Noi repubblicani: da dove veniamo 1874 - 1876
7. Gli arresti dei capi repubblicani a Villa Ruffi (Covignano di Rimini) - Quando il governo nazionale regio della destra storica mise le manette a tutti i capi dell'opposizione
All'inizio del 1874 esistono in Italia circa 1.500 società operaie. Dal 29 al 31 marzo 1874 si tiene a Roma presso la sala Mazzini di via dei Prefetti il XIII Congresso nazionale delle Società operaie affratellate, presieduto da Maurizio Quadrio, mazziniano intransigente. Al Congresso ne partecipano 300 sulle 1.500 registrate ufficialmente, e vi discutono i temi della politica sociale di Mazzini: la cooperazione di produzione e di consumo, la previdenza e assistenza dell'operaio, l'istituzione di banche operaie, l'istruzione elementare obbligatoria, laica e gratuita.
Si discute anche dell'abolizione del gioco del lotto, dell'assistenza agli ex carcerati, sul sistema fiscale e sullo sciopero ad oltranza.
Gli scioperi vengono reputati dai mazziniani "di massima dannosi" : si devono, invece, trovare soluzioni nella collaborazione tra datori di lavoro e dipendenti tramite l'arbitrato; tuttavia se il padrone o i capi fabbrica, malgrado la legge o l'arbitrato, non ottemperano alle giuste esigenze degli operai, allo sciopero si può ricorrere.
Il delegato di pubblica sicurezza – presente obbligatoriamente al congresso - interviene spesso per interrompere la discussione, che, pur denotando il grande moderatismo dei mazziniani "verte su questioni non trattabili fuori dal parlamento".
L'autunno inverno 1873-1874 porta con sè la depressione economica, il carovita; a giugno il raccolto del grano è scarso.
Scoppiano tumulti in molte città, fra le quali Forlì, Rimini, Imola, Prato, Lucca, Livorno, Pisa, con assalti ai forni ed ai depositi di granaglie e dimostrazioni davanti ai municipi. Vengono proclamati numerosi scioperi. La forza pubblica reprime tutto prontamente e violentemente.
La Consociazione repubblicana di Romagna, per bocca di Saffi, afferma che il ricorso agli scioperi ed ai tumulti per sanare le piaghe economiche del proletariato non farebbe che allargarle ed inacerbarle.
Corre voce, alimentata anche dal governo della Destra, che si stia preparando un moto rivoluzionario da parte degli internazionalisti e dei repubblicani.
Il 2 agosto 1874 si riuniscono nella casa di campagna di Ercole Ruffi, industriale (repubblicano) e presidente della Camera di Commercio di Rimini, i capi, provenienti da tutta Italia, del "partito" repubblicano, cioè di quello che Mazzini aveva chiamato Alleanza Repubblicana Universale (A.R.U.) , quando era ordinato in associazione clandestina, e che ora aveva copertura legale attraverso le dieci Consociazioni regionali delle Società popolari affratellate d'Italia.
Secondo il deputato repubblicano Miceli, che aveva ricevuto l'invito a partecipare alla riunione e secondo Jessie White, moglie di Alberto Mario, anch'esso invitato, l'O.d.G. era composto di tre punti: 1) discutere il contegno da tenere nelle elezioni del novembre successivo; 2) provvedere ai mezzi per dar vita ad un giornale organo del partito; 3) trovare i mezzi più adatti perchè il partito non avesse nulla in comune con l'Internazionale.
Si trattava quindi di una assemblea regolare, tenuta in pieno giorno, in sede privata e da persone meritevoli di ogni rispetto: Aurelio Saffi e Alessandro Fortis di Forlì, Rodolfo Domenico Rossi di Bologna, Eugenio Valzania, Pietro Turchi, Federico e Alfredo Comandini di Cesena, Stanislao Begni di Pennabilli (nel 1860 fu il più giovane dei cacciatori del Montefeltro a seguire Garibaldi), tutti facenti parte della Consociazione repubblicana romagnola, come pure ne facevano parte i riminesi, anch'essi presenti, Ercole Ruffi, Camillo Ugolini (1846 - ? ventunenne, garibaldino e mazziniano, combatte nel 1867 con Garibaldi nella campagna dell'Agro romano), Domenico Bilancioni, Innocenzo Martinini, Achille Serpieri (fratello di Enrico che fu segretario dell'Assemblea costituente alla Repubblica Romana, partecipa al moto di Rimini del 1845 pubblicizzato in Europa da Massimo D'Azeglio), Domenico Francolini, Augusto Grassi (nel 1867 combatte con Garibaldi a Monterotondo e a Mentana) e Lodovico Marini di Santarcangelo di Romagna.
Erano inoltre presenti (così li elenca Saffi nelle sue memorie) Domenico Narratore (1839 - 1899 di Torino, nel 1860 decise di seguire Garibaldi in Sicilia, arruolandosi nella spedizione Medici-Cosenz; combattè nella battaglia di Milazzo riportando ferite e si distinse ancora sul campo di Volturno il 1° ottobre. Nel decennio successivo reindossò la casacca del volontario in tutte le imprese garibaldine: nel 1862 all’Aspromonte, nel 1866 a Bezzecca, nel 1867 a Mentana; nel 1870 prese parte alla spedizione garibaldina in Francia con il grado di capitano, organizzò a Lione un battaglione di volontari e con esso combattè a Digione. Entrò via via in rapporti personali ed epistolari con Alberto Mario, Aurelio Saffi, Federico Campanella, Vincenzo Brusco-Onnis e con lo stesso Giuseppe Mazzini, da cui si recò più volte in visita a Lugano e a Pisa. Una corrispondenza particolarmente intensa con Mazzini caratterizzò gli anni dal 1869 al 1872, poco prima della sua morte, e riguardò la costituzione di sezioni dell’Alleanza repubblicana universale in Piemonte, di un Comitato centrale provinciale in Torino, di cui era responsabile con Giuseppe Beghelli e Giuseppe Moriondo, e la predisposizione di un piano insurrezionale tra Liguria e Piemonte. Negli stessi anni fu stretta la collaborazione politica e giornalistica con Beghelli, fondatore nel dicembre 1868 del quotidiano dichiaratamente repubblicano e mazziniano La Democrazia: costretto alla chiusura dopo pochi mesi, riprese le pubblicazioni nel luglio 1870 e la sua sede, per opera di Beghelli e Narratone, si trasformò in centro di raccolta di volontari per la campagna dei Vosgi. Narratone continuò a collaborare anche alle successive e altrettanto brevi riedizioni della testata e ad altre imprese giornalistiche di Beghelli, da Il Ficcanaso a L’Italia del popolo) e Felice Dagnino di Genova, entrambi amici di Mazzini, Costantino Mantovani di Pavia, che sarà poi deputato dell'Estrema sinistra (repubblicano), Carlo Dotto de' Dauli di Napoli, di fede mazziniana, Vincenzo Runcini di Montorio al Vomano, collaboratore di giornali mazziniani, Domenico Barillari, Mario Paterni, Mario Marinelli e Giovanni Piccolomini, marchigiani fondatori di Società e di Diari mazziniani; Gaetano Ravagli, di Jesi, veterano della causa nazionale e costante cultore dei principii mazziniani; Aureli e Marchetti di Camerino, Ottavio Ferrari di Parma., e ancora il riminese Antonio Borzatti e forse Menotti Garibaldi, figlio del generale (la presenza di quest'ultimo non è registrata da tutti gli storici che si sono occupati della vicenda). Il dibattito non potè aver luogo perchè il governo, presieduto dal liberale Marco Minghetti, ordinò al prefetto di far circondare la villa dai carabinieri, dopo aver mobilitato la truppa, e di arrestare i convenuti e deferirli all'autorità giudiziaria sotto l'accusa di cospirazione contro i poteri dello Stato.
Ventinove patrioti, (il riminese Borzatti, denunciato in stato di latitanza, e Garibaldi riuscirono a fuggire) ai quali furono aggiunti altri 7 in seguito (arrestati tra il 3 e il 7 agosto), tutta gente che aveva partecipato alle imprese che avevano dato l'unità e l'indipendenza all'Italia, furono costretti a trascorrere nel forte di Spoleto, subito dopo l'arresto, e nel castello di Perugia poi, cinque mesi di carcere prima di essere assolti nel procedimento penale a loro carico "per insufficienza di indizi" (non di prove, di indizi).
8. Il declino dell'Internazionale in Italia
Gli arresti di Villa Ruffi suscitano sdegno in tutt'Italia, se ne discute sui giornali ed in Parlamento. Interviene anche Garibaldi in difesa degli arrestati.
Dal 2 al 13 settembre 1874, su ordine del governo, i prefetti emiliani, romagnoli, toscani e marchigiani sciolgono nuovamente le sezioni dell'Internazionale ed i circoli repubblicani.
La polizia è convinta che l'ormai imminente moto insurrezionale sia guidato segretamente da Garibaldi e che ci sia un patto d'azione tra internazionalisti e repubblicani. Garibaldi smentisce ogni suo coinvolgimento nella prevista insurrezione, come lo smentiscono i dirigenti repubblicani.
Bakunin era giunto segretamente a Bologna il 30 luglio deciso a guidare la "rivoluzione sociale" ma, per motivi che non conosciamo (scrive Bruni citando un saggio di Altobelli), non interviene e il 9 agosto lascia l'Italia travestito da prete rientrando in Svizzera.
Alcuni repubblicani di Cesena ed Imola aderiscono, a titolo personale, ma molti vengono arrestati prima di poter partecipare all'impresa.
Nella notte del 7 agosto circa 150 uomini con la coccarda rossa e nera sul petto, provenienti da Imola, San Giovanni in Persiceto (BO), e Ravenna, guidati dal muratore garibaldino Antonio Cornacchia, cercano di concentrarsi ai Prati di Caprara (a Bologna ponente) e a San Michele in Bosco (a Bologna levante), dove sono nascoste armi e munizioni, per dar vita alla insurrezione, ma, intercettati dalla polizia, sono dispersi od arrestati. La stessa cosa succede in Puglia mentre i toscani, i marchigiani, gli umbri e i campani, che erano pronti ad intervenire, vista la mala parata non si muovono.
L'insurrezione muore sul nascere. La pochezza dei mezzi, la scarsità di armi, la dilettantesca organizzazione fanno pensare alla totale incapacità organizzativa degli internazionalisti, che qualche anno prima, per bocca del loro capo Bakunin, avevano rivolto le stesse accuse a Mazzini ed ai suoi falliti tentativi insurrezionali.
Nell'autunno del 1874 la maggior parte dei dirigenti dell'Internazionale è in carcere, le sezioni sciolte, i giornali sospesi dai prefetti.
La corrente moderata garibaldina, contraria alle insurrezioni e all'estremismo di Cafiero e Malatesta, abbandona l'Associazione.
L'A.I.L. italiana è praticamente scomparsa: dal 7 al 13 settembre si tiene a Bruxelles il VII Congresso dell'Internazionale, ovvero del suo ramo antiautoritario e libertario (bakuninista), ma i delegati italiani non sono presenti e nessuna sezione segreta, che ancora esiste, è disposta a perdere uno dei suoi uomini.
Il 27 gennaio 1875 scoppia una bomba nella cattedrale di Livorno, durante una funzione religiosa; è arrestato e poi giustiziato un calzolaio lucchese che si dichiara innocente, ma anarchico. Inizia l'epoca degli attentati individuali anarchici.
Nel 1876 , dopo la morte di Bakunin avvenuta il 10 luglio, la Federazione anarchhica emiliano romagnola si riunisce a Bologna dove Andrea Costa si impegna a difendere le idee e ad attuare i programmi del rivoluzionario russo: si respinge altresì ulteriormente il comunismo autoritario e viene confermata la non partecipazione alla lotta elettorale perchè il Parlamento è sede di una tirannia, la tirannia della maggioranza.
9. Riprende l'attività dei Repubblicani.
in "continua 1876 - 1879"