La Voce Repubblicana online
La luce dell’Occidente. Pisacane, Orwell, Rosselli
Di Francesco Subiaco -20/03/2022
È più facile vivere sotto un regime che combatterlo, accettare la tirannia, l’oppressione come un castigo o una fatalità, senza opporre nessuna resistenza. Resistere non serve a niente e quando la libertà viene sottratta è sempre una libertà minore, quella degli altri, dei deboli, degli sconfitti, di tutti coloro che verranno calpestati finché non arriverà il nostro turno e non ci sarà rimasto più nessuno ad impedirlo.
Per questo rivoltarsi contro l’ingiustizia, contro la tirannide degli imperi, la violenza degli scettri e la presunzione dei dogmi non è solo un atto di giustizia verso il proprio prossimo, ma uno dei tanti doveri dell’uomo. Il dovere di combattere per la libertà di tutti i popoli che vengono calpestati, solo perché lottano per l’indipendenza, per la Repubblica, per il popolo, per la loro patria.
Gli eroi del Risorgimento nell’Ottocento su questo tema non avevano dubbi, scegliendo la lotta per la ribellione dei popoli seppur stranieri ed esiliati, come Pisacane in Francia, Santarosa in Grecia, Nullo in Polonia, Andani in Spagna, Garibaldi in SudAmerica e tanti altri. Tutti alfieri di quello scontro perenne tra dispotismo e libertà, testimoni della seconda fazione, sempre contro il loro tempo in nome dell’avvenire.
Un passato eroico che conferma il monito lanciato da John Donne per cui nessun uomo è un’isola e che ogni volta che suona la campana il suo trillo non è mai per un singolo ma per l’umanità intera. Un esempio di cui si fecero carico i combattenti che negli ultimi anni '30 del Novecento scelsero di tuffarsi nelle Brigate internazionali per sostenere la Repubblica contro il golpe franchista, in quella atroce simulazione della Seconda guerra mondiale che fu la guerra civile spagnola. Un conflitto che riunì artisti, intellettuali, politici, patrioti e militari. Dalle acrobazie aeree del rivoluzionario Malraux, agli attentati dinamitardi dei romanzi di Hemingway, tra le peregrinazioni mistiche del reazionario Roy Campbell che pensava di combattere per il suo Cristo in uniforme, alle testimonianze dei resoconti di Pacciardi, che partito antifascista si scoprì ancora più ferocemente anticomunista. Mai la Spagna fu così letteraria ed insanguinata.
Tra le numerose testimonianze della Guerra civile spagnola spiccano quelle di George Orwell e Carlo Rosselli raccolte dall’editore Intra nel volume “Omaggio alla Catalogna. Oggi in Spagna domani in Italia”. Un testo che riproduce sia l’Homage orwelliano sia il discorso dell’esponente di Giustizia e Libertà. Due testimonianze diverse e ancora attuali.
Il primo è un romanzo-cronaca straordinario che immerge il lettore nel mondo sanguigno e sanguinoso delle atmosfere rivoluzionarie catalane. Dalle file repubblicane, Orwell mostra le ambizioni, gli ideali, la semplicità di quei guerriglieri che vedevano “nella chiesa una associazione a delinquere”. Un mondo diviso e vittima di lotte intestine, tra sogni di rivoluzione e deliri di dittatura, tra le euforie impraticabili degli anarchici e le bassezze dei gerarchi comunisti, che spinsero l’autore ad una presa di distanza netta da ogni totalitarismo, lontano dalle tentazioni delle pestilenze della storia.
Il secondo testo è invece un discorso di Rosselli in cui si anticipa la necessità della coesione delle forze nazionali per un nuovo risorgimento capace di sovvertire i fascismi nel mondo prima in Spagna poi in Italia. Le brigate internazionali lottano contro un’ epoca buia, quando quasi nessuno osa sperare. “Cosi oggi noi siamo convinti che da questo sforzo modesto, ma virile dei volontari italiani, troverà alimento domani una possente volontà di riscatto. È con questa speranza segreta che siamo accorsi in Ispagna. Oggi qui, domani in Italia”. Un entusiasmo che verrà smorzato dalle tempeste d’acciaio dell’aeronautica nazista e dalle brame di volontà della potenza dei comunisti spagnoli che mineranno e logoreranno il fronte antifranchista.
Questi due testi straordinari per la visione di libertà e giustizia che sanno offrire, per lo sguardo critico verso ogni tentativo autocratico, sono ancora capaci di illuminare la lunga notte con cui si vuole eclissare la libertà e la democrazia. “Infuriare contro il morire della luce”, scriveva Orwell. Quello che valeva per la Spagna oggi vale per l’Ucraina.
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Un progetto nazionale per educare alla lettura
di Luigi Ascanio - 20/01/2022
Le edicole sono “fornitori di cultura” e di “pluralismo informativo”, con la loro vasta offerta di giornali, riviste, libri, ed ancor oggi, in molte realtà, rappresentano luoghi di incontro, di relazioni umane, di libero confronto sugli argomenti più vari.
Purtroppo,negli ultimi 15 anni, in Italia, son state chiuse oltre 16 mila edicole, la vendita dei giornali quotidiani si è ridotta del 50%, nella classifica europea siamo al terzultimo posto nella lettura dei giornali, dati preoccupanti che vengono, solo in parte, compensati dalla tecnologia informatica, dai quotidiani on-line, che propongono spesso informazioni selezionate e sintetiche. A questa carenza si aggiunge la chiusura delle librerie, specie le piccole rivendite di “nicchia”, circa 2.300 negli ultimi cinque anni, con un forte calo delle vendite di libri, che il mercato on- line cerca di riequilibrare.
In Italia, si legge, quindi, sempre meno, per pigrizia, carenza di interessi, mancanza di tempo, per l’appiattimento del sapere, con conseguenze negative sia sul piano culturale e sociale, che sull’ esercizio del pensiero analitico e critico, specie fra le giovani generazioni.
La scuola, come spesso accade, corre ai ripari e si fa promotrice di importanti iniziative e progetti didattico-educativi, volti a sviluppare la lettura, ora dei quotidiani in classe, ora della narrativa e della saggistica attraverso le stesse biblioteche scolastiche e la partecipazione alle reti dei sistemi bibliotecari del territorio, anch’essi molto attivi nella promozione di iniziative pregevoli. Si tratta di un impegno certamente apprezzabile, che, tuttavia, andrebbe sostenuto maggiormente da un più ampio ed articolato “progetto nazionale di incentivazione alla lettura”, previsto anche dalla legge n° 15 del 2020, che promuova, attraverso vari canali comunicativi, con interventi coordinati e le opportune risorse finanziarie ed umane, questa importante “pratica” nel nostro Paese.
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Un’idea dell’Italia moderna ma radicata nella storia del Risorgimento Repubblicano, Liberaldemocratico, Azionista
di Oliviero Widmer Valbonesi - 08/11/2021
Il pericolo maggiore che possiamo correre nel procedere verso la costruzione di un momento federativo o di coordinamento di forze ideologicamente diverse – anche se non così distanti tra di loro – è che inizi un dibattito ideologico all’interno dei partiti o di movimenti che allontani l’obiettivo e non lo avvicini. Molte volte, e alcuni accenni li ho avvertiti già da tempo sui social o nel leggere qualche rivisitazione storica, sono il frutto di scontri personali, di chi si sente tifoso della concezione destra-sinistra. Di chi ha visto l’innesto della parte azionista nel PRI mazziniano come uno snaturamento del PRI mazziniano, dimenticando che l’unico partito fondato da Mazzini è stato il partito d’Azione. Ma soprattutto c’è il rischio che queste discussioni non abbiano alcun fondamento né sul piano storico né relazione con il momento politico attuale.
Cercherò di spiegarlo partendo da alcune considerazioni sollevate sui social. Esiste una contrapposizione così netta tra la concezione di Mazzini e del crociano Ugo la Malfa?
Mazzini fondamentalmente credeva nella conoscenza, nel sapere dell’Umanità come molla del progresso. Era quella la sua religiosità. Non era né cattolico né cristiano come scrive nei due libri “Da Dio al Concilio” e “Dal Concilio a Dio”. Considera la religione cattolica ferma ai suoi dogmi originali e quindi conservatrice, mentre la conoscenza, quindi la scienza aggiungono, nella loro epoca, un gradino alla scala del progresso umano. È una teoria di progresso civile, umano. Ma non è una teoria classista, come fondamentalmente è la teoria marxista o la concezione di dividere la società in destra-sinistra. La destra sono i ricchi, gli imprenditori, e la sinistra i poveri, i proletari. L’idea democratica in Mazzini si evolve con l’associazione e col concetto di proprietà privata che invece comunisti e socialisti aborrivano.
Ugo La Malfa nel partito d’azione sosteneva l’unità dei ceti medi come elemento di stabilizzazione e di guida del paese. I giovani della “Rivista 70” nel corso di un dibattito a Firenze, gli fecero notare che lui accusava il PCI di essere classista, la dittatura del proletariato, ma che con la sua teoria sui ceti medi era a sua volta classista. Lui rispose che sbagliava allora, che l’ingresso nel PRI lo aveva portato a conoscere realtà come la Romagna mazziniana dove convivevano realtà associative come i braccianti, ma anche dei mezzadri, dei contadini, di piccoli e medi imprenditori, commercianti ed artigiani, di operai, di studenti, di insegnanti, di liberi professionisti, di imprenditori tenuti insieme da un’idea democratica e repubblicana di patto sociale di dovere verso l’interesse generale del paese. E, aggiunge, è questa funzione di responsabilità verso l’interesse generale la vera molla di sviluppo e di condizioni di maggiore giustizia sociale, di recupero di eguaglianza delle zone meno sviluppate del paese.
Quindi Mazzini e Ugo La Malfa avevano la stessa visione democratica, perché era la concezione dell’uomo educato al dovere o alla funzione di responsabilità verso l’interesse generale o se volete verso la concezione della Repubblica come patto sociale, la vera spinta verso condizioni di benessere complessivo. Tanto è vero che poi, La Malfa rivendica, rispondendo al grande mazziniano Tramarollo, il ruolo del Pd’az nel porre la pregiudiziale della Repubblica quando Togliatti, Badoglio e Croce erano già pronti a lasciare la Monarchia al loro posto, nonostante avesse la responsabilità del fascismo e delle leggi razziali.
Così come la visione del mondo, quella dell’Europa era la stessa. Qualcuno scrive che l’idea di Ugo La Malfa fosse elitaria mentre quella di Mazzini più rivolta alla povera gente; nulla di più falso storicamente. Erano due concezioni democratiche, in cui in un’idea di società governata secondo il metodo dell’interesse generale tutti i ceti sociali crescevano in modo equilibrato.
Sia Mazzini che Ugo La Malfa destinavano maggiori risorse ai più deboli e alle zone sottosviluppate.
Chi considera elitario Ugo La Malfa perché amico di banchieri, dimentica che ad un certo punto della sua vita affermò che se avesse avuto dieci anni di meno avrebbe fondato il sindacato dei disoccupati, per contestare il ruolo di rappresentanza che le forti categorie corporative dei lavoratori e degli imprenditori esercitavano mentre ai giovani disoccupati e alle donne disoccupate non pensava nessuno. Lo schema di programmazione e di politica dei redditi è una concezione di sviluppo equilibrato della società, partendo dai più deboli e dalle zone meno sviluppate.
Il PRI è per la Repubblica e non è mai stato né di destra né di sinistra ma per una concezione democratica che è avanti agli schemi di contrapposizione frontale.
Ugo La Malfa voleva l’evoluzione della sinistra verso una concezione di democrazia occidentale, ma non fece mai un governo col PCI che non voleva lo SME o la Nato. Anzi, quando ebbe l’incarico di formare il governo di emergenza nazionale, dopo l’assassinio dell’on. Moro rimise l’incarico a Pertini, perché il PCI voleva uscire dallo SME.
Il PRI era ed è il partito della Repubblica, un partito stabilizzatore, d’equilibrio della democrazia italiana, né di destra né di sinistra ma di quel centro che, come diceva Spadolini, rappresenta il massimo possibile di equilibrio riformatore del paese.
Diverso dai due poli entrambi conservatori, la DC perché erede storica del blocco sociale conservatore che aveva ereditato dal fascismo e sostenuto la monarchia, e il PCI perché portatore di una concezione classista, massimalista e corporativa. Lo scontro di due concezioni in perenne conflitto, diveniva di fatto l’incontro di due corporativismi, clientelismi, assistenzialismi a scapito dell’interesse generale del paese.
Entrambi hanno reso più distanti le condizioni delle zone sottosviluppate da quelle sviluppate e più evidenti le disparità sociali.
Due concezioni che col sistema maggioritario sono diventate strutturali e la corsa alla conquista del potere, invece della competizione per il governo dell’interesse generale, ha portato ad un evoluzione ulteriormente negativa, lo scontro di due concezioni estranee alla concezione democratica e repubblicana, estranea alle concezioni Europee e della civiltà occidentale.
Il bipopulismo presente in entrambi i poli destra sinistra con l’aggiunta di un nazionalismo antistorico, antieuropeo e pericoloso. Lo scontro fra DC e PCI è diventato, col crollo delle ideologie e dei partiti storici, lo scontro fra uno schieramento col PD cattocomunista erede del vecchio bipolarismo corporativo assistenziale PCI, DC unito al populismo dei 5S e dall’altra parte il populismo berlusconiano, mascherato da liberalismo popolare, con la tradizione della destra di estrazione movimento sociale, antieuropea e nazionalista, con la Lega di Salvini, sovranista e antieuropea. Una destra che difficilmente, se non muterà sostanzialmente, credibile a gestire una contingenza politica in cui il tema della solidarietà europea va gestito in accordo con la UE, non in uno scontro quotidiano, cercando di unificare i nazionalisti più estremi dei paesi europei.
Per rompere questa brodaglia esplosiva occorre creare un centro democratico, repubblicano, liberal democratico, azionista, che sia autonomo da questa destra e questa sinistra che prosegua la politica e gli impegni del governo Draghi almeno fino al 2027, possibilmente con Draghi Presidente del Consiglio fino al 2023 e anche dopo, se i risultati sono quelli che registriamo sia in termini di sviluppo che di lotta alla pandemia.
Sono bastati 8 mesi fuori dalla concezione destra-sinistra per ridare sviluppo e governo della emergenza pandemica ai massimi livelli mondiali. È vero che la figura di Draghi ha pesato molto in questo, ma è soprattutto l’idea che si può governare meglio il paese se si sta fuori dallo scontro perenne e da un bipolarismo dominato dalle estreme.
Il PRI riassume in questa contingenza storica pienamente il suo ruolo di coscienza critica, di stabilizzatore del sistema politico, di minoranza storica che tiene acceso il faro dell’interesse generale. Lo può fare con forze che politicamente hanno lo stesso interesse, cioè quello di riportare la politica al suo compito vero, cioè quello di un confronto dialettico programmatico che si svolge dopo le elezioni in Parlamento come vuole la Costituzione di una Repubblica parlamentare. Un centro che rompe lo schema di potere destra-sinistra che si alimenta con lo scontro, per fare emergere la capacità di governo dell’interesse generale. Un polo che si collega alle esperienze liberaldemocratiche europee, che ha come punto di riferimento la cultura e le alleanze occidentali. Un polo terzo che chiede una riforma elettorale proporzionale con l’introduzione della sfiducia costruttiva, che isola il populismo e il sovranismo nazionalista, che assume l’agenda Draghi come sviluppo di una politica riformatrice europea, che implementa proposte ragionate e di sviluppo sostenibile e possibili del paese, che si rivolge, come offerta politica nuova, ma con solide radici nel Risorgimento e nella storia italiana, a quegli elettori che disertano le urne perché non si riconoscono in un’offerta muscolare e di conquista del potere tipica di questi 27 anni di scontro.
Se riusciremo a contenere le polemiche ideologiche, se il narcisismo di qualcuno, che non è la rinuncia al protagonismo ma l’accentramento su un uomo della realizzazione progettuale, se tutti coloro che si impegnano avranno visibilità e rappresentanza allora possiamo dare una speranza al nostro paese.
Chi vuole impegnarsi in questo progetto è bene accetto, chi intendesse questo terzo polo come un centrismo di interdizione del potere è bene che se ne stia fuori.
Noi possiamo offrire al paese una politica seria, di riforma, di coesione sociale, di libertà e di benessere crescente solo se manterremo le caratteristiche del rigore politico e morale dei grandi riformatori cui ci collega la storia risorgimentale e democratica del paese, dell’Europa, dell’Occidente.