, sopra un pagliericcio dormiva un uomo con un fucile accanto. Sulla riva le barche e le zattere erano pronte per trasportare i volontari. Due uomini, col fucile a tracolla, montavano la guardia. A Carrouge, sul lago di Ginevra, sulla strada che da Ginevra porta in Savoia a Saint Julien, c’era un’altra baracca dove un volontario armato faceva la guardia a carabine, pallottole e lance. Nel mentre, a Berna nel Palazzo del Governo, nell’anticamera del Presidente della Confederazione Svizzera gli ambasciatori di Piemonte e Austria passeggiavano nervosamente. Una porta si aprì e si affacciò il Segretario rivolto all’ambasciatore del Piemonte:“Prego eccellenza, si accomodi, il Presidente l’attende”. L’ambasciatore austriaco ebbe un moto di stizza poi avanzando verso la porta, scostò il Segretario e imperiosamente disse:”Non perdiamo tempo, il Presidente ci riceverà entrambi”. Il presidente era in piedi dietro la scrivania, quando entrarono impetuosamente i due ambasciatori di Piemonte ed Austria; accanto al Presidente c’era il Comandante dell’esercito svizzero:“Eccellenze, state tranquilli, la situazione è sotto controllo. Ve lo potrà assicurare il Comandante delle nostre forze armate. Prego Comandante:” "Questa mattina abbiamo fatto irruzione a Nyon e a Carrouge in alcune baracche dove sono state sequestrate armi e mezzi da sbarco. I nostri soldati hanno poi bloccato e disperso una colonna di volontari repubblicani tedeschi che marciavano armati e irregimentati verso il confine della Savoia; la stessa cosa è avvenuta nei confronti di un folto gruppo di volontari polacchi disarmati e privati delle provviste.” L’Ambasciatore d’Austria, scattò in avanti e rivolto al Presidente:”Questi pericolosi sovversivi sudditi dell’imperatore d’Austria devono essere accompagnati al confine con la Lombardia e consegnati alla nostra polizia”. Il Presidente, con calma, mosse un passo verso gli ambasciatori e con voce ferma disse:”Il mio Paese, come già ho detto, è un paese neutrale e ha impedito che dal suo territorio si arrecasse danno ai Vostri Paesi. Voi con i quali vogliamo mantenere buoni rapporti. Ma non vi posso consegnare i giovani volontari mazziniani, ai quali abbiamo del resto impedito di commettere qualsiasi reato. Ho ordinato che siano identificati e poi accompagnati alla frontiera francese con l’ingiunzione di non rimettere più piede in Svizzera. Lo stesso Mazzini è prigioniero nell’Albergo che lo ospita. Di più non posso e non voglio fare.” A seguito delle pressioni enormi sul governo svizzero da parte di Austria e Piemonte, all’albergo Navigation di Ginevra che ospitava Mazzini, la situazione precipitò. I gendarmi avevano circondato l’edificio per procedere alla sua cattura. Improvvisamente, da tutte le parti arrivarono cittadini svizzeri che si scagliarono contro i gendarmi e li costrinsero ad abbandonare il campo. Da una porta sul retro, intanto, Mazzini e altri suoi compagni approfittarono della confusione per lasciare l’albergo e, a piedi, raggiungere il lago.
Il giorno dopo, al generale Ramorino che scendeva da una barca al lago di Ginevra al confine svizzero assieme ad altri tre personaggi, gli si fecero incontro una cinquantina di sbandati. “Abbiamo saputo che i Piemontesi si sono ritirati da Saint Julien convinti che il numero dei nostri sia talmente alto da non poter resistere e si sono acquartierati sulla strada di Annecy per poter difendere quella città. Un nostro attacco improvviso notturno li potrebbe mettere in difficoltà e far decidere di abbandonare anche quella posizione. Annecy, pronta a insorgere, sarebbe nostra.” Il generale Ramorino, squadrò dall’alto in basso il volontario e urlò:”Non credo a queste fole, togliamo il campo in fretta e ripieghiamo su Thonon, sul lago per poter aver via libera alla ritirata se le cose si mettono male.” Mentre Ramorino circondato dai volontari avanzava sulla strada, a cavallo, incontrò Mazzini armato di carabina che si reggeva a stento a cavallo, divorato dalla febbre. Mazzini si avvicinò al Generale e ponendosi di fronte cercò di fargli cambiare idea:”Generale, la supplico, non possiamo deviare dal piano prestabilito. Dobbiamo rispettare gli accordi presi con i rivoltosi della Savoia, altrimenti sarà un massacro”. Ma il generale imperterrito rispose seccamente:”Io sono il responsabile delle operazioni e decido io in merito alla strategia da seguire. Ora si va a Trembliere e di qui ad Annemasse e poi a Thonon”. La colonna di Ramorino incontrò sulla strada una garitta di doganieri che, circondati, vennero disarmati e lasciati fuggire. Poi la colonna proseguì per la strada e incontrò un altro posto di dogana. Anche qui si ripetè la stessa scena, inoltre vennero requisiti carri e cavalli. Infine la colonna si fermò, in tarda serata lungo il lago, non lontano dal punto di partenza. Venne allestito un campo di tende per la notte. Prima del riposo notturno, un cavaliere sopraggiunse al galoppo e si presentò al generale:“Generale, i polacchi giunti da Nyon si sono radunati davanti a Coppet e là aspettano istruzioni e barche per venire a Hermance, come convenuto. Attendono le une e le altre”. “Domani ci penseremo, accendete molti fuochi attorno al campo per far credere al nemico che siamo numerosi.” E dopo aver detto queste parole il Generale si ritirò nella sua tenda per andare a dormire. Attorno al campo erano state disposte numerose sentinelle che si tenevano vicino ai fuochi. Il freddo della notte sul lago era pungente entrando nelle ossa, mentre il silenzio calava sul campo e un traghetto sciabordava sull’acqua. A un tratto si elevò dal silenzio un grido:”All’arme!!!” Ramorino uscì dalla tenda mezzo svestito. Le grida si rincorrevano più forti:”All’arme, all’arme, arrivano i Piemontesi”. Il generale preso alla sprovvista, dopo alcuni attimi di esitazione, ordinò risoluto:”Presto caricate i carri con le armi sul traghetto, si torna in Svizzera". Poi corse sul traghetto sul quale si imbarcavano altri soldati e il carro con le armi. Un gruppo di volontari arrivò di corsa e si buttò verso il traghetto per impedire che questo si muovesse. Alcuni di essi cominciarono ad urlare all’indirizzo del generale:”Vigliacco! Siamo venuti per combattere i Piemontesi, non per fuggire e tornare in Svizzera. Vogliamo batterci traditore....” Nonostante gli sforzi dei volontari, il battello riuscì a partire e nella gran confusione che si era creata, Ramorino riuscì comunque a fuggire e a raggiungere a nuoto il traghetto.
Proveniente da Grenoble l’altra colonna di volontari armati, marciando, passò sotto il cartello che indicava la strada per Chambery. La colonna, comandata da Rosales, si fermò in vista del confine. Rosales chiamò a sè un volontario:”Stiamo per raggiungere il confine tra la Francia e il Piemonte. Passa parola che il silenzio sia assoluto per non insospettire i doganieri francesi. Passiamo su quel sentiero a destra che ci consentirà di evitare le guardie francesi e di entrare in Savoia”. La colonna si incamminò sul sentiero e dopo un po' di marcia il comandante la fermò. Sopraggiunse un volontario che era andato in avanscoperta:”Rosales, siamo in vista del posto di confine di Les Echelles sorvegliato da pochi carabinieri piemontesi, che sarà facile sopraffare in quanto stanno all’interno della baracca a bere e a giocare a carte”. “Avanti in silenzio - disse allora Rosales - circondiamo il posto di polizia evitando di sparare per non insospettire i francesi.” Così alcuni volontari si diressero acquattati verso la baracca e, al cenno di uno, entrarono velocemente con le carabine spianate. I Carabinieri piemontesi, mezzo svestiti e distratti dal fumo e dal gioco, alzarono immediatamente le mani e si arresero. Mentre i volontari disarmavano i carabinieri, un carabiniere che stava di guardia all’esterno, rivolto verso il confine francese si allontanò e poi balzando su un cavallo che pasteggiava poco distante in un recinto, corse verso Chambery, senza che gli invasori se ne accorgessero. Un altro carabiniere, anch’esso all’esterno della baracca, tentò di fuggire, ma venne visto da un volontario che, presa la mira, gli sparò con la carabina e l’uccise. Intanto la colonna si mise in marcia avanzando lungo la strada per Chambery guidata da Rosales che era su uno dei cavalli trovati nel recinto.
Era ormai sera quando i soldati piemontesi che erano partiti da Chambery, appostati e in attesa degli invasori, aprirono il fuoco. Due volontari caddero subito uccisi, si rispose al fuoco, ma lo scontro non durò molto. A battaglia conclusa, rimasero sul terreno i due volontari uccisi e due feriti: il lombardo Angelo Volentieri e il nizzardo Giuseppe Borel che vennero fatti prigionieri, mentre il resto della colonna retrocedette e per la stessa strada riparò nuovamente in Francia. 
Mazzini si trovava in un letto di una stanza in una caserma, circondato da soldati stranieri. Dormiva. Si agitava nel sonno e si udiva la sua voce mentre continuava ad essere incosciente:”... ovunque si suonerà a stormo; alcuni patrioti percorreranno le vallate per propagare l’insurrezione. Ogni paese insorto lo farà sapere con fuochi accesi sulle alture...Si cerchi di evitare conflitto tra popolo e truppa. L’insurrezione scoppierà al grido di “Viva la Repubblica”. Le donne, i fanciulli, i vecchi sono sotto la protezione del Popolo in armi.
Si svegliò grondante sudore, vide Usiglio accanto al letto e gli chiese:”Usiglio, dove siamo ? Chi sono questi soldati?” Mazzini sbarrò lo sguardo, poi con un gesto rapido mise la mano alla cintura, frugò, ma non trovò nulla. Usiglio con un’espressione di grande dolore lo mise al corrente della situazione:”Giuseppe, non ti agitare, siamo in Svizzera, tu sei svenuto in preda alla febbre e siamo riusciti a tornare in Svizzera, i gendarmi ci cercano e un ufficiale svizzero ci ha fatto condurre in segreto in questa caserma dove siamo al sicuro. Non cercare nella cintura, il veleno te l’ho preso io. “E la colonna? Ramorino?” chiese ancora Mazzini seduto sul letto, con la testa fra le mani. “Quasi tutti sono riusciti a riparare in Svizzera. Ramorino è fuggito e non so dove sia.”