3. lug, 2022

116° post - "'LA REPUBBLICA RESISTE" - 11° paragrafo, parte I /2° capitolo - Dall’inizio dell'esilio inglese alla fine della Repubblica Romana (1837 - 1849)

Dall'almanacco dei martiri del dovere, riportiamo che, come oggi, il 3 luglio 1798 nasceva ad Intra (Verbania) Amalia Cobianchi. Con la sorella Rosa parteciparono attivamente ai moti carbonari del 1821 con il grado di "giardiniere". Le sorelle vennero spiate dalla polizia del regno sabaudo per due anni e più volte interrogate. Senza mai cadere in contraddizione, non denunciarono gli amici e riuscirono a non farsi arrestare.
La Repubblica resiste 
Intanto, sempre a Roma, nel salone di un lussuoso palazzo di un canonico, due prelati lo attraversavano a lunghi passi. Uno aveva in mano dei fogli di carta: si fermò e rivolto all’altro gli disse:”E’ inaudito, quel demagogo di Mazzini non perde tempo. Senti questa: il governo ha abolito la pena di morte e la tortura; nessuno può essere arrestato che in flagrante delitto. E’ abolito per sempre il tribunale del Santo Uffizio, dove - sta scritto proprio così- si celebrano riti e orrori medievali. Le terre delle corporazioni che non contano più di cinque religiosi sono confiscate e distribuite ai contadini poveri. La manifestazione del pensiero è libera. La religione cattolica decade dall’ essere considerata religione di Stato, i cittadini sono liberi di pensarla come credono senza per questo perdere i diritti civili e politici riconosciuti in egual misura ai cattolici e agli ebrei, agli agnostici e agli atei.” Anche il secondo canonico estrasse un foglio e replicò:”Mi è stata notificata stamani un’ordinanza del cosiddetto Triumvirato. E’ una cosa blasfema che merita il divino castigo:“Considerando che i canonici del capitolo vaticano hanno reiterato il giorno di Pasqua il rifiuto di prestarsi alle funzioni sacre. Considerando che tale rifiuto, mentre offende gravemente la dignità della religione, offende anche la maestà della repubblica, ed ha eccitato scandalo e sdegno vivo nel popolo. Considerando che il governo ha debito - senti senti - di preservare incontaminata la religione e di punire qualunque offesa contro la Repubblica; Ordina, che i canonici del capitolo vaticano siano multati personalmente della somma di scudi 120 ciascheduno. Ordina infine che il ricavato sia egualmente distribuito tra tutti i Commissari dei Rioni di Roma, per essere impiegato a vantaggio del popolo, a titolo di lavoro per due parti, e per una parte a titolo di beneficenza sopra le persone più povere del Circondario - demagogia, demagogia - Ogni Commissario dovrà render nota la quota ricevuta e il modo di erogazione, anche nei suoi particolari, a soddisfazione del Popolo”. Il primo canonico scuotendo la testa riprese a parlare:”Questi apostati esagerano: non si sono accontentati di abolire il Tribunale del santo Offizio e di trasformarne il palazzo in Ospizio per i mendicanti, hanno anche trasferito i pazzi dai loro manicomi a Frascati nel palazzo di villeggiatura del gesuiti, perché in quel luogo - dice il decreto - l’aria è salubre e i malati di mente staranno meglio. Non so cosa aspettino le nazioni cattoliche a intervenire e a porre fine allo scempio della religione che si sta commettendo a Roma”. Il secondo canonico annuendo infine disse:”Corre voce che Pio IX da Gaeta abbia chiesto l’aiuto del Re di Napoli e dell’Imperatore d’Austria. La stessa Repubblica francese, su pressione dei moderati che sostengono il governo, sembra abbia già inviato due vapori verso Civitavecchia. Vedrai che, se la Francia interviene, la cattolicissima Spagna non sarà da meno e all’Inghilterra non resterà che assistere alla giusta punizione dei suoi protetti.!” Il venticinque aprile, verso sera, nel Salone delle Assemblee gremito di deputati e di pubblico, Mazzini stava parlando ai presenti:”A Civitavecchia é sbarcato un corpo di occupazione francese. L’occupazione fu accolta con favore dalla popolazione convinta che i francesi venissero ad adempiere una missione fraterna, in sembianze amichevoli. Ieri sera dopo la mezzanotte si sono presentati al Triumvirato tre inviati del generale Oudinot informandoci che lo scopo della spedizione francese era di salvare gli Stati della repubblica da una invasione di nemici esterni e constatare quali fossero le vere tendenze della popolazione della Repubblica. Noi abbiamo risposto che la Repubblica Romana prevedendo una invasione da parte dell’Austria, naturale nemica dell’indipendenza e della libertà italiana, era già decisa ad affrontare la lotta e a resistere con tutte le sue forze. Fu posto in campo da parte degli inviati francesi il diritto della Francia, potenza cattolica, d’intervenire a favore del Papa. Fu detto da noi che la religione non aveva che fare colla politica dello Stato; che il Papa era partito senza che nessuno lo cacciasse da Roma, che la Repubblica era sempre stata aperta al suo ritorno, se Pio IX avesse scelto di ritornarvi come Papa e non come Principe. Poi gli inviati ci chiesero se fossimo disposti ad accogliere il Corpo di occupazione come un corpo di fratelli e colla stessa armonia colla quale li aveva accolti Civitavecchia e noi rispondemmo che non potevamo riconoscerli come amici, ma che spettava all’Assemblea della Repubblica ogni decisione in merito. Quanto a me, se è lecito qui esprimere un'opinione individuale, quand’anche il voto dell’Assemblea fosse di natura pacifica, il mio rimarrebbe sempre di opporre resistenza, a qualunque costo, contro qualunque violenza alla nostra indipendenza.” Grandi applausi si levarono da parte dei deputati e del pubblico, ed anche grida:”Francesi traditori, viva la Repubblica, Resistenza, resistenza”. Iniziò così la resistenza. Da una postazione i cannonieri francesi bombardavano Roma per restituirla al papa. Caddero numerosi morti e feriti, in particolare i volontari che stavano dietro improvvisate barricate. Ovunque per i muri di Roma erano affissi manifesti del triumvirato, che i più istruiti leggevano ai popolani analfabeti:”Romani, l’Assemblea ha decretato che la Repubblica sarebbe salva, e che alla forza opporrebbe la forza. Sian rese grazie a Dio che ispirava il decreto: l’onore di Roma è salvo. La storia non potrà dire che fummo codardi. Noi resisteremo, perché l’indipendenza non può perdersi neppur per un giorno da un popolo senza suicidio; perché la libertà è dono di Dio, che noi non possiamo alienare minimamente senza delitto; perchè la nostra resistenza proverà alla Francia il nostro diritto e l’unanimità delle nostre determinazioni; perché abbiamo in custodia l’onore italiano.Viva la Repubblica. Dato dalla residenza del Triumvirato li 26 aprile 1849 . Carlo Armellini, Giuseppe Mazzini, Aurelio Saffi." Il trenta aprile i francesi si erano ammassati a Porta Cavalleggeri e Garibaldi contrattaccava da Villa Corsini e da Villa Pamphili, per prendere di fianco e alle spalle gli invasori. In testa all’esercito dei volontari c’era un piccolo battaglione di studenti, sostenuto dalla legione di Garibaldi. Quando i due eserciti vennero a contatto, vi fu una mischia confusa e a causa delle maggiori forze francesi, gli italiani retrocessero. Garibaldi allora, chiese rinforzi a Galletti e questi avanzò con un battaglione di reduci. Garibaldi, a cavallo, si pose al centro di tutti questi uomini e ordinò la carica alla baionetta. Villa Corsini e Villa Pamphili vennero così riconquistate, il 20° di linea francese, travolto si ritirò in disordine lasciando molti prigionieri nelle mani dei garibaldini: Il generale Oudinot ripiegò verso Civitavecchia, inseguito col suo esercito dai garibaldini. La repubblica resisteva anche a Bologna. Poco distante da Porta Galliera era piazzata una batteria di cannoni austriaci che cannoneggiava la città: verso sera gli austriaci si ritirarono lasciando tre cannoni: i carabinieri bolognesi, guidati dal generale Boldrini uscirono dalla porta per recuperare i cannoni, ma vennero falciati dal fuoco nemico annidato nascosto poco distante. Molti furono i morti italiani, tra i quali anche il generale Boldrini. Gli austriaci cannoneggiavano la città dalla collina, seminando la morte. Un gruppo di cittadini bolognesi, uscì dalla porta con fucili e i soldati austriaci fuggirono, aspettando i rinforzi: questi non tardarono ad arrivare e la città fu invasa dalle truppe austriache. Era la metà di maggio. A Palazzo d’Accursio in piazza Maggiore a Bologna, in una sala il legato pontificio era assieme al comandante dei soldati austriaci Frantz de Winpfenn. Il comandante disse:”Eminenza, l’ordine e la religione sono stati ripristinati nelle Legazioni di Bologna e Ferrara. Vi riconsegno la città di Bologna, dove un presidio militare rimarrà per mantenere l’ordine. Io ho l’ordine di marciare su Ancona per occuparla prima che arrivino i francesi. Li aspetterò i rinforzi che arriveranno via mare da Pola, poi libereremo le Marche e l’Umbria.” Il Legato pontificio prendendo la mano del comandante si rivolse a lui dicendogli:”Eccellenza il Santo Padre, al quale manderò subito un messaggio a Gaeta, Vi sarà riconoscente , come lo sono io, che ora, vi impartirò la mia speciale benedizione.” Il Comandante austriaco si inginocchiò e chinò il capo. Il Legato alzò la mano benedicente e benedisse l’invasore:”Ego te absolvo a peccatis tuis in nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti”. A Roma, Mazzini, Saffi e Armellini si trovavano nel salone delle riunioni del Quirinale per parlare ai romani. Iniziò Mazzini:”Romani, state in guardia, non cantate vittoria troppo presto”. E poi Saffi:”Annuncio all’Assemblea che il generale Garibaldi andrà a dare una lezione ai napoletani di Re Bomba, che sono a poche miglia da Roma”. Fu la volta poi di Armellini:”Noi abbiamo spennato e mangiato il gallo francese, ora cuoceremo e mangeremo i maccheroni napoletani”. L’assemblea in piedi rispose ridendo con una duplice salva di applausi. Mazzini infine concluse:”I napoletani sono stati battuti a Palestrina. Il Triumvirato concede di restituire al comando francese i 365 soldati fatti prigionieri accompagnati dal coro della Marsigliese. Il governo francese ricambia, rimandando al governo romano il battaglione Manara che era stato disarmato a Civitavecchia.” Qualche giorno più tardi, nel Salone del Governo di Parigi il Comandante del corpo di occupazione francese Oudinot parlava all’ambasciatore Lesseps:”Ingegner de Lesseps io la considero un abile diplomatico, oltre che sensibile alle sorti della Repubblica Romana, perciò domani, 15 maggio, la invierò a Roma per chiedere un armistizio di un mese”. Lesseps fissò Oudinot e con sicurezza gli disse:”La ringrazio dell’onore che mi fa, Generale. Mi auguro che la sua richiesta non mediti l’inganno”. Il diplomatico si alzò e mentre si allontanava Oudinot lo fissava digrignando i denti. A fine maggio, a Roma che ancora resisteva, a Porta Cavalleggeri, sul campo francese, sventolava la bandiera bianca. Un medico si avvicinò alla postazione romana con un’ambulanza e disse in buon italiano:”Dal comando abbiamo avuto ordine di regalare questa ambulanza alla repubblica romana affinché possa trasportare i suoi feriti”. I volontari romani lasciarono quindi passare l’ambulanza e quando questa si trovò entro le mura di Roma, l’autista disse rivolto al suo passeggero:”Generale Vaillant, dove la lascio ?” Il Generale travestito da infermiere fece segno con la mano e disse:”All’angolo si fermi; cercherò di studiare le difese romane e domani a quest’ora se non ci sono, lasci pure l’ambulanza, Capitano, e si metta in salvo." Nel Salone del Palazzo del Quirinale, i triumviri, Mazzini, Armellini e Saffi stavano dialogando col diplomatico francese De Lesseps. A conclusione della riunione Mazzini si rivolse un’ultima volta al diplomatico francese:”Bene, l’intesa è raggiunta, la guerra tra le repubbliche sorelle è terminata. Potremo dedicare i nostri sforzi a riprendere la lotta contro gli austriaci che hanno già invaso le Marche e regolare definitivamente i conti con i soldati di Re Bomba.” E così dicendo strinse la mano dell’ambasciatore. Nella notte del tre giugno il generale Oudinot ruppe la tregua un giorno prima e incurante degli accordi diplomatici, attaccò la città a tradimento. I francesi occuparono la Basilica di S. Paolo, sulla sinistra del Tevere, ma concentrarono le operazioni contro il colle del Gianicolo, impossessandosi così delle Ville antistanti, a dominio della Porta San Pancrazio, per procedere poi alle regolari operazioni di assedio e di breccia. Nella notte, verso le tre, una colonna francese avanzò silenziosa per la stradetta che costeggiava Villa Pamphili a sud e iniziò i lavori per far saltare il muro di cinta; alcune sentinelle sentirono il rumore e fecero fuoco. Ma avvenuta l’esplosione, si creò la breccia nel muro e la fanteria francese si precipitò avanzando nel parco della Villa che venne conquistata. Poi i francesi presero il convento di S. Pancrazio , Villa Corsini e Villa Valentini. Garibaldi accorse tra i primi a Porta a San Pancrazio e ordinò:”Bisogna riprender Villa Corsini”. Il combattimento fu violento e sanguinoso. Uno dopo l’altro caddero i migliori soldati repubblicani: Dandolo, Masina, Luciano Manara, Goffredo Mameli che mentre cadeva colpito sentiva le parole del Canto degli italiani cantate dai suoi compagni al contrattacco. Quando ormai le perdite furono innumerevoli e la città fu sempre più sotto cannoneggiamento, nel Salone del Palazzo del Quirinale gremito di militari, i triumviri, Mazzini, Saffi, Armellini si presentarono all’esercito. Mazzini con aria mesta si alzò mentre nel salone ogni voce si azzittì:”Ho voluto parlare con i capi militari per proporvi di lasciare la città al fine di non sottoporre la popolazione a un inutile massacro.” I militari silenziosi, increduli guardarono Mazzini, che proseguì:”L’Assemblea ha decretato che ogni difesa è impossibile e mi ha dato mandato di comunicare a Oudinot la resa.” Mazzini fece una pausa, fissò i presenti e concluse:”Siccome sono stato eletto a difendere, non a sotterrare la Repubblica, mi dimetto dall’incarico affinché altri si rechi dal generale francese”. Immediatamente, Saffi e Armellini si alzarono e andarono ad abbracciare Mazzini, con Saffi che gli disse:”Giuseppe, siamo solidali con te”. Mazzini riprese a parlare ai militari:”l’Assemblea propone che l’armata romana si accampi fuori le mura; io protesto ancora e dico che l’esercito in balia di se stesso si sbanda, mentre l’Assemblea senza esercito cadrà nel ridicolo o sotto la taccia di vigliaccheria.” Nella sala regnava un silenzio assoluto. Tutti erano presi ad ascoltare Mazzini:”Per me è dovere puro e semplice che la repubblica combatta fino all’ultimo. Le monarchie possono capitolare, ma le repubbliche non cedono, non capitolano, muoiono e protestano”. I militari presenti, a quelle parole si alzarono e gridarono:”Vogliamo combattere, vogliamo difendere l’onore della nostra Repubblica, Viva Roma repubblicana, Viva l’Italia”. Mazzini placò gli animi e appena si ristabilì la calma disse:”Lo so, l’esercito era pronto a difendere la bandiera repubblicana, ma l’assemblea non ha nerbo sufficiente per portare la sfida fino in fondo”.