21. lug, 2022

134° post - "UN FRANCO PER VENEZIA" - 6° paragrafo - parte I / 4° capitolo - Dalla seconda guerra d’Indipendenza alla morte di Mazzini/1859-1872

Dall'almanacco dei martiri del dovere, riportiamo che, come oggi, il 21 luglio 1809 furono fucilati dai francesi, in Verona, Michele Perezzini, di anni 24 di Bovolone (Verona) campagnolo e Sante Bazin di Isola della Scala (Verona), di anni 28 cavallante, insorti per la Repubblica di Venezia.

“Un franco per Venezia”

In quel tempo, Mazzini, faticosamente, si muoveva per la stanza, poi si sedette in poltrona e intinta la penna nel calamaio scrisse:”Caro Bagnasco, rispondo al tuo invito a predisporre un’iscrizione per il busto a Rosolino Pilo, morto all’inizio del 1860 nella rivolta siciliana che doveva preparare la strada allo sbarco dei Mille. Farò l’iscrizione. Quanto alla situazione politica di cui tu mi chiedi nuove, per quel che ci riguarda è questa: l’iniziativa deve essere, come sempre, del nostro Partito. Un’azione ora su Roma ci porrebbe a pericolo d’avere Francia e Austria addosso simultaneamente e l’Italia non è ancora pronta per affrontare una guerra su due fronti. Per Roma dunque non v’è oggi che una gigantesca manifestazione d’opinione per l’allontanamento dei francesi e questa protesta dovrebbe essere adottata dall’Associazione Unitaria e messa in circolazione attraverso tutta la Sicilia, non solo nei quattro o cinque grandi Centri, con la raccolta di almeno cinquantamila firme. Pel Veneto, non v’è che l’azione, l’azione armata. Un moto nel Veneto aprirà un campo a Garibaldi, ai Volontari e trascinerà inevitabilmente il Governo; darebbe il segnale all’insurrezione Ungherese, disferebbe l’Austria e porrebbe l’Italia alla testa dei movimenti Nazionali. Dite queste cose per me all’Associazione Unitaria e che è necessario popolarizzare la sottoscrizione “un franco per Venezia” di località in località. Chi può non darlo? Le donne soprattutto dovrebbero farsene colletrici. I bravi siciliani non ricuseranno di ripagare coll’aiuto loro l’aiuto che tutti noi demmo con armi, danaro e uomini, al moto loro; è perché so ch’essi non dimenticheranno che Garibaldi non deve morire in Caprera e che l’unico vero modo di provargli l’amore sentito da essi per lui è quello di compire il di lui programma e porlo in grado di agire nuovamente..
P.S. Concedete ch’io v’osservi, caro Bagnasco, che non affrancando le vostre lettere, mi fate, per una assurda legge postale, pagare doppio.”

Intanto Garibaldi in Italia partecipava a numerose iniziative popolari e associative per mantenere forte la propria popolarità e con esso saldo il proposito tra la gente di sottrarre il Veneto all’Austria. Inaugurò, quindi, la Società del Tiro a segno, e a seguito di ciò visitò tutti i tiri a segno della Lombardia. Alla frontiera col Trentino contemporaneamente, degli ufficiali attorno ad un tavolo raccoglievano le adesioni dei volontari.
A Palazzolo e a Sarnico, invece, la polizia e i carabinieri arrestarono numerosi garibaldini in camicia rossa e armati, per rinchiuderli nel carcere di Brescia. Accadde così a Brescia, che davanti alla prigione si formasse una manifestazione di cittadini che volevano liberare i garibaldini detenuti. La dimostrazione si concluse con una sparatoria dell’esercito regolare sulla folla con l’uccisione di quattro dimostranti.
Poco tempo dopo, a Torino, nella sede della Società Emancipatrice, Garibaldi sedeva attorno a un tavolo con altri uomini e parlava:”Vi ringrazio per avermi eletto presidente della società che abbiamo creato per cercare di coordinare le varie associazioni della sinistra parlamentare. I fatti di Sarnico, dimostrano che il Governo e il Re non hanno intenzione di affrontare una guerra con l’Austria per la liberazione delle Venezie e allora, anche se Mazzini non è d’accordo, dobbiamo puntare su Roma: so per certo che il Re e il primo ministro Rattazzi, questa volta non ci metteranno i bastoni tra le ruote.”
        Garibaldi quindi si andò ad accampare al Bosco della Ficuzza, vicino a Piana degli Albanesi, e mentre parlava ai suoi volontari alcuni proruppero:”Finalmente! A Roma, a Roma.!”
A Catania i volontari si imbarcarono su due piroscafi diretti in Calabria. 
  Garibaldi, radunate le forze dei volontari si scontrò in Calabria sull’Aspromonte, in località i Forestali con le truppe del Colonnello Pallavicini. Fu ferito ad una gamba ed arrestato; sette furono i garibaldini uccisi nello scontro. A seguito dei fatti d’Aspromonte, Garibaldi venne rinchiuso dai Savoia nella fortezza di Varignano, vicino a La Spezia. A Milazzo, in Sicilia, in quei giorni vennero fucilati alcuni soldati dell’esercito regolare che avevano disertato per unirsi ai garibaldini.
   
Sempre a Torino, ma a Palazzo Reale, il Re andava su e giù per la stanza in presenza del Ministro della difesa Durando che, molto imbarazzato, ogni volta che il Re gli passava davanti, faceva un leggero inchino. Il Re si fermò e si lamentò con il suo ministro:”Lei Durando non è più il rivoluzionario che conoscevo e il primo ministro Minghetti è senza palle; nessuno si muove e l’Austria se ne sta tranquilla nel quadrilatero e nelle Venezie. Ho fatto venire l’ingegner Muller, amico di Mazzini, suo compagno di fede ma anche nostro amico, che ha sollecitato un incontro tramite il mio ufficiale d’ordinanza, Alessandro di Savoirroux. Lei rimanga, ma se ne stia in silenzio.”Vittorio Emanuele tirò il cordone del campanello e un soldato si affacciò sulla porta della sala. Entrò l’ingegner Demetrio Muller che esordì:”La ringrazio per avermi ricevuto Maestà. Il motivo della mia visita deriva dalla lunga frequentazione che ho avuto con Mazzini, attualmente a Lugano che insiste perché si inizi un moto nelle Venezie. L’iniziativa non comprometterebbe il Governo italiano né sua Maestà, essendo compito del Partito mazziniano”.
      Vittorio Emanuele rispose:”Ingegner Muller sia chiaro che io voglio Venezia quanto Mazzini e ho fede nell’onesta lealtà del pensiero di questo uomo, anche se dichiara sempre di volermi mettere in pensione per fare la sua Repubblica. Si tratta, del resto, di muover guerra all’Austria e non al Borbone e la conquista di Venezia è un’impresa nazionale. Dica a Mazzini che non mi lascerò sfuggire l’occasione per muovere, checché ne pensi Minghetti, e che non intendo il dualismo tra il mio Governo e il Partito d’Azione in cose nelle quali, in sostanza siamo d’ accordo. Dica a Mazzini di consegnare a lei, le sue note che lei farà avere al mio ufficiale di campo Savoiroux. Le mie risposte saranno consegnate alla stessa persona per lei, ingegnere che ne comunicherà il contenuto a Mazzini, senza però consegnargli le lettere. Quanto a Lei, Durando, che ho voluto fosse presente e buon testimone che, cospirando col Mazzini, non cospiro contro la monarchia ma per l’Italia. E tutto ciò deve restare segreto.”
L’ingegner Muller si accomiatò dal Re e andò a Londra dove Mazzini era tornato poco dopo la metà d’ottobre del 1863.
       
Il 15 novembre 1863 Mazzini stava preparando la prima lettera per il Re e a casa sua a Londra la lesse a Muller che la doveva consegnare al monarca:”Caro Muller, non mi sento affatto bene. Sono stato ammalato seriamente e lo sono ancora, sono minacciato da paralisi. Questo non ha grande importanza. Ma veniamo a noi o meglio al re, per il quale ho già preparato questa lettera che vi leggo. Vi devo dire però che non nutro molta fiducia. Il re è circondato da troppi consiglieri che non hanno alcuna voglia di portare il paese in guerra. Lascio a parte i preamboli e vi leggo la sostanza:“Se chi pensa alla guerra contro l’Austria ha coscienza di me, e crede al mio onore, che non ho tradito mai, io dichiaro:
-che non credo a vittoria definitiva possibile senza l’esercito regolare e l’intervento governativo. Temo d’altra parte l’influenza altrui e il Governo segue purtroppo le ispirazioni di Francia e non ho quindi fiducia nella fermezza delle sue deliberazioni;
-che non sogno neanche d’innalzare, ov’anche lo potessi, una bandiera repubblicana nel Veneto.
Su questo punto il re non ha dunque nulla da temere. Io sono repubblicano. Può essere che prima di morire io creda di dover sollevare la questione politica. Ma mi parrebbe delitto sollevarla a proposito del Veneto e in faccia all’Austria.
Il miglior accordo è quello di lasciarci fare e apprestarsi a cogliere rapidamente l’opportunità che noi cerchiamo d’offrire. Se il concetto è approvato, la linea di condotta è chiara.
Rallentare l’azione governativa verso di noi; non cordoni ostili, non sequestri d’armi. Linguaggio tenuto segretamente alla Serbia, all’Ungheria e ai Polacchi per eccitarli a moti simultanei, immediatamente dopo la nostra iniziativa, nei primi due paesi e nella Galizia.
Acceleramento di preparativi guerreschi e specialmente marittimi...
Garibaldi che è l’anima d’ogni moto di volontari, sarà a capo dell’azione”.