29. giu, 2022

112° post - "'A MILANO DOPO LE CINQUE GIORNATE" - 7° paragrafo/2° capitolo - Dall’inizio dell'esilio inglese alla fine della Repubblica Romana (1837-1849)

Dall'almanacco dei martiri del dovere, riportiamo che, come oggi, il 29 giugno 1799 Horatio Nelson entrò con la sua flotta nel porto di Napoli. Vennero imprigionati 40.000 napoletani sospetti repubblicani ed impiccato sulla fregata inglese Minerva Francesco Caracciolo, ufficiale del Re prima e della Repubblica Partenopea poi.

A Milano dopo le cinque giornate

Dieci giorni dopo una carrozza arrivò e sostò a Piazza Duomo a Como. Qualcuno scese dalla vettura mentre Mazzini, anch’egli a bordo della vettura, rimase assorto. Ad un tratto il conducente si avvicinò ad un suo conoscente di Como e gli disse:”Sulla carrozza, tra i passeggeri, si trova Giuseppe Mazzini.”
L’uomo ignorò il conducente esterrefatto, e iniziò fulmineamente a fermare affannosamente le persone, a parlare loro e ad additare la carrozza: giovani, preti, gente comune circondò allora la carrozza e dalla folla radunata si sentì gridare:”Mazzini, si fermi in città...Mazzini stia con noi stasera…”
Mazzini guardò appena tutto questo, era commosso. Quindi, si appoggiò con la testa alla carrozza e chiuse gli occhi mentre la vettura ripartì.

La vettura arrivò a Milano e si fermò all’Hotel Bella Venezia a notte inoltrata. Mazzini scese dalla carrozza e nessuno lo vide mentre entrava nell’albergo. Quando varcò la soglia, però, sentì uno sconosciuto che iniziò a gridare:”Viva Mazzini !!!”
Mazzini si girò, agitò leggermente la testa, sorrise e si avviò verso la reception

Il mattino seguente a Milano parecchie persone parlavano animatamente in diverse strade, botteghe e mercati rionali.
In serata una folla immensa con le torce accese si recò all’Hotel (Bella Venezia) per acclamare Mazzini gridando da fuori l’albergo il suo nome:”Mazzini, Mazzini, Mazzini!!!”
Intanto una deputazione della Guardia civica entrava nell’atrio dell’albergo e quando si trovò di fronte a Mazzini, un graduato gli consegnò una bandiera. Mazzini, già sconcertato dall’accoglienza della folla che lo acclamava, vedendo questo giovine, prese con mano tremante la bandiera, la srotolò e apparì il tricolore con la scritta
Mazzini abbracciò tutti i giovini, e commosso non riuscì a parlare mentre arrivavano le voci dalla piazza:”Viva Mazzini, Viva Mazzini, Viva Mazzini”
Il clamore della piazza arrivava sempre più forte ed il graduato, con garbo disse:”Signor Mazzini, è costretto a parlare e mostrarsi, la folla lo acclama, la vuole salutare”.
Mazzini si affacciò al balcone tenendo nella sinistra la bandiera, ma non riuscì a parlare, tenne le labbra contratte per l’emozione e guardava i fuochi e l’ondeggiare nero della gente che pronunciava il suo nome ad alta voce:”Mazzini, Mazzini, Viva Mazzini”.
L’esule rimase immobile, col volto pallido, appena rischiarato dalla luce tremolante delle torce, i suoi lineamenti sembravano pietrificati.
La folla insisteva:”Mazzini ci parli, parli, vogliamo sentire la sua voce... Mazzini... Mazzini”.
Mazzini fece un cenno con la mano e disse soltanto:”Grazie, grazie.. grazie di cuore a tutti... fratelli!!! Viva l’ Italia. Viva l’Unità d’Italia!”
Mentre Mazzini rientrava dal balcone, parecchi genovesi entrarono nella sua stanza, lo abbracciarono e lo baciarono: Mazzini stupefatto si limitò a dire:”Viva l’Italia”
E in risposta i giovini intorno a lui:”Viva l’Italia, viva Mazzini, fuori l’Austria dall’Italia”.


Qualche ora più tardi, nella sua stanzetta, mentre Mazzini a letto rifletteva, bussarono alla porta. 
La porta è aperta, entrate…”
Entrò Federico Campanella, vecchio amico di Mazzini, nella penombra cercò di individuare il letto del maestro e disse:”Giuseppe.. sono Federico, scusa se disturbo il tuo sonno ma giungo or ora da Torino. E’ il re che mi manda, il re che ti ha condannato a morte vuole vederti, vuole parlare con te, chiede il tuo aiuto…”
Mazzini, ormai alzato, in vestaglia si avvicinò a Campanella e lo abbracciò dicendo:”Mio buon Federico, la tua visita è sempre gradita... “
“Giuseppe, Carlo Alberto ti chiede di patrocinare la fusione della Lombardia con il Piemonte e in cambio tu avrai mano libera a scrivere gli articoli della nuova costituzione”.
Mazzini passeggiava per la stanza con le mani dietro la schiena e dopo alcuni momenti di silenzio disse all’amico:”Carlo Alberto rompa apertamente qualunque legame diplomatico, qualunque unione con gli altri Principi, firmi un proclama dando all’Italia l’Unità assoluta, con Roma per capitale e spodestando tutti gli altri tirannelli italiani: solo allora saremo soldati sotto la sua bandiera: se no, no.”


La notte seguente in un ristorante del centro di Milano, Mazzini e Cattaneo si erano seduti a un tavolo.
“Cattaneo, non capisco come tu, l’animatore delle cinque giornate di Milano, possa essere imbevuto di illuminismo settecentesco considerando la società un insieme di individui egoisticamente in perenne conflitto tra loro”.
Era notte inoltrata e i due stavano ancora a discutere: I due si fissarono e Mazzini continuò:”Noi ci accapigliamo ma siamo d’accordo sui principi fondamentali della democrazia e della forma di governo repubblicana: io sono convinto che solo la forma unitaria conviene, in questo momento, all’Italia”.
Cattaneo agitando negativamente la testa rispose:”Giuseppe, io sostengo che l’Italia è fisicamente e storicamente federale, ma tu - che sicuramente lo pensi - non vuoi ammetterlo”.
Mazzini battè la mano sul tavolo:”E tu hai capito e non vuoi ammettere che l’Unità nazionale è l’anima del Risorgimento: solo così si può svegliare e coinvolgere il Popolo”.
“Per me - repilcò Cattaneo - la libertà viene prima dell’indipendenza e dell’unità: la libertà garantita da Carlo Alberto è quella di finire come i nostri martiri della Giovine Italia e comunque l’unione col Piemonte significa sostituire il despota austriaco con un despota ancora più conservatore e poi addio Repubblica”.
Mazzini alzò il tono della voce:”Io non riesco a capire come si può porre il problema della libertà senza avere prima conseguito l’indipendenza e l’unità. Quanto alla Repubblica non è ch’io intenda rinunciarvi: ma la forma di governo va risolta dopo che tutte le forze in campo hanno contribuito a conquistare l’indipendenza e l’unità.


La sera successiva, Cattaneo, Giuseppe Ferrari, Cernuschi, Visconti Venosta e Sirtori si erano ritrovati nella stanza di Mazzini, che li fece sedere un po’ sul letto e un po’ sulle tre sedie in dotazione alla camera dell’albergo. Prese la parola Carlo Cattaneo:”Giuseppe, ci troviamo qui per un definitivo chiarimento”.
Mazzini, impassibile guardò i presenti e con le braccia conserte ascoltò Cattaneo:”La gioventù delle barricate non ha combattuto per sostituire lo Spielberg con Fenestrelle, la tetra prigione di stato nella quale i Savoia rinchiudono i prigionieri politici.”
Mazzini, seduto sul bordo della sedia tenendo la testa leggermente piegata a sinistra replicò:”Sapete come la penso in fatto di monarchia e non c’è bisogno che veniate a ricordarmi i miei doveri; ma è un fatto che l’esercito di Carlo Alberto, sia pure con grave ritardo, avanza sul Mincio. Prima bisogna cacciare gli austriaci e poi discuteremo del dopo. Dobbiamo essere alleati leali e temporanei del campo regio, anche se quel campo non è il nostro. Prima la Guerra poi la Costituente nazionale.”
Cattaneo scosse la testa e con voce dura riprese:”A costo di essere accusato di empietà, piuttosto che vedere un traditore alla testa della Lombardia, preferisco il ritorno dell’Austria!”
Mazzini impallidì...e dopo una breve riflessione disse:”Non voglio apparire scortese ma…” e poi d’un fiato rispose con fermezza:”...non posso fare a meno di considerare questo discorso come un avanzo di municipalismo”
Cattaneo s’alzò di scatto, Ferrari, rosso in viso, additando Mazzini gridò ai compagni:”Quest’uomo è un venduto!”
Mazzini si alzò a sua volta e si lanciò contro Ferrari, ma venne fermato: i presenti lasciarono la stanza mentre entrava una guardia civica. Mazzini rimase seduto, pensieroso, con gli occhi chiusi e la testa fra le mani dicendo a se stesso:”Sono continuamente a contatto di gente che viene a tentarmi. Io non posso essere diverso da quello che sono. Io vedo più in là di molti altri”

Il giorno dopo, un inserviente consegnò a Mazzini una busta. L’uomo, con la fronte ampia e possente, occhi nerissimi, grandi, fascinosi, aprì la busta e lesse la lettera:”Giuseppe Mazzini, sei condannato a morte per alto tradimento.” Mazzini con la barba bruna che dava risalto alla pelle diafana del viso, per niente intimorito dalla minaccia sorrise, ma pensò:”Sono un esule nel mio Paese”.

Mazzini nella sua stanza a Milano, dopo aver ricevuto la condanna del governo provvisorio, era intento a scrivere quando sentì bussare alla porta:”La porta è aperta”
La porta si aprì lentamente, una donna entrò delicatamente nella stanza e Mazzini, con la coda dell’occhio, vide la madre e si alzò lasciando cadere la penna. I due si fissano intensamente. Poi si avvicinarono e si abbracciarono stringendosi come a formare una sola persona.
Maria Mazzini fu la prima a scuotersi e parlò al figlio:”Tuo padre è ammalato, non è potuto venire”.
Mazzini, sempre tenendo stretta la madre, con voce tremante di commozione rispose:”Povera mamma mia, quanto devi avere sofferto per questo tuo pazzo figlio”.
Mazzini ora accarezzava il viso della madre, toccava le rughe profonde, i capelli tutti bianchi, poi la fissò negli occhi e pensò:”Solo gli occhi sono limpidi e vivacissimi”.
La donna fece un gesto con la testa a voler dire al figlio che la cosa non aveva importanza. La madre lo guardò lo toccò e abbracciandolo di nuovo concluse sussurandogli:”Sei partito ragazzo, ora sei un uomo fatto, il volto segnato, la barba folta già brizzolata di bianco, lo sguardo acceso dall’ansia continua”.
 La donna fece per voltarsi e andare via, così Mazzini la baciò e si sforza di sorridere.

Anche Mazzini dovette partire, e questa volta lo fece a cavallo indossando una divisa da soldato semplice della legione.
Mentre cavalcava nella campagna presso Bergamo imbracciando la carabina, pensava:”Sono sicuro che solo il popolo e i volontari salveranno Milano perché sui fiacchi piemontesi è meglio non contare”

Nelle campagne di Bergamo, finalmente, Mazzini raggiunse Garibaldi.

Intanto a Milano, dentro Palazzo Greppi, Carlo Alberto era seduto al tavolo con le carte spiegate, assieme al generale piemontese Olivieri, il quale gli riferiva la situazione:”Maestà, Radetzky si trova alle porte di Milano con 37.000 uomini, ma il paese gli è ostile. Per la difesa della città noi disponiamo della quattro divisioni Piemontesi che sommano 25.000 uomini, più 6.000 uomini della divisione lombarda più 6.000 guardie nazionali. Inoltre ho dato disposizione affinché la divisione Sommariva, forte di 7.000 uomini, si porti da Piacenza, per Stadella, a Milano per congiungersi al grosso dell’esercito. La informo infine che ho mandato a Bergamo, al generale Garibaldi l’ordine di dirigere tutte le truppe sotto i suoi ordini verso Milano per molestare il nemico al fianco e alle spalle.”
Carlo Alberto guardò dubbioso il suo generale, mentre arrivano il generale Lazzari e il generale d’artiglieria Rossi. Lazzari proruppe:”Maestà la delegazione che avete inviato al Maresciallo Radetky, è riuscita ad ottenere che l’esercito piemontese possa ripiegare indisturbato.La città sarà risparmiata se la convenzione proposta da Radetzky sarà ratificata entro le quattro del pomeriggio e se domani alle otto la Porta Romana sarà consegnata dall’esercito piemontese alle truppe austriache.”

In quei momenti concitati, dopo aver sentito il generale Lazzari, Carlo Alberto decise di parlare dal balcone di Palazzo Greppi alla folla:”Bisogna convincersi ad accettare la resa, il nemico è alle porte con forze preponderanti; altrimenti la città verrà rasa al suolo.”
A queste parole inattese, la folla imponente e ondeggiante gridò:”Traditore! Traditore! Milano non è tua!”
Nel mentre un colpo di fucile lo sfiorò. Nella piazza si era formato un tumulto generale, la polizia caricava la folla mentre la confusione era totale.
Nella notte, protetto da un ampio mantello, scortato dalla brigata Piemonte, comandata da Alfonso la Marmora, Carlo Alberto scappò da Milano

Intanto Mazzini marciava alla testa delle truppe garibaldine al fianco del generale Garibaldi, in sella al suo cavallo e portava una piccola bandiera tricolore con la scritta “Dio e Popolo” innescata sulla canna del fucile.
Garibaldi lo guardava e agitando la testa pensava:”Non reggerà alla fatica, cederà da un momento all’altro. Sono sorpreso della sua forte fibra che contrasta col corpo esile e fragile.”
All’improvviso un diluvio d’acqua si abbattè sugli uomini della colonna. Mazzini si tolse il tabarro nero e lo gettò sulle spalle di un giovine soldato vestito di tela.

A Monza, dove giunsero fradici di pioggia, un messaggero gli raccontò:”Milano, tradita ed evacuata dai piemontesi, è capitolata. Il Comitato di difesa della città, animato dal mazziniano Restelli, ha organizzato l’emigrazione di oltre centomila persone decise a lasciare la loro patria piuttosto che continuare a vivere sotto gli austriaci.
Da Porta Romana al suono dell’inno imperiale, entrarono i reggimenti austriaci a passo di parata guidati dal feldmaresciallo Radetzky”
Dopo quest’ambasciata, ognuno si ritirò mestamente.