26. lug, 2022

138° post - "MAZZINI CITTADINO ITALO-SVIZZERO" - 9° paragrafo - / 4° capitolo - Dalla seconda guerra d’Indipendenza alla morte di Mazzini/1859-1872

Dall'almanacco dei martiri del dovere, riportiamo che, come oggi, il 26 luglio 1849 nel Castello di Brescia fu fucilato Francesco Bertelli di Volbarno (Brescia), di 25 anni, disertore dell'esercito austriaco, imputato di avere armi.

Mazzini cittadino italo-svizzero

Mazzini andò nuovamente a Londra. Era dicembre e le fatiche del lungo viaggio, con il freddo intenso, avevano aggravato il suo stato di salute ed ebbe una ricaduta.
Accanto a lui c’era nuovamente Emilia Venturi.
“Mia dolce Emilia, vedo un’informe tinta grigia su ogni cosa, che mi fa sentire che non ho più a che fare su questa terra. So che ciò è segno di ingratitudine da parte mia e ne provo rimorso, ma mi accascio sotto il peso di un senso di isolamento che rende uggioso quest’ultimo periodo della mia vita.
Devo riconoscere che questo mio stato d’animo è particolarmente dovuto alla condizione morale o piuttosto immorale dell’Italia che è per me una delusione profonda”
Emilia lo accarezzò affettuosamente sul volto, e Mazzini continuò:”Cerco di rialzare ancora i miei sentimenti con la vaga speranza che io possa ancora essere chiamato a spiegare la bandiera repubblicana e poi, come il corsaro Cooper, morire quando essa garrisce al vento.”

Qualche giorno dopo, Mazzini ritrovò il buon umore con la presenza quasi costante di Emilia che lo incoraggiò a non abbattersi e lo spronò a continuare a lottare per i suoi ideali.
Emilia lo aiutava a scrivere le lettere e i suoi articoli per i giornali inglesi e italiani; gli preparava il pudding, di cui Mazzini era goloso, e finalmente Mazzini si riprese dalla sua apatia e parlò con Emilie:”Miglioro. Grazie alle tue cure. Inoltre il nuovo guanto di sfida che il papato e le straniero suo protettore ci mandano con i cadaveri di Monti e Tognetti fatti ghigliottinare dal papa per aver partecipato alla tentata insurrezione di Roma del 22 ottobre, l'ira italiana e il terrore di scendere nel sepolcro con l'immagine di una patria disonorata, operano, credo, a guisa di tonici sul mio corpo infiacchito.
E i nuclei dell'alleanza repubblicana - come mi scrive Saffi - stendono le loro file di regione in regione, tra la bassa ufficialità dell' esercito, tra l'opposizione parlamentare: e i loro atti di propaganda corrono per ogni terra d'Italia, sono diffusi nelle officine, penetrano nelle caserme. Devo tornare in Svizzera, vicino all’Italia sarò pronto alla chiamata dei miei.”

Tornato in Svizzera, Mazzini fu di nuovo ospite gradito di Sara Nathan. “Cara Sara, i giornali svizzeri riportano brutte notizie dal nostro paese: il Governo comincia a sciogliere le società democratiche, a perquisire le case dei patrioti, le persone dei militari sospetti, arresta in massa e sequestra i giornali.” Mentre raccontava la situazione in Italia a Sara, suonò il campanello, e dopo poco il cameriere annunciò:”Signora, sono arrivati alcuni signori per visitare il Signor Mazzini. Mi han detto di essere i delegati repubblicani delle Province italiane”
“Faccia pure entrare” rispose Sara.
Entrarono i ventidue delegati con i quali Mazzini si intrattenne e passò con loro ore e ore a parlare.

La settimana seguente, a Milano si riunirono a congresso i patrioti convenuti da tutta Italia. Fu un fatto che non passò sotto silenzio in città. Infatti, gli strilloni per le strade e le piazze distribuendo i giornali prezzolati dal governo, gridavano a gran voce che si trattava di accoltellatori venuti a Milano per creare disordini, rubare e uccidere inermi cittadini.

Nei giorni successivi Mazzini, sempre ospite a Lugano in casa di Sara Nathan, leggeva il giornale reazionario italiano l'Opinione, mentre arrivava Sara:”Senti senti cosa scrive L’Opinione del 22 aprile” disse Mazzini a Sara:
"La setta dei mazziniani per i suoi fini aveva assoldato duecento accoltellatori di Palermo, per gettarsi sugli ufficiali, sulle prime autorità civili e militari e su altre persone distinte ed assassinarle nelle vie e nelle case: il loro capo si sa essere a Milano.”
“Non so da chi abbiano saputo che io ero a Milano mentre non mi sono mai mosso da Lugano - commentò Mazzini - I duecento accoltellatori altro non erano che i nostri delegati che si recavano pacificamente a congresso a Milano.
Certa stampa non merita neppure una risposta alla sua infamia.”


In quei giorni, a Berna nel palazzo del governo, all’interno del gabinetto del primo ministro della Confederazione oltre al titolare della carica di governo era presente l’ambasciatore italiano che gli presentava una nota del suo governo:”Mazzini continua ad attaccare il governo italiano con i suoi scritti e dalla Svizzera incita i suoi alla rivolta contro le istituzioni. Il mio Governo non tollera il comportamento del Governo della Confederazione che ospita il Mazzini e i suoi seguaci. Se la Confederazione vuole mantenere buoni rapporti con l’Italia, deve espellere dal Canton Ticino tutti gli emigrati italiani, Mazzini per primo”.

Due giorni dopo un ufficiale della polizia cantonale si recò a Lugano alla casa di Sara Nathan per notificare a Mazzini il decreto di espulsione dal Cantone:”Signor Mazzini, la prego di credermi se le dico che mi dispiace doverle notificare il decreto di espulsione dal nostro Cantone, ma il governo italiano ha esercitato sul nostro governo confederale una tale pressione da indurlo a chiedere al Commissario di governo signor Maraini che lei sia accompagnato al nostro confine.”
“Non si preoccupi - rispose Mazzini - Lei fa solo il suo dovere di ufficiale. Scriverò comunque una lettera di protesta al Signor Commissario cantonale.”
Mazzini prese carta e penna, e scrisse una lettera:”Lugano 16 maggio 1869.
Al Signor Maraini, Commissario di Governo in Lugano. Partirò dal Cantone Giovedì 20 maggio e ne pongo a pegno la mia parola d’ onore…” Mentre Mazzini scriveva, si presentò una delegazione dei partiti ticinesi. Il capo delegazione si rivolse a Mazzini:”Signor Mazzini, questi sono tutti i presidenti dei partiti ticinesi che a mio mezzo, la pregano di rimanere a Lugano.
Nel frattempo inoltreremo richiesta alla competente autorità perché le sia concessa la cittadinanza di Lugano e che quindi possa godere dei diritti che spettano ai cittadini.”
Mazzini, sorpreso favorevolmente dall’iniziativa dei partiti luganesi rispose:”Non uso cedere a governi ingiusti e accetterei il vostro consiglio, se potesse uscirne un bene qualunque alla sacra causa che voi ed io sosteniamo; ma oggi io non resterei che per me e vi metterei in urto con le autorità centrali e darei occasione ai vostri Consigli di scendere più in basso sulla via di una persecuzione che disonora la vostra bandiera repubblicana. Comunque vi ringrazio di cuore e vi assicuro che non lascerò la Svizzera.”

Qualche settimana dopo, sempre in Svizzera, nella sala del Consiglio comunale del piccolo comune di Epiquerez piena di consiglieri e di cittadini, ai lati del tavolo della presidenza erano esposte la bandiera rossocrociata della Confederazione e quella tricolore italiana, e il Sindaco prese la parola:”Colleghi consiglieri, cittadini di Epiquerez, quest’oggi 3 giugno 1869 la nostra Giunta ha deliberato di proporre al Consiglio di offrire la cittadinanza al patriota italiano Giuseppe Mazzini, che le autorità confederali assieme a quelle del Canton Ticino hanno deciso di espellere da quel cantone, così vicino all’Italia, non solo geograficamente.
Noi, cittadini del Giura Bernese, vogliamo onorare in Mazzini il patriota europeo che non si è mai piegato malgrado l’esilio, le persecuzioni, le diffamazioni, il repubblicano che è rimasto fedele alla sua bandiera e al suo Paese piuttosto che conciliare, come tanti suoi seguaci avevano fatto, le sue idee con gli interessi personali. Noi vogliamo che questo repubblicano, più repubblicano di tanti svizzeri, abbia la nostra stessa cittadinanza perché è degno di essere Svizzero colui che è un vero repubblicano.”
Consiglieri comunali e cittadini applaudirono fragorosamente e il Consiglio, all’unanimità nominò Mazzini cittadino svizzero.