Jean Omer Marie Gabriel Monnet (1888 - 1979)
Jean Omer Marie Gabriel Monnet (Cognac, 9 novembre 1888 – Bazoches-sur-Guyonne, 16 marzo 1979) è stato un politico francese, tra i padri fondatori dell'Unione Europea.
Monnet è nato a Cognac, un comune nel dipartimento della Charente in Francia, in una famiglia di commercianti di cognac. Secondo Jacques-René Rabier, i valori del laicismo e del repubblicanesimo, così come una forte tradizione cattolica, coesistevano nella famiglia di Monnet. Sua madre era profondamente religiosa e sua sorella Marie-Louise fu una fondatrice del ramo francese dell'Action Catholique, a cui Monnet contribuì finanziariamente; in seguito avrebbe presentato suo fratello a Papa Paolo VI.
All'età di sedici anni, Monnet abbandonò a metà gli esami di ammissione all'università e si trasferì nel Regno Unito, dove trascorse diversi anni a Londra imparando il mestiere con il signor Chaplin, un agente della società di suo padre. Successivamente, ha viaggiato molto – in Scandinavia, Russia, Egitto, Canada e Stati Uniti – per l'azienda di famiglia, la Monnet Cognac.
Nel corso della prima guerra mondiale, Monnet, riformato per motivi di salute, propone al presidente del consiglio francese dell'epoca René Viviani un piano di coordinamento delle risorse degli alleati. Nel 1919 viene nominato segretario generale aggiunto della Società delle Nazioni. Nel 1923 torna ad occuparsi dell'azienda di famiglia, e negli anni successivi si occupa di finanza internazionale.
Nel 1940 Monnet viene inviato negli Stati Uniti come rappresentante del governo inglese per negoziare una commessa militare. Dal suo arrivo divenne un ascoltato consigliere del presidente Roosevelt. Secondo le sue parole, l'America doveva diventare l'arsenale delle democrazie. Per mesi persegue tenacemente questo obiettivo, che sfocia poi nella realizzazione del Victory Program deciso da Roosevelt nel 1941.
Il 5 agosto 1943 ad Algeri diviene membro del Comitato francese di Liberazione nazionale e si esprime con queste parole: «Non ci sarà mai pace in Europa se gli stati si ricostituiranno su una base di sovranità nazionale... [ciò] presuppone che gli stati d'Europa formino una federazione o una entità europea che ne faccia una comune unità economica.»
Dopo la liberazione viene incaricato dal generale Charles de Gaulle di elaborare e realizzare un piano di modernizzazione e rilancio per l'economia francese.
Nel 1950, al risorgere di nuove tensioni internazionali, Monnet decide che sia venuto il momento di tentare un passo irreversibile verso l'unione dei paesi europei. Prepara, con alcuni collaboratori, il testo di quella che sarà la Dichiarazione Schuman. Nel 1952 Jean Monnet diventa il primo presidente dell'Alta Autorità della Comunità europea del carbone e dell'acciaio. La sua intuizione più grande è senz'altro quella riguardante l'utilizzo delle risorse carbo-siderurgiche, fino a quel momento oggetto di aspre contese tra Francia e Germania, come strumento di cooperazione. Ma "chi ponga mente alle linee della struttura ideata da Jean Monnet per far gestire in comune tra Francia e Germania il carbone e l’acciaio non può non avvedersi che il disegno ha la natura di un progetto costituzionale, pur se concerne un settore limitato. L’Assemblea, la Commissione, il Consiglio già sono presenti. Nella forma di un Trattato, nasce dunque fin dal 1950 un’organizzazione internazionale che presenta alcuni caratteri propri della statualità".
Non a caso, in seguito, sulla scorta di questa attività promuove il "Comitato d'azione per gli Stati Uniti d'Europa": il modello funzionalista concepito da Jean Monnet "all’obiettivo della creazione di uno Stato federale aveva sostituito quello tutto nuovo della sovranazionalità". La strategia di Jean Monnet "fu infatti incentrata sulla «funzione trainante» di coalizioni sovranazionali, formate da élite politiche illuminate, da una ristretta cerchia di esperti e da gruppi d’interesse, che avrebbero dovuto fornire il sostegno necessario allo sviluppo e alla diffusione del progetto comunitario. Tali aspetti tecnocratici presenti nell’originario progetto Monnet sopravvissero anche nei decenni successivi, trovando un terreno fecondo nel configurarsi dell’Europa come «stato regolatore»".
Pierre Mendès France (1907 – 1982)
Pierre Mendès France (Parigi, 11 gennaio 1907 – Parigi, 18 ottobre 1982) è stato presidente del Consiglio della Francia dal 19 giugno 1954 al 23 febbraio 1955.
Nasce da un'antica famiglia ebraica sefardita di origine portoghese, dal nome di "Mendes de França". Si segnala già nel 1928, quando, terminati gli studi di giurisprudenza e dopo essere passato per la libera scuola di scienze politiche, a soli 21 anni diventa il più giovane avvocato di Francia. Particolarmente interessato alle questioni economico-finanziarie, sostiene nel marzo 1928 una tesi sulla politica di risanamento del franco francese condotta da Raymond Poincaré, della quale evidenzia tuttavia le pesanti conseguenze economiche e sociali.
La militanza politica di Pierre Mendès France inizia già all'epoca degli studi: egli diventa uno dei dirigenti della Lega d'Azione Universitaria Repubblicana e Socialista, un movimento studentesco che si oppone all'estrema destra, molto attivo a Parigi nel Quartiere latino alla fine degli anni 20.
Pierre Mendès France è allora una delle speranze del Partito Repubblicano, Radicale e Radical-Socialista, al quale è iscritto dall'età di 16 anni. Egli fa parte insieme a Jacques Kayser, Gaston Bergery, Pierre Cot, Jean Zay e Bertrand de Jouvenel, dei cosiddetti Giovani Turchi, che pretendono un rinnovamento della dottrina del movimento e un suo stretto legame con la sinistra, contestando così l'orientamento della direzione del partito incarnata dalla figura storica di Édouard Herriot.
Nel 1928 è iniziato in Massoneria nella Loggia "Union et Progrès" di Pacy-sur-Eure, ne uscirà nel 1945.
Deputato del dipartimento dell'Eure dal 1932 e sindaco di Louviers dal 1935, Mendès France assume la presidenza della commissione per le dogane della Camera dei deputati, prima di essere nominato segretario di Stato al Tesoro nell'effimero secondo governo di Léon Blum dal 13 marzo all'8 aprile 1938. Elabora con il direttore del gabinetto di Blum, Georges Boris, un audace progetto di riforma economica che punta al rilancio degli investimenti militari e per la prima volta fa riferimento agli insegnamenti di John Maynard Keynes. Molto contestato, questo progetto sarà respinto dal Senato, causando la caduta del governo.
Al momento della dichiarazione di guerra Mendès France è deputato. Arruolato come ufficiale nell'aviazione, contrario all'ipotesi di un armistizio è uno di quelli che vorrebbero continuare la guerra nell'Africa settentrionale, e infatti anziché raggiungere Vichy per partecipare al Congresso che il 10 luglio 1940 segnerà la fine della Terza Repubblica agonizzante, nel giugno 1940 insieme ad altri ventisette deputati raggiunge l'Algeria a bordo del piroscafo Massilia. Ma si tratta di un tranello, giacché allo sbarco è arrestato per ordine del generale Noguès. Ricondotto in Francia, è processato e condannato a Clermont-Ferrand per diserzione da un tribunale militare al servizio del regime di Vichy. La scandalosa condanna suonerà per Mendès, che più di ogni altro voleva imbracciare le armi e combattere per il proprio Paese, come uno schiaffo bruciante.
Riesce però ad evadere nel 1941 e raggiunge a Londra le Forces aériennes françaises libres. Continua a battersi come capitano pilota osservatore. Guiderà un'incursione sulla periferia parigina nell'ottobre del 1943. Il generale De Gaulle lo nomina nel 1943 commissario alle Finanze nel Comitato francese di liberazione nazionale di Algeri. Rappresenta la Francia alla conferenza di Bretton Woods, prima di essere nominato ministro dell'Economia nazionale del Governo provvisorio della Repubblica francese a partire dal 4 settembre 1944. In contrasto con il ministro delle Finanze René Pleven sull'orientamento da dare alla politica economica, Mendès France si dimette il 6 aprile 1945, anche per il mancato sostegno del generale De Gaulle alle misure di rigore e risanamento finanziario che secondo lui la situazione economica del Paese richiede.
Mendès France viene comunque nominato alla fine del conflitto membro del Consiglio di amministrazione della Banca mondiale e del fondo monetario. Rappresenterà in seguito la Francia anche nel Comitato economico e sociale delle Nazioni Unite.
A partire dall'ottobre 1950, dopo la sconfitta di Cao Bằng, Mendès France combatte fortemente all'Assemblea nazionale l'impegno militare francese nella guerra di Indocina e diviene uno dei principali oppositori del conflitto.
Nel 1953 il giornalista e scrittore Jean-Jacques Servan-Schreiber fonda insieme a Françoise Giroud L'Express, che fino al 1965 sarà il portavoce e principale sostenitore della linea di Mendès. Risale a quel periodo l'inizio della relazione di Pierre Mendès France (che non si è ancora separato dalla moglie) con Marie-Claire Servan-Schreiber, cugina di Jean-Jacques. Si sposeranno nel 1968.
Dopo un primo tentativo infruttuoso di formare un proprio governo nel 1953, Mendès France è finalmente nominato dal capo dello Stato René Coty presidente del consiglio il 18 giugno 1954, ossia soltanto qualche settimana dopo la disfatta francese di Diên Biên Phu. Riceve l'incarico preciso di concludere la pace in Indocina. Otterrà una maggioranza parlamentare estesa anche ai comunisti, ma il governo Mendès France rimarrà in carica soltanto sette mesi e mezzo. Entrerà comunque nella storia come uno dei momenti forti della Quarta Repubblica francese.
Ad eccezione di Edgar Faure, ministro delle Finanze, il governo non è composto da notabili, ma è, piuttosto, costituito da un gruppo di personaggi abbastanza nuovi, sia socialisti (Alain Savary o Gaston Defferre) sia del Movimento Repubblicano Popolare (MRP), sia radicali, ma pure qualche gollista come Jacques Chaban-Delmas. Ministro degli Interni è François Mitterrand. Nel suo discorso di investitura Mendès France si impegna a raggiungere un successo nelle trattative di pace entro trenta giorni, e assume personalmente la guida del ministero degli Esteri. Il 20 luglio 1954 si giunge agli accordi di Ginevra che pongono fine al conflitto e sanciscono la divisione del Vietnam in due Stati, con il confine posto all'altezza del 17º parallelo. Risolta la crisi indocinese, Mendès France avvia delle trattative per giungere all'indipendenza della Tunisia.
Sul piano istituzionale Mendès France persegue una razionalizzazione del regime parlamentare della Quarta Repubblica, con un tentativo di riequilibrio ottenuto rafforzando l'esecutivo. Rifiuta il principio della doppia investitura, secondo il quale il presidente del Consiglio incaricato si presentava due volte davanti all'Assemblée nationale, dapprima solo e poi con l'intero governo, denunciando i mercanteggiamenti che tali sistema favoriva. Il governo Mendès France, occupato principalmente a gestire i problemi internazionali, non ha tempo di avviare sul piano socio-economico grandi riforme. Va ricordata comunque la lotta contro l'alcolismo, che si traduce nell'autunno 1954 in una serie di misure fiscali. Il 30 agosto 1954, malgrado l'ostilità della maggior parte dei deputati, mette ai voti, il progetto della Comunità Europea di Difesa (CED). Il piano è respinto, e questo scacco apre la via al riarmo tedesco nell'ambito della NATO e sul piano interno fa venir meno il sostegno del MRP, privando il suo gabinetto di una solida base parlamentare. Infatti, poco tempo dopo, il 5 febbraio 1955 il governo cade sulla questione dell'applicazione dello Statuto dell'Algeria.
Mendès France sarà nuovamente ministro, con il ruolo di ministro di Stato (ossia vicepresidente del consiglio) nel governo guidato da Guy Mollet, ma darà rapidamente le dimissioni per disaccordi con la politica algerina.
Mendès France si oppone decisamente al progetto di Costituzione elaborato dal governo De Gaulle nominato nel maggio 1958, e conduce la campagna per il no al referendum del successivo 28 settembre, che si chiuderà con l'approvazione della nuova carta fondamentale e la sua rapida promulgazione. Sconfitto alle legislative del novembre 1958, abbandona – come tutti i leader della sinistra della Quarta Repubblica che si oppongono al regime di De Gaulle – tutte le cariche in Francia e all'estero. Fonda il Centre d'Action Démocratique (CAD), che in seguito confluisce nel 1959 nel Partito Socialista Autonomo, (Parti Socialiste Autonome, PSA), il quale a sua volta nel 1960 si unirà insieme ad altre formazioni della sinistra nel Partito Socialista Unificato (Parti Socialiste Unifié, PSU).
Mendès France sostiene la candidatura di François Mitterrand alle elezioni presidenziali del 1965, ed è eletto deputato di Grenoble nel 1967. In occasione degli eventi del maggio 1968, Mendès France appare come una possibile ancora di salvezza in caso di crollo della Quinta Repubblica. È presente alla manifestazione allo stadio Charléty, il 27 maggio 1968, ma decide di non prendere la parola, attirandosi forti polemiche. Nei giorni in cui il Paese è nel caos e praticamente senza una guida (De Gaulle è partito in elicottero per Baden-Baden lasciando praticamente solo il primo ministro Georges Pompidou), Mendès tenta di formare un governo composto da comunisti, socialisti e radicali e con la partecipazione di un rappresentante del movimento studentesco. Il rientro di De Gaulle, seguito da un'imponente manifestazione gollista, faranno naufragare l'operazione.
Alle elezioni legislative del 1968 Mendès perde il proprio seggio di deputato, e in seguito lascia il PSU, partito con il quale non è più in sintonia. Alle presidenziali dell'anno successivo, il candidato socialista Gaston Defferre preannuncia che, in caso di vittoria, avrebbe affidato a Mendès la carica di primo ministro. Ma si tratta di due personalità diametralmente opposte, e l'accoppiata mette visibilmente a disagio Mendès come i suoi stessi sostenitori. Gli effetti sono controproducenti, anche perché l'elettorato socialista moderato finisce per abbandonare al suo destino Defferre, che infatti ottiene solo 1.133.222 voti, ossia il 5%.
Dal 1972 si ritira – ormai malato – dalla vita politica e dedica gli ultimi anni esclusivamente a tentare di raggiungere un accordo di pace nel Vicino Oriente. Il 21 maggio 1981, nonostante le cattive condizioni di salute, sostenuto da Marie-Claire è nel salone delle Feste dell'Eliseo ad assistere all'insediamento di François Mitterrand alla presidenza della Repubblica. Nell'abbracciarlo, il neopresidente pronuncia ad alta voce la frase: «Senza di Lei, tutto questo non sarebbe stato possibile» (Jacques Attali, Verbatim I vol. primo, 1993). A quel punto, Mendès non riesce a trattenere le lacrime. Mendès fa in tempo ad assistere al primo anno della presidenza Mitterrand. Per lui, sarà soprattutto fonte di amarezze. In realtà, l'intransigenza di Mendès ha sempre messo a disagio il più disinvolto Mitterrand. Degli uomini legati all'ex presidente del consiglio, se Michel Rocard, Claude Cheysson e Charles Hernu, avranno incarichi ministeriali di primo piano, altri, come Georges Kiejman, Simon Nora, Jean-Jacques Servan-Schreiber, dovranno accontentarsi di ruoli minori.
Alexandros Panagulis (1939 – 1976)
Alexandros Panagulis, noto anche con il diminutivo di Alekos (Αλέκος) (in greco Αλέξανδρος Παναγούλης, Aléxandros Panagoúlis; (Glifada, 2 luglio 1939 – Atene, 1º maggio 1976), è stato un politico, rivoluzionario e poeta greco, considerato un eroe nazionale della Grecia moderna e un padre della democrazia europea.
Fu un intellettuale e attivista per la democrazia e i diritti umani, rivoluzionario non marxista in lotta, anche armata, contro la dittatura dei colonnelli. A causa del suo fallito attentato contro il dittatore Geōrgios Papadopoulos (1968), venne perseguitato, torturato e imprigionato a lungo, fino alla sua liberazione nel 1973 dopo una mobilitazione internazionale.
Dopo un periodo di esilio in Italia, divenne deputato al parlamento greco per il partito liberaldemocratico Unione di Centro nel 1974, ma morì due anni dopo in un misterioso incidente stradale, mentre stava indagando sui rapporti segreti intrattenuti da alcuni membri del nuovo governo democratico con i militari all'epoca del regime.
Panagulis è anche il protagonista di Un uomo, famoso libro di Oriana Fallaci, giornalista e scrittrice italiana che fu la sua compagna di vita dal 1973 al 1976, testo che, insieme alla lunga intervista allora concessa alla stessa, lo rese celebre in tutto il mondo come simbolo della resistenza ai regimi autoritari.
Leo Valiani (1909 - 1999)
Nasce il 9 febbraio 1909 a Fiume, città che all'epoca apparteneva all'impero Austro-Ungarico nel regno d'Ungheria. Proviene da una famiglia ebrea di madrelingua tedesca, si chiamava all'anagrafe Leo Weiczen e il suo cognome fu italianizzato in Valiani nel 1927. Si trasferisce in seguito con la famiglia a Budapest.
Nel settembre del 1919, dopo essere tornato a Fiume, assiste all'occupazione della città da parte di D'Annunzio. Nel 1921 è testimone dell'incendio di una Camera del Lavoro da parte dei fascisti.
Nel settembre del 1926, a Milano, conosce Carlo Rosselli e Pietro Nenni.
Il 2 marzo 1928 viene denunciato per delitto contro la sicurezza dello Stato e arrestato; nel dicembre dello stesso anno viene inviato al confino a Ponza; decide di iscriversi all'organizzazione clandestina comunista dell'isola.
Dopo un anno di confino fa ritorno a Fiume; nel febbraio del 1931, è arrestato mentre distribuisce manifestini nel porto di Fiume. Il 26 novembre è condannato a 12 anni e sette mesi di carcere. Resta nel carcere di Civitavecchia fino al 1936.
Intanto maturano le sue riflessioni critiche nei confronti del comunismo.
Nel marzo del 1936 viene espulso dal Regno d'Italia; si reca a Parigi, dove diviene collaboratore del Grido del Popolo. Si reca in Spagna come inviato del giornale. La polizia francese lo arresta nel 1939. Viene rinchiuso in un campo di concentramento sui Pirenei.
Decide di uscire dal Partito Comunista. Entra in Giustizia e Libertà, accolto da Franco Venturi, al quale sarà legato da stretta amicizia. In seguito raggiunge il Messico.
Dopo l'8 settembre torna in Italia; aderisce al Partito d'Azione, nella cui area "liberaldemocratica" milatano Parri e La Malfa. In Tutte le strade conducono a Roma, scrive: "Era naturale che mi inquadrassi immediatamente nel Partito d'Azione. Esso aveva assorbito il movimento di Giustizia e Libertà, al quale io avevo aderito all'estero. Quel che in Giustizia e Libertà mi aveva affascinato, era la sua audacia intellettuale, il suo sforzo volto a riconciliare, in una sintesi superiore, il marxismo e il movimento operaio con la grande filosofia liberale dell'Ottocento. In sede politica, ciò significava un atteggiamento di ricostruzione europea, al di là dei limiti posti dalle strutture statali esistenti, e quindi una forte critica verso tutti i partiti democratici tradizionali, preesistenti al fascismo e che il fascismo aveva potuto facilmente travolgere".
Valiani diviene segratario del PdA per l'Italia settentrionale.
Con Pertini, Longo e Sereni prende la decisione di fucilare Mussolini.
Dal 4 all'8 febbraio partecipa al primo ed unico congresso del PdA.
Decide in seguito di abbandonare la vita politica. Si dedica al giornalismo e alla scrittura di saggi storici.
Nel 1980 è nominato senatore a vita. Entra nel gruppo parlamentare del Partito Repubblicano Italiano.
Muore il 18 settembre 1999.
Leo Valiani a cento anni dalla nascita - intervento di Giorgio La Malfa 1/2
Leo Valiani a cento anni dalla nascita - intervento di Giorgio La Malfa 2/2
Giovanni Spadolini (1925 - 1994)
Nasce a Firenze nel 1925. Giovanissimo, diviene docente di Storia contemporanea presso la facoltà di Scienze politiche dell'Università del capoluogo toscano.
Collabora, fin dal primo numero, al Mondo di Pannunzio, divenendo nel 1955 direttore de Il Resto del Carlino. Più tardi, nel 1969, assume la direzione de Il Corriere della Sera, che regge durante gli anni difficili della contestazione e della strategia della tensione.
Nel 1972 è eletto senatore per il collegio di Milano nelle liste del Pri, come indipendente.
Nel 1974, nel governo Moro - La Malfa, è ministro dei Beni culturali; nel governo Andreotti del 1979 è ministro della Pubblica istruzione.
Il 23 settembre 1979 è eletto segretario del Partito Repubblicano.
L'11 giugno 1981, il Presidente della Repubblica Pertini affida al senatore Spadolini l'incarico "larghissimo e senza alcun vincolo" di formare il nuovo governo. Un mese dopo, Spadolini ottiene la fiducia delle Camere. E' il primo presidente del Consiglio non democristiano dell'Italia repubblicana.
Il 21 gennaio 1982, presiedendo a Palazzo Chigi una riunione operativa a cui partecipano i responsabili delle forze dell'ordine, Spadolini denuncia l'intreccio perverso fra mafia, camorra e terrorismo.
Il Parlamento approva il disegno di legge presentato dal governo per l'attuazione del divieto costituzionale delle associazioni segrete. E' sciolta la loggia P2.
Il 2 settembre 1982 nasce il secondo governo Spadolini. Il 26 giugno 1983, nelle elezioni politiche, il Pri di Spadolini conquista il 5,2 per cento. I giornali parlano di "effetto Spadolini".
Nel 1° governo Craxi dell'agosto 1983, Spadolini è ministro della Difesa, dove dà inizio alla elaborazione di un'azione riformatrice delle forze armate.
Il 22 aprile 1987 si tiene il XXXVI Congresso repubblicano a Firenze; la grandissima maggioranza si riconosce nella mozione di cui Spadolini è il primo firmatario.
Il 2 luglio dello stesso anno Spadolini è eletto presidente del Senato; lascia la segreteria del Pri, che viene assunta da Giorgio La Malfa.
Spadolini riveste la presidenza del Senato per tutta la durata della decima e dell'undicesima legislatura. Nell'aprile del 1994 non ottiene la presidenza del Senato per un solo voto.
E' scomparso il 4 agosto 1994.
Bruno Visentini (1914 - 1995)
Nasce a Treviso il 1° agosto del 1914.
All'università di Padova si unisce ai gruppi di studenti antifascisti. Nel 1933, ad esempio, collabora con altri compagni per far passare la frontiera clandestinamente a militanti comunisti.
Nel 1941 espatria in Francia; nel 1943 è arrestato e rilasciato dopo il 25 luglio.
E' tra i fondatori del Partito d'Azione, con Ugo La Malfa, Parri e Ragghianti.
Partecipa alla Resistenza nel Veneto e poi a Roma nell'ambito del Cnl. Così Giorgio La Malfa ha ricordato la militanza di Visentini nel PdA: "Quel partito fu la maggior forza dell'antifascismo insieme con il Pci, e il luogo di formazione di un vasto mondo politico e intellettuale. Un sogno e una speranza che si conclusero con la scissione del '46. Allora Ferruccio Parri, mio padre Ugo, Bruno Visentini difesero il ruolo autonomo del Partito d'Azione rispetto a quanti chiedevano che esso si schierasse organicamente con i due partiti della sinistra marxista".
Alla scissione romana del PdA, Visentini entra con la corrente di Democrazia Repubblicana nel Pri.
Professore di diritto commerciale all'Università di Urbino, Visentini debutta in un incarico governativo nel 1945 come sottosegretario alle Finanze nel primo governo De Gasperi. Nel 1948 è nominato vicepresidente dell'Iri, carica che ricopre per un lunghissimo tempo fino al 1972.
Nel 1963 è presidente dell'Olivetti, mantenendo, con qualche interruzione, l'incarico fino alla fine degli anni Settanta.
Nel 1972 è eletto deputato in Toscana per il Pri.
Nel 1974 è eletto vicepresidente di Confindustria; si dimette pochi mesi dopo, entrando come ministro delle Finanze nel governo Moro. Dal punto di vista fiscale, il 1974 è un anno importante per l'Italia, con il completamento dell'applicazione concreta di alcuni meccanismi della riforma tributaria; di tale riforma Visentini è stato uno degli ispiratori e protagonisti.
Nel 1979 è ministro del Bilancio nel quarto governo Andreotti. Nello stesso anno viene rieletto senatore e poi membro del Parlamento europeo.
Dal '79 al '92 è presidente del PRI.
Dal 1983 è alla guida del ministero delle Finanze nei governi Craxi. In polemica con Giorgio La Malfa, Visentini lascia il partito nel '92. Giorgio La Malfa ha scritto che Visentini riteneva che "il maggioritario non consentisse più autonomia alle forze intermedie, io ritenendo che fosse comunque necessario assicurare la continuità di una tradizione politica che, pur come espressione di minoranza, percorre tutta la storia d'Italia dal Risorgimento a oggi". Ma Giorgio La Malfa, ricordando Visentini, si augurava che "ci potessimo ritrovare presto insieme, come del resto si erano ritrovati insieme mio padre e Leo Valiani che pure erano stati su sponde opposte al momento della scissione del Partito d'Azione". Visentini si è spento il 12 febbraio 1995.
Jean-Jacques Servan-Schreiber (1924 – 2006)
Jean-Jacques Servan-Schreiber (Parigi, 13 febbraio 1924 – Fécamp, 7 novembre 2006) è stato un politico, giornalista e scrittore francese. In Francia è spesso indicato come JJSS, dalla sigla con cui firmava i suoi servizi giornalistici.
Ammesso all'École Polytechnique nel luglio del 1943, si allontanò dalla Francia occupata e si arruolò volontario nelle Forces Françaises Libres dove prestò servizio come pilota da caccia nel gruppo 1\5. Dopo la seconda guerra mondiale, conseguita la laurea in ingegneria alla Polytechnique, JJSS si dedicò al giornalismo. Diventò nel 1948 editorialista di politica estera per Le Monde. La sua famiglia possedeva Les Echos, il principale quotidiano economico francese. Collaboratore di Pierre Mendès France tra il 1952 e il 1955, nel 1953 fondò, insieme a Françoise Giroud, il settimanale L'Express, primo periodico moderno e innovativo in Europa, su cui saranno modellati numerosi settimanali fra cui l'italiano L'Espresso.
Espressione della sinistra anticomunista, avversario di Charles de Gaulle, combatté gli eccessi dell'esercito coloniale in Algeria e nel 1958 tentò di ostacolare l'avvento della Quinta Repubblica. Fino alla metà degli anni Sessanta fece de L'Express il portavoce autorevole e ufficiale di Pierre Mendès France. Fu amico di Gianni Agnelli e di John Kennedy, al cui progetto politico cercò sempre d'ispirarsi, e di cui si fece portabandiera in Francia.
JJSS fu eletto segretario del Partito Repubblicano, Radicale e Radical-Socialista nel 1969, carica che conservò fino alla scissione del 1971 da cui nacquero il Movimento dei radicali di sinistra (MRG) e il Partito radicale detto valoisien. Aderì alla seconda formazione, di impostazione più moderata, venendone eletto presidente il 17 ottobre 1971. Salvo un'interruzione tra il 1975 e il 1977, restò alla guida del partito fino al 16 ottobre 1979. Eletto deputato nel 1970, sedette all'Assemblée Nationale fino al 1978.
Lottò anche per i diritti umani nel mondo, tentando di far liberare Alexandros Panagulis, l'eroe della resistenza greca alla dittatura dei colonnelli, e riuscendo a far scarcerare il compositore Mikīs Theodōrakīs.
Alle elezioni presidenziali del 1974 sostenne la candidatura di Valéry Giscard d'Estaing e il 28 maggio fu nominato ministro delle Riforme nel governo di Jacques Chirac. Il 9 giugno, tuttavia, dovette dimettersi a causa di alcune sue dichiarazioni contro gli esperimenti nucleari autorizzati dal governo.
Nel 1977 vendette l'Express (Les Echos non apparteneva più alla sua famiglia dal 1960).
Nel 1978 sostenne dietro le quinte la creazione dell'Unione per la Democrazia Francese (UDF).
Nel 1979 si mise in congedo dalla presidenza del partito radicale e insieme a Françoise Giroud si presentò alle elezioni europee con la lista Emploi, Égalité, Europe. La formazione ottenne solo l'1,84% dei voti e a causa delle spese elettorali Servan-Schreiber subì un rovescio finanziario.
Da sempre in ottimi rapporti con François Mitterrand, dopo l'elezione di quest'ultimo alla Presidenza della Repubblica il 10 maggio 1981 divenne uno dei suoi consiglieri occulti, e nel 1984 fu nominato dal Primo ministro Laurent Fabius presidente del Centre Mondial Informatique et Ressource Humaine creato su suo stimolo. Tuttavia, questo organismo si rivelò eccessivamente dispendioso e fu sciolto nel 1986.
A causa del manifestarsi dei primi sintomi della malattia di Alzheimer, a partire dal 1985 incominciò ad assumere un ruolo più defilato. Soggiornò sempre più spesso negli Stati Uniti, e continuò a scrivere libri fino al 1992 e servizi giornalistici fino al 1996.
Fu autore di numerosi libri, fra cui il best seller epocale La sfida americana del 1967, tradotto in quindici lingue (anche in italiano).
Ma nel 1995 l'aggravarsi delle sue condizioni lo costrinsero a ritirarsi definitivamente a vita privata. Morì di polmonite, dovuta a complicanze della sua malattia, nel 2006.
Oriana Fallaci (1929 - 2006)
Primogenita di Edoardo, artigiano, e Tosca Cantini, casalinga, nacque a Firenze il 29 giugno 1929. Dopo la caduta del regime fascista, nel luglio del 1943, Edoardo entrò nella Resistenza nelle fila di Giustizia e Libertà e portò con sé la figlia. Oriana aveva 14 anni e con la sua aria da ragazzina era perfetta per fare da staffetta e portare messaggi e materiale senza destare sospetti. Con il nome di battaglia di Emilia, scelto dalla sua professoressa di filosofia alle superiori, affiancò il padre anche nelle azioni più pericolose, come la raccolta di materiale paracadutato dagli Alleati sulle montagne fuori Firenze o prestare aiuto ai soldati alleati evasi dai campi di prigionia italiani, o dispersi dietro le linee. Nel 1943, due soldati britannici restarono nascosti in casa Fallaci e furono sistemati proprio nella stanza di Oriana che, per l’occasione, si spostò a dormire nel corridoio. Tutto ciò fu determinante per la formazione di Fallaci che rimase molto colpita da questo suo primo contatto con soldati di Paesi che ai suoi occhi rappresentavano la libertà e la lotta contro fascismo e nazismo. Quando arrivò il via libera dalla Resistenza li accompagnò lei stessa con il padre vicino a Pontassieve, da dove poi avrebbero potuto passare le linee e tornare a combattere. Il ricordo di tali avvenimenti venne narrato molti anni dopo nel romanzo Penelope alla guerra (Milano 1962), in cui l’eroina adolescente si innamora di uno dei due soldati nascosti in casa dal padre. Nel marzo del 1944 Edoardo, arrestato dai fascisti, fu torturato a lungo dalla banda Carità affinché rivelasse i nomi dei compagni. Non cedette e venne poi trasferito al carcere cittadino delle Murate, dove fu poi scarcerato nello stesso anno. Oriana raccontò in seguito che questo avvenne grazie al coraggio e allo spirito di inziativa della madre, che ricattò un miliziano fascista che aveva dei precedenti penali da nascondere. Nell’agosto del 1944 Firenze venne liberata dalle forze alleate e Oriana congedata dal corpo Volontari della libertà con il grado di soldato semplice e 14.570 lire di paga. Fino allo scioglimento del Partito d’azione, nel 1947, fu iscritta alla Federazione giovanile, e partecipò alle attività e ai comizi in città. Sottolineò sempre, in seguito, che il Partito d’azione era stato l’unico partito di cui avesse mai avuto la tessera.
Il periodo della Resistenza durò meno di un anno, ma giocò un ruolo fondamentale nella maturazione di Fallaci. In quei mesi, infatti, la giovanissima Oriana ebbe modo di osservare da vicino i grandi personaggi del Partito d’azione – Enzo Enriquez Agnoletti, Tristano Codignola, Margherita Fasolo, Carlo Furno, Maria Luigia Guaita, Nello Traquandi, Paolo Barile, Leo Valiani, Ugo La Malfa, Emilio Lussu –, sviluppando ancor più il culto della libertà e dell’eroismo, già trasmessole dalla famiglia. Eroismo, coraggio e libertà furono per tutta la vita i tre capisaldi su cui basò la sua coscienza politica.
Ottima allieva, Fallaci non perse l’anno a causa della militanza nella Resistenza, anzi, ne saltò uno sostenendo un esame per passare dall’Istituto magistrale Gino Capponi, ov'era iscritta, al liceo classico Galileo Galilei, presso cui si diplomò con ottimi voti nel giugno del 1947. A settembre si iscrisse alla facoltà di Medicina ma per mantenersi iniziò anche a lavorare come cronista per il quotidiano fiorentino Il Mattino dell’Italia centrale. Quando si presentò in redazione aveva 18 anni e, come uniche credenziali, la sua determinazione a scrivere e il nome di Bruno Fallaci, fratello maggiore del padre e all’epoca giornalista di fama. Venne subito notata e diventò cronista regolare del quotidiano. Dopo un anno di studi e lavoro paralleli fu costretta a scegliere e optò per il giornalismo, che le dava uno stipendio regolare. Il suo sogno era quello di diventare «scrittore» e il giornalismo non era che un modo per arrivare a questo obiettivo e al tempo stesso per potersi mantenere senza pesare sulla famiglia.
Come cronista del Mattino dimostrò fin dall’inizio grande talento e duttilità, scrivendo di qualsiasi argomento: dalla cronaca nera alla politica locale, al costume. Fin da allora si distinse per l’approccio personale ai soggetti giornalistici, lo stile vivace della narrazione e la grande capacità di osservare e rendere ogni dettaglio di ciò che vedeva, con vero piglio di scrittrice. I suoi primi articoli sono già straordinariamente riconoscibili e maturi. Collaborò con molti altri giornali e nell’aprile del 1951 ebbe l’onore di veder pubblicato un suo articolo nel settimanale L’Europeo, uno fra i più prestigiosi del Paese. L’articolo, intitolato Anche a Fiesole Dio ha avuto bisogno degli uomini, era ispirato alla curiosa vicenda di un cattolico comunista di Fiesole cui i compagni di partito avevano fatto il funerale religioso contro le indicazioni del parroco, che gli aveva negato i sacramenti. Il direttore Arrigo Benedetti la notò e le fece scrivere altri articoli. Dopo un breve passaggio a Epoca, nel 1955 Oriana Fallaci venne assunta nella redazione milanese dell’Europeo, che restò il suo giornale fino al 1977. All’epoca le donne nei giornali italiani erano pochissime e relegate ai temi cosiddetti 'femminili': costume, moda, cinema. Fallaci dovette accettare questo stato di cose anche se in realtà il rigore intellettuale, la severità del carattere e la formazione personale erano lontanissimi da quei soggetti leggeri, che non amava. Fin da giovane voleva scrivere di politica, desiderio quasi irrealizzabile per una donna in quegli anni, anche se si impegnò fin da allora per arrivare a questo obiettivo. Appena possibile partecipò a viaggi stampa, per vedere il mondo. Nel 1954 fu a Teheran con una delegazione di giornalisti e ottenne un’intervista con Soraya, la moglie dello Scià, scrivendo un pezzo vivacissimo che racchiudeva già tutto il suo talento di intervistatrice. Pur non amando i soggetti mondani, grazie a essi Fallaci poté mettere a punto la sua tecnica, che poi sbocciò nella grande stagione delle interviste politiche degli anni Settanta.
Un primo viaggio negli Stati Uniti, seguito subito da molti altri, e un lungo soggiorno a Hollywood le permisero di studiare le tecniche delle giornaliste di costume americane, che parlavano con grande disinvoltura delle star del cinema esercitando di fatto un controllo totale sul destino dei divi. Fallaci mutuò da loro un giornalismo aggressivo, d'attacco, sconosciuto in Italia, che presto divenne il suo tratto distintivo. In quei primi anni la sua tecnica era già perfettamente formata: preparazione accurata di ogni intervista, uso continuo del registratore, montaggio cinematografico del materiale, presenza in prima persona nell’articolo e nell’incontro con l’intervistato, che spesso usciva malconcio dal trattamento. Nel 1958 pubblicò a Milano per Longanesi il suo primo libro, I sette peccati di Hollywood, una raccolta di articoli sul cinema americano apparsi ne L’Europeo, che ottenne un grande successo. Firma di primo piano del giornale, Oriana Fallaci cominciava ad avere un pubblico affezionato. Al primo libro seguirono rapidamente altri volumi, pubblicati sempre a Milano per Rizzoli, che divenne da allora la sua casa editrice di riferimento, a cominciare da Il sesso inutile (1961), una raccolta di articoli pubblicati su L’Europeo sulla condizione della donna nel mondo: inviata dalla rivista e accompagnata da un fotografo del settimanale, Fallaci aveva viaggiato per settimane attraverso Turchia, Pakistan, India, Malesia, Hong-Kong, Giappone, Hawaii, raccontando al pubblico la condizione femminile in ogni cultura. Risale a questo viaggio il suo primo contatto diretto con l’Islam e le sue critiche alla condizione della donna nei Paesi dove questa religione è dominante. Nel 1962 dette alle stampe il suo primo romanzo, Penelope alla guerra, ritratto di una giovane scrittrice italiana che scopre New York e l’amore. In gran parte autobiografico, il romanzo porta traccia dell’amore tragico e non ricambiato che Fallaci aveva vissuto alcuni anni prima con un collega italiano. Subito dopo pubblicò Gli antipatici (1963), una raccolta di ritratti al vetriolo delle celebrità del cinema e della cultura pubblicati sull’Europeo. Tutti questi libri furono grandi successi di vendita in Italia e vennero tradotti nelle principali lingue occidentali: grazie ai proventi ottenuti, Fallaci poté riscattare la povertà della famiglia, acquistando una grande tenuta nel Chianti che offrì ai genitori per i loro anni della vecchiaia, e comprare una casa per sé a Manhattan. A contatto con gli Stati Uniti aveva maturato infatti la convinzione che la comunicazione globale fosse destinata ad avvenire in inglese, e che il futuro del giornalismo fosse di fatto in America e non in Europa. Dopo anni di pendolarismo tra Italia e Stati Uniti, nel 1963 si trasferì in modo definitivo a New York.
Ormai diventata una firma famosissima del giornalismo italiano e un’autrice di successo, Fallaci poté finalmente decidere di cosa occuparsi. Voleva tornare ai temi della sua giovinezza: il coraggio e la politica. Per un breve periodo meditò un libro sugli eroi che avevano lottato nel Partito d’azione, poi decise di occuparsi di un altro tipo di eroi, quegli astronauti che negli Stati Uniti erano impegnati nella corsa allo spazio contro l’URSS. Chiese all’Europeo di poter compiere una serie di lunghi soggiorni in California e in Texas, per studiare come gli astronauti lavoravano e si preparavano ad arrivare sulla Luna. Attratta dalla loro abnegazione e dal loro coraggio, divennne amica di molti di loro, in particolare di Pete Conrad, che fu al comando della missione «Apollo 13» e che lei chiamò sempre 'suo fratello'. Alla corsa allo spazio dedicò poi due libri di grande successo: il già citato Se il sole muore e Quel giorno sulla Luna (1970).
Nel 1968 ottenne di essere inviata dall’Europeo in Vietnam, per assistere a quel conflitto che divenne presto emblematico dell’epoca della guerra fredda e che vide per la prima volta gli Stati Uniti sconfitti. Fallaci, che nella guerra era cresciuta, volle recarsi di persona per vedere e testimoniare ciò che stava succedendo laggiù e insistette con il suo direttore per partire. Andare al fronte fu anche un modo per viaggiare indietro nel tempo e tornare a studiare la guerra che l’aveva segnata fin da bambina. Si disse sempre convinta che la guerra fosse una cosa orribile e spesso inutile, , ma al tempo stesso ne era affascinata perché sosteneva che in guerra era possibile scorgere l’uomo nella sua verità assoluta, nel bene e nel male. Fu l’unica giornalista italiana presente in Vietnam, e ben presto i suoi reportage divennero leggendari. Soggiornò più volte nel Paese, restando fino alla fine del conflitto, nel 1975, e raccontando al pubblico la vita a Saigon, ma anche le condizioni in cui si viveva al fronte, i bombardamenti, i rastrellamenti, gli interrogatori dei prigionieri. Realizzò molte interviste esclusive, come quella al generale Giap, ad Hanoi, e mostrò nelle sue cronache le atrocità della guerra, da qualsiasi parte provenissero. Critica verso gli Stati Uniti ma anche verso il Vietnam del Nord, riuscì in questo modo a inimicarsi entrambe le parti in lotta. A questa esperienza dedicò Niente e così sia (Milano 1969).
In Vietnam incontrò François Pelou, giornalista francese direttore dell’Agenzia France Presse di Saigon, che fu per alcuni anni il suo compagno e la aiutò a maturare politicamente. In quegli anni Fallaci divenne una grande giornalista politica, impegnata su più fronti: non solo la guerra vietnamita, ma anche le dittature in Sudamerica – nel frattempo Pelou era diventato direttore dell’Agenzia France Presse di Rio de Janeiro –, la guerriglia in Medio Oriente e le grandi questioni politiche e militari dell’epoca. In Medio Oriente inaugurò la serie di interviste a leader politici che presto la fecero conoscere in tutto il mondo come la più famosa e temibile intervistatrice internazionale. Mise al servizio dei ritratti politici le tecniche che aveva messo a punto durante i primi anni del giornalismo di costume e di fatto inventò un nuovo modo di intervistare i personaggi. Nacquero pertanto le Fallaci Interviews, poi riunite in Intervista con la storia (Milano 1974) e che ben presto divennero materia di studio nelle scuole americane di giornalismo. In quegli anni fu una giornalista impegnata e divenne una vera e propria celebrità. Quando, nel 1968, fu ferita gravemente a Città del Messico, durante la repressione governativa di una manifestazione popolare e studentesca di protesta che stava seguendo per L’Europeo, ricevette telegrammi di solidarietà provenienti da tutto il mondo.
Lettera a un bambino mai nato (Milano 1975) fu il primo romanzo che raggiunse i numeri e il successo di un best-seller planetario, dove Fallaci si interroga sui grandi temi della vita, della morte, del limite tra libertà individuale e diritti del nascituro. Poi, Un uomo (1979), romanzo ispirato alla storia di Alexandros Panagulis, che per tre anni fu il compagno di Oriana e che morì nel 1976 ad Atene in un incidente automobilistico mai chiarito. nel 1979 si recò in Iran a intervistare Ruhollah Khomeini, il leader religioso che aveva rovesciato Mohammad Reza Pahlavi, scià di Persia, e instaurato la Repubblica islamica; quindi fu in Libia per incontrare e intervistare Muammar Gheddafi, all'epoca giovane dittatore a capo del Paese. Nel 1981 intevistò Lech Wałęsa, un oscuro operaio di Danzica che iniziava a sfidare il potere sovietico con il suo sindacato Solidarność. Nel 1990 pubblicò Insciallah, grande narrazione corale ambientata durante la guerra civile libanese, che Fallaci aveva visto da vicino visitando sul terreno molte volte il comando italiano delle forze di pace nel 1983. Il romanzo è una condanna senza appello dell’assurdità della guerra e al tempo stesso una prefigurazione dello scontro tra Islam politico e Occidente destinato a prender corpo nei decenni successivi.
Dopo anni di silenzio silenzio, a seguito del crollo delle torri gemelle, scrisse un lungo articolo pubblicato nel Corriere della Sera il 29 settembre 2001, intitolato La rabbia e l’orgoglio, con cui cercò di fustigare l’Occidente, e in particolare l’Europa, colpevole ai suoi occhi di mancanza di passione e di coraggio davanti all’attacco di una civiltà giovane e aggressiva come l’Islam. Per rispondere alle polemiche immediate che, soprattutto sulla stampa italiana, seguirono la pubblicazione dell’articolo, dedicò tre anni ad argomentare ed estendere il suo discorso, pubblicando una trilogia (La rabbia e l’orgoglio, Milano 2001; La forza della ragione, ibid. 2004; Oriana Fallaci intervista sé stessa - L’Apocalisse, ibid. 2004). Minata dalle metastasi del tumore, nel 2006 tornò a Firenze dove si spense il 15 settembre del 2006.
Giancarlo Parma (1936 - 2020)
Giancarlo Parma nato a Rimini il 13 settembre 1936 ha vissuto a Rimini fino al 1964 (con la breve parentesi in qualità di bambino sulla Linea Gotica ad Ospedaletto, Croce di Montecolombo e San Marino nell'estate del 1943 da cui è tratto il suo ultimo libro), dal 1964 al 1972 a Ravenna, poi a Bologna ed infine ancora a Rimini dal 2012 dove ha lasciato questa terra il 21 febbraio 2020.
Cultore del Risorgimento Italiano e della Resistenza (come secondo Risorgimento), ha studiato e scritto saggi su questi periodi della nostra storia. Mazziniano di fede e praticante, in passato ha ricoperto incarichi politici e amministrativi nel Partito Repubblicano Italiano (P.R.I.) a livello locale, regionale e nazionale.
Era socio della sezione PRI “Sant'Andrea – Borgo Mazzini Rimini”, del Movimento Federalista Europeo, della Deputazione Dalmata di Storia Patria di Venezia, dell'Associazione Nazionale Dalmata, del Circolo di Cultura Istro-Veneta di Trieste, dell'Associazione Culturale Lombardo-Veneto di Padova, dell'Associazione di Storia Contemporanea di Senigallia, della sezione “Raffaele Tosi” di Rimini dell'Associazione Nazionale Veterani e Reduci Garibaldini, dell'Endas di Rimini, del Comitato Capitan Giuseppe Giulietti, della cooperativa “Pensiero e Azione” di Ravenna.
E' stato membro promotore del Comitato popolare riminese per le onoranze a Mazzini (2005) e a Garibaldi (2007) nei rispettivi bicentenari delle nascite. Era anche socio dell'Associazione Mazziniana Italiana e fondatore di quella della Repubblica di San Marino.
A 14 anni si iscrive alla Federazione Giovanile Repubblicana di Rimini di cui diventerà dopo qualche anno segretario, come lo era già stato suo padre, repubblicano antifascista, Fortunato (detto Renato) dal 1923 al 1925.
Nel '56 è fermato e fatto tornare a casa al confine della Jugoslavia insieme ad altri repubblicani che accorrevano in soccorso del popolo ungherese.
Negli anni '50 é cofondatore e redattore del periodico Rimini '59, collaboratore del periodico Rimini '60 (in questa redazione si elaborò il primo centro-sinistra nazionale che sarebbe poi stato varato qualche anno dopo) e collaboratore dei seguenti settimanali: Il Pensiero Romagnolo di Forlì; Il Dovere di Rimini; La Voce di Imola.
Sul finire degli anni '50, in pieno scontro politico tra ugolamalfiani e pacciardiani, scrive sul Resto del Carlino un articolo in risposta a Franco Panerai (pseudonimo con cui firmava i suoi editoriali sul Resto del Carlino, Randolfo Pacciardi) in cui ribatte punto su punto i motivi con i quali Pacciardi liquidava l'utilità del PRI, aprendo una polemica interna al partito che lo farà convocare davanti ai probiviri, dai quali verrà “assolto”.
All'inizio degli anni '60, poco più che ventenne, diviene segretario della sezione “Mazzini” del PRI di Rimini.
Negli anni '60 fu redattore e poi redattore capo dei seguenti settimanali: La Voce di Romagna di Ravenna; Il Lamone di Faenza (RA), La Vedetta di Lugo (RA). Scrisse anche qualche articolo sulla Voce Repubblicana di Roma.
Lavorando all'ufficio imposte di Ravenna, venne scelto dal neo sindaco Bruno Benelli a dirigergli la segreteria e nel seguito, gratuitamente, per fare il segretario organizzativo del PRI a Ravenna. Inoltre, in quest'ultimo ruolo, definisce e organizza i territori romagnoli in Federazioni, Consociazioni e Unioni del PRI.
Nel 1965 organizza per conto del PRI di Ravenna lo storico dibattito tra Ugo La Malfa e Pietro Ingrao sulle prospettive della sinistra in Italia.
Negli anni '70 fu redattore capo del periodico del Consiglio Regionale dell'Emilia Romagna (essendo capo ufficio stampa) Emilia-Romagna.
Dal 1971 al 1973 abbandona di punto in bianco per dimissioni, essendo stato occupato quale coordinatore delle nuove 6 Commissioni dell'Ufficio Legislativo Regionale oltre che Segretario della Commissione Bilancio e Affari Generali. Infine sempre negli anni '70 divenne collaboratore a cachet del quotidiano Il Resto del Carlino di Bologna.
Alla fine degli anni '70 realizza il motto mazziniano “Capitale e Lavoro nelle stesse mani” facendo costituire i bagnini romagnoli in cooperativa della quale diviene presidente.
Negli anni '80 e '90 è collaboratore del periodico della Lega Regionale delle Cooperative Quarantacinque di Bologna. Mentre è a Mosca per la Lega delle Cooperative, diventa per la stessa organizzazione reporter sul campo del colpo di stato di Boris Eltsin.
Dopo il congresso nazionale del PRI a Bari del 2001, quello della drammatica collocazione nel centro-destra berlusconiano, in contrasto a tale scelta contribuisce a fondare la corrente interna al partito, Riscossa.
Negli anni 2000, dopo aver seguito un corso di sceneggiatura, ne scrive una sulla vita di Giuseppe Mazzini per una fiction televisiva in quattro puntate che tuttavia Rai e Mediaset ritennero per il contenuto proposto di nessun interesse. E' in quegli anni collaboratore del periodico Informatore Repubblicano di Bologna, del periodico Il Dovere di Rimini, del periodico Pastiglie di storia del Comitato Riminese dell'Istituto per la storia del Risorgimento Italiano. Per lo stesso Comitato scrive il saggio sui sacerdoti del Risorgimento all'interno del volume unico Rimini 2011 per il 150° anniversario dell'Unità d'Italia.
Sempre nel 2011 realizza i testi e procura le immagini di Saffi e Mazzini da inserire in tutti gli esercizi commerciali della via Saffi e della piazza Mazzini nel borgo omonimo di Rimini, intestato a Mazzini nel 1877 su richiesta di 53 borghigiani fra i quali i suoi avi Parma.
Nel 2011, insieme ad altri repubblicani, dal Veneto Ugo Holzer, dalle Marche Fernando Biondini e dalla Toscana il carrarino Tommaso Ponzanelli, ha organizzato il primo congresso virtuale dei repubblicani prima su facebook terminando con una due giorni in presenza registrata su You Tube al palacongressi di Bellaria-Igea Marina (RN).
Ha sempre operato gratuitamente per il PRI e per l'unità al suo interno almeno del cosiddetto partito romagnolo convinto fino al giorno del trapasso del ruolo del partito definito da Ugo La Malfa, quale coscienza critica della sinistra italiana.
Ha pubblicato numerosi saggi storici per varie associazioni di cui ha fatto parte e ha pubblicato Almanacco martirologio del Risorgimento Italiano (2 vol.), Effelle, Cento 2007, Michele Accursi, spia o doppiogiochista mazziniano?, Effelle, Cento 2007, I Riminesi nel Risorgimento, Panozzo, Rimini 2011, Allons enfants de l'Italie!, Panozzo, Rimini 2014, 1914 La guerre über alles, Luisé, Rimini 2014, Post fata resurgo (2 vol.), Panozzo, Rimini, 2016, 1917 La favola di Lenin, Luisé, Rimini, 2017, Mayday Mayday! Un bambino e la sua famiglia sulla Linea Gotica, Luisé, Rimini, 2019.
Ha lasciato un vuoto incolmabile nella famiglia che ha sempre amato, onorato e cresciuto mazzinianamente fino negli USA dove la figlia Susanna vive con la sua famiglia americana, oltre che un insegnamento immenso a tutti noi che lo abbiamo conosciuto, di cosa può voler dire nel senso più sublime del termine “essere un mazziniano e quindi un repubblicano italiano”. Nel 2021, in segno di continuità con egli, i figli Davide e Barbara si sono iscritti al PRI alla sezione "Sant'Andrea - Borgo Mazzini Rimini"