Apertura dal Mezzogiorno dell'Italia all'Europa quale innesco del PRI per il "boom economico" del miracolo economico italiano
47. PRI unico partito riformatore e programmatore per lasciare un Paese migliore alle future generazioni
Ma il provvedimento ugolamalfiano del PRI al governo sul quale più si accanirono i ceti conservatori fu la liberalizzazione degli scambi. Gli industriali temevano che l'apertura delle frontiere avrebbe colpito a morte l'industria nazionale e si sentivano più sicuri dietro i vecchi schemi corporativi. La stessa Confederazione Generale del Lavoro, temendo per l'occupazione, si schierò contro. Ma la posizione del PRI e di Ugo la Malfa, che ricopriva l'incarico di ministro del Commercio con l'estero, prevalse sulle opposizioni e sulle titubanze.
Nell'agosto del 1951 la giovane Repubblica Italiana, prima in Europa, si apriva all'Europa, solo grazie alle proposte politiche del PRI e ad Ugo La Malfa che ne fu il maggiore e migliore interprete.
"Fui mosso da due convincimenti - dirà più tardi La Malfa - la visione meridionalista, ossia l'idea di stimolare con la concorrenza il sistema economico, favorendo il Mezzogiorno, e l'intuizione della capacità nazionale di andare sui mercati, della possibilità di dare finalmente respiro , sprigionare energie compresse". Tornavano alla mente le parole ispiratrici e profetiche di cento anni prima di Giuseppe Mazzini:"L'Italia sarà quel che il Mezzogiorno sarà".
Erani così fissate quelle riforme che assicureranno la nascita di un'Italia industriale e che porteranno agli anni del boom economico. L'economia italiana iniziava a progredire grazie a interventi legislativi riformatori che le forze moderate avevano tenacemente osteggiato.
Parallelamente alla nuova impostazione di politica economica, che il PRI cercava di assicurare al Paese, marciava l'impegno per dare all'Italia una politica estera democratica; al neoiscritto al PRI, il repubblicano Carlo Sforza, ministro degli esteri, si deve la grande vittoriosa battaglia per porre il Paese al fianco delle nazioni dell'Occidente democratico. Per portare l'Italia nell'Alleanza Atlantica fu necessario vincere le numerose titubanze che emergevano nell'ambito della stessa Democrazia Cristiana (DC), sulla quale premevano le gerarchie vaticane, propense ad attribuire al nostro Paese un destino di neutralità. Un'Italia non allineata, inevitabilmente destinata a subire un progressivo distacco dalle democrazie dell'Occidente era l'aspirazione di molti democristiani ed era, nello stesso tempo l'obiettivo del Partito Socialista Italiano (PSI) e del Partito Comunista Italiano (PCI).
Ma De Gasperi condivise la scelta occidentale del PRI interpretata e proposta principalmente da Sforza e La Malfa: l'Italia entrò nella NATO, un'alleanza militare difensiva che i democratici interpretarono sempre come premessa per la realizzazione dell'Unità europea, bene supremo che avrebbe garantito la pace. Lo stesso Sforza portò l'Italia ad aderire al nascente Consiglio d'Europa.
La prima legislatura repubblicana portava così impresso il segno del PRI, che da una posizione di minoranza aveva indicato la via da percorrere per assicurare il progresso del Paese. Ma la Democrazia Cristiana (DC) rimaneva il partito della maggioranza assoluta, mentre la protesta qualunquista e corporativa ingigantiva la destra monarchica e fascista che nuovamente assurgeva al ruolo di protagonista attraverso il Movimento Sociale Italiano (MSI) di Almirante e la Destra Nazionale (DN) di Rauti. Sul fronte della sinistra marxista proseguiva l'opposizione del Partito Socialista Italiano (PSI) e del Partito Comunista Italiano (PCI) in attesa del fatidico evento della rivoluzione (sic!). In questa situazione il PRI, consapevole del pericolo reale per le sorti dello Stato democratico che venivano dalla possibilità di uno scivolamento reazionario dell'asse politico, grazie alle crescenti lusinghe dei partiti di destra (MSI, DN, PLI) nei confronti della Democrazia Cristiana (DC), propose una Costituente programmatica che unisse tutti i partiti laici (PRI, PSI, PSDI e PLI).
L'idea non fu accolta. Si pensò allora ad una modifica della legge eletorale che assicurasse ai partiti "apparentati" un premio di maggioranza nel caso in cui avessero ottenuto il 51 per cento dei voti. La legge fu definita dalla sinistra marxista, individuata dai media come estrema sinistra, un provvedimento liberticida e si coniò il termine "legge truffa".
Anche l'estrema destra monarchica e fascista si oppose con furore alla legge. Il PRI l'accettò, ben sapendo che non si trattava di dare alla Democrazia Cristiana (DC) una maggioranza che già aveva, quanto di legarla con vincoli maggiori ai partiti laici, così da bloccare quelle possibili involuzioni sulla destra che l'operazione Sturzo, il tentativo cioè di costruire nel Comune di Roma una maggioranza clerico-monarco-fascista, sventato dalla ferma azione della segreteria politica del PRI, affidata ad Oronzo Reale, aveva lasciato intravedere.
La legge fu approvata, ma nelle elezioni politiche del 1953 il quorum richiesto non scattò. Con quelle elezioni si chiudeva un ciclo politico.
Iniziava il lento cammino per allargare l'area della partecipazione democratica alla ricerca di nuove forze che potessero contribuire a dare maggiore vigore al processo di trasformazione della società italiana.
48. Gli anni del centrosinistra e la crisi delle speranze riformatrici
Gli anni della seconda legislatura della giovanissima Repubblica Italiana vedono questo sforzo del PRI teso a cogliere ogni occasione per stimolare nel PSI e nel PCI una revisione politica ed ideologica che consenta di uscire dal ghetto nel quale si erano relegati, ma sono anche gli anni nei quali il PRI si pone il problema di come garantire, e con quali strumenti, un più accelerato ritmo di sviluppo ed una maggiore soddisfazione delle esigenze sociali di una moderna democrazia. E' costante il richiamo del PRI ad aver presenti i dati della realtà italiana ed una visione globale dei suoi problemi. Su questo terreno il PRI chiede ai sindacati di verificare le loro azioni rivendicative.
Il sindacato doveva avere il coraggio d'impostare i problemi generali e di chiamare i lavoratori ad assumere le loro responsabilità nel quadro dei programmi generali.
Programmazione e politica dei redditi sono i contenuti di una politica riformatrice che i repubblicani additano alle forze politiche e sociali già nella prima metà degli anni '50.
Il XX Congresso del Partito Comunista dell'Unione Sovietica (PCUS) nel 1956, incrinando il mito staliniano e rilevando la realtà del socialismo sovietico, apre le speranze alla possibilità che il PSI e il PCI in Italia rivedano finalmente le proprie posizioni. Il PRI aveva più volte sottolineato come l'impedimento alla creazione di una forte sinistra democratica nascesse dalla presenza degli stretti legami internazionali che il PSI e il PCI mantenevano con l'Unione Sovietica (URSS).
"Il comunismo - dirà La Malfa - in un Paese di civiltà occidentale è concezione astratta di per se stessa. Esso pone i problemi della trasformazione sociale e politica in termini che non avranno mai possibilità di attuazione in tali Paesi". Contemporaneamente il PLI, arroccato sempre più su posizioni conservatrici, subisce una scissione che porta alla nascita del Partito Radicale di Mario Pannunzio, direttore de Il Mondo, di Ernesto Rossi, di Francesco Compagna, di Vittorio De Caprariis e di Mario Paggi. La nascita di questa nuova formazione viene salutata con simpatia dal PRI, che vede allargarsi l'area di democrazia laica progressista.
Radicali e repubblicani affrontano insieme l'analisi dei principali nodi del Paese, economici, istituzionali e di costume, indicando risposte all'insegna della ragione, contestando sempre le fughe illusorie nell'utopia. Sono quelle indicazioni e la ferma volontà di perseguirle in un chiaro disegno politico, che caratterizzano la presenza del PRI. Ma l'allargamento della partecipazione democratica, se è premessa indispensabile per un grande progetto riformatore, non può non marciare contemporaneamente al conseguimento di nuove tappe verso il grande obiettivo dell'unificazione europea. L'importanza che le attribuisce il PRI è fondamentale.
L'insegnamento di Mazzini e degli elementi più avanzati della democrazia risorgimentale viene portato avanti con tenacia. Il PRI è in prima linea con Randolfo Pacciardi a sostenere, d'intesa con il Movimento Federalista Europeo (MFE) di Altiero Spinelli, la nascita della Comunità Europea di Difesa, progetto non realizzato a causa dell'opposizione della Francia.
La seconda legislatura della giovanissima Repubblica Italiana si avviava così alla fine, e il PRI, verificata la convergente impostazione con il Partito Radicale, decideva di presentare liste insieme ad esso.
Nel novembre del 1956 il PRI si riunisce a Firenze per il XXVI Congresso Nazionale, che sancisce nel documento finale la necessità per il Paese di perseguire la ricerca di nuove formule politiche. Nel frattempo, il distacco del PSI dal PCI diviene sempre più marcato e Pietro Nenni (da giovane repubblicano divenne poi leader socialista) contribuisce a riportare il suo partito su posizioni riformistiche, le uniche che abbiano possibilità di mutare il volto del Paese.
L'allargamento dell'area democratica per il quale il PRI si battè con tenacia, rischia di essere compromesso nel 1960, con la costituzione del governo Tambroni, che proprio mentre il neofascismo riprende vigore, tenta di allargare la scissione tra Paese reale e Parlamento, presentandosi come governo forte della nazione. La reazione popolare è immediata e l'Italia si ritrova in un clima di guerra civile, con il pericolo di una "irrefrenabile radicalizzazione della lotta politica" come la definì il segretario politico del PRI Oronzo Reale.
In questo clima il PRI si batte con decisione per bloccare il processo di degenerazione in atto, e la sua iniziativa, in un momento di generale tensione e generale smarrimento, fa sì che la crisi venga superata con la costituzione di un monocolore DC che ottiene la maggioranza, grazie al voto favorevole dei partiti laici e all'astensione del PSI.
Il ritorno a condizioni di normalità permette al PRI di riprendere l'iniziativa per la costituzione del centrosinistra.
Nell'autunno del 1960 il XXVII Congresso Nazionale del PRI a Bologna dichiara esaurita la formula centrista.
Si arriva così alla costituzione di quel primo centrosinistra nel 1962, con Ugo la Malfa ministro del Bilancio. Il terreno sul quale si gioca la svolta politica è quello economico dove i repubblicani cercano di trarre le conclusioni di quanto avevano prospettato negli anni precedenti.
Nasce la programmazione. Nel 1962 La Malfa presenta al Paese e al Parlamento la Nota aggiuntiva al bilancio dello Stato e indica nella collaborazione di tutte le foze sociali intorno ad obiettivi prioritari quali il Mezzogiorno e la piena occupazione, lo strumento indispensabile per assicurare continuità a quello sviluppo economico del quale si intravede l'esaurimento; il PRI chiede l'impegno dei sindacati intorno al tavolo della programmazione.
Prima realizzazione di quel governo fu la nazionalizzazione dell'energia elettrica che avrebbe dovuto garantire soprattutto nel Mezzogiorno la disponibilità di energia necessaria al suo sviluppo. Ma l'incomprensione e l'immaturità del mondo imprenditoriale e del lavoro decretarono il fallimento della politica di piano. La Confindustria temeva il soffocamento dell'iniziativa privata, i sindacati la limitazione della loro libertà d'azione.
La spinta riformatrice che il PRI avrebbe voluto imprimere al centrosinistra, veniva così bloccata da queste tensioni. L'economia italiana si avviava verso una fase critica, mentre si allargava la spesa pubblica corrente a danno degli investimenti produttivi.
Nel 1967 in occasione della crisi di governo, il PRI poneva quali punti irrinunciabili: il contenimento della spesa pubblica corrente per garantire le finalità della programmazione; l'avvio concreto della riforma dello Stato e delle strutture autonomistiche, nel cui quadro inserire l'attuazione regionale; il problema delle priorità. Temi sui quali il PRI si battè con tenacia negli anni successivi, rimanendo pressochè inascoltati.
49. Il libro bianco sulla spesa pubblica
in "continua 1969 - 1987"