La costruzione europea attraverso l'adesione allo SME e il testamento politico di Ugo La Malfa
52. Il contesto economico e sociale dell’Italia alla vigilia dell’adesione al SME
Una serie di fattori, internazionali ed interni, causò sin dall’inizio degli anni settanta profonde crisi economiche che innescarono, ovviamente, altrettante crisi sociali e politiche.
Finì così il trentennio caratterizzato dal sistema di tassi fissi concordato nel 1944 a Bretton Woods, dalla ricostruzione post bellica, dalla progressiva liberalizzazione degli scambi e quindi dal considerevole aumento del commercio internazionale e dal basso costo delle materie prime.
L’Italia beneficiò di questo favorevole contesto internazionale raggiungendo saggi di crescita mai raggiunti prima né dopo: tra il 1959 ed il 1962, i tassi di incremento raggiunsero il 6,4%, il 5,8%, il 6,8% e il 6,1%.
Invece di investire il “dividendo” del miracolo economico italiano per risolvere i perduranti problemi strutturali, in primis il divario Nord/Sud – come indicato nella Nota Aggiuntiva al Bilancio dello Stato del 1961 presentata dall’allora Ministro del Bilancio Ugo La Malfa - confidando evidentemente nella soluzione spontanea di tali problemi per il perdurare all’infinito dello sviluppo, l’Italia si trovò impreparata ad affrontare le crisi degli anni settanta.
Gli squilibri della bilancia dei pagamenti degli Stati Uniti particolarmente accresciuti dagli oneri militari per la guerra in Vietnam compromisero il sistema che era stato definito a Bretton Woods. Esso infatti prevedeva un regime di cambi fissi fra le valute dei paesi appartenenti al Fondo Monetario, garantito dalla convertibilità in oro dei dollari al prezzo di 35 dollari l’oncia. Quando, a partire dagli anni ’60, i disavanzi della bilancia dei pagamenti americana provocarono l’accumulazione di ingenti riserve in dollari da parte di molti Paesi, emersero dei dubbi sulla capacità per gli Stati Uniti di far fronte agli impegni di convertibilità dei dollari in oro. La Francia del generale De Gaulle chiese la conversione in oro dei dollari accumulati, mandando anche una nave militare davanti alle coste degli Stati Uniti per ricevere il controvalore in oro detenuto a Fort Knox dei dollari consegnati. A un certo punto gli Stati Uniti dovettero prendere atto di non essere in grado di mantenere l’impegno alla convertibilità aurea del dollaro. Da qui la dichiarazione del Presidente USA Nixon.
Inizialmente si pensò che il sistema dei cambi fissi potesse essere mantenuto in essere con una svalutazione del dollaro. Nel giro di due anni però risultò chiaro che il sistema non reggeva più. All’inizio del 1973 gli Stati Uniti annunciarono che il prezzo del dollaro sarebbe stato stabilito liberamente sui mercati dei cambi. Era finito il sistema dei cambi fissi inaugurato a Bretton Woods. Cominciava l’era dei cambi fluttuanti.
Le due crisi petrolifere, del 1973 in seguito alla guerra arabo-israeliana del Kippur e del 1979 per l’avvento al potere in Iran di Khomeini e la conseguente guerra con l’Iraq di Saddam Hussein, causarono un vertiginoso aumento dei prezzi del petrolio.
In Italia, alla fine degli anni sessanta, le rivendicazioni sindacali innescarono un meccanismo che portò gli aumenti salariali ben oltre gli aumenti di produttività cui si saldarono anche una serie di riforme per le quali le forze politiche, con alcune eccezioni minoritarie, non seppero dire di no per non compromettere le basi di consenso, riforme che comportarono enormi costi per il bilancio dello Stato e rigidità quando era più necessaria una certa flessibilità: dalla riforma delle pensioni, alla riforma dell’indicizzazione dei salari, dall’avvento dello Statuto dei Lavoratori a quello delle Regioni, per non parlare della riforma dell’equo canone e del regime dei suoli.
L’inflazione così raggiunse in Italia livelli record superando in certi anni anche di gran lunga il 20% cui fece riscontro anche una sovrapproduzione industriale specie nei beni di consumo (automobili, televisori, elettrodomestici) che non trovavano più spazio nella domanda. A questi elementi di carattere economico, se ne sommarono altri di altrettanta gravità che misero in serio pericolo le stesse istituzioni democratiche: la strategia della tensione avviata con l’attentato di Piazza Fontana a Milano nel dicembre 1969 ed il terrorismo.
Gli anni 70 furono anni molto difficili per la democrazia italiana. Sul piano economico, come si è detto, si manifestarono forti fenomeni inflazionistici in parte come effetto di aumenti internazionali dei prezzi del petrolio e delle materie prime, in parte dovuti a richieste salariali molto elevate. A sua volta l’inflazione provocò ulteriori richieste salariali per far fronte all’aumento del costo della vita, alimentando una spirale molto pericolosa. Nel frattempo mostravano un grande attivismo sia gruppi eversivi di estrema sinistra, sia gruppi eversivi di estrema destra. Sul piano più strettamente politico si mostrarono in tutta evidenza i limiti della formula di governo di centrosinistra. Nella DC era ancora forte l’ostilità verso l’alleanza con i socialisti e verso le riforme che i socialisti sostenevano. Sul PSI era molto forte la pressione esercitata dal Partito Comunista che lo accusava di cedere alla Democrazia Cristiana e di accettare politiche sostanzialmente moderate. Era una situazione che si dimostrava progressivamente insostenibile.
In questo quadro si fece strada un’ipotesi politicamente molto coraggiosa nelle condizioni internazionali del tempo – quella di allargare la base democratica del Paese portando il Partito Comunista nell’area di Governo. Nella Democrazia Cristiana fu Aldo Moro a porre questo problema. Il PRI di Ugo La Malfa portò il contributo della sua autorevolezza e della chiarezza programmatica sul terreno della politica estera e della politica economica a questo disegno, mentre nel PCI il segretario Enrico Berlinguer trasse dall’esperienza del colpo di Stato in Cile contro Salvador Allende lo spunto per proporre un “compromesso storico” fra le forze democratiche.
Emerse così l’ipotesi che si potesse formare una maggioranza e poi in seguito un governo di unità nazionale che mettesse al centro della sua azione il risanamento economico e la lotta contro il terrorismo e la violenza. Il Governo Andreotti della “non sfiducia” del 1976 fu un monocolore democristiano con l’astensione di tutti i partiti, salvo l’estrema destra di Almirante, compreso il PCI. All’inizio del 1978 nacque un nuovo governo Andreotti che ebbe il voto favorevole di tutti i partiti compreso il PCI e il voto contrario solo dell’estrema destra e del partito liberale.
L’esperimento fu colpito, per così dire, al cuore con il rapimento e la morte il 9 maggio 1978 di Aldo Moro ad opera delle Brigate Rosse. La morte di Aldo Moro, eliminando il grande tessitore del compromesso storico, indusse il PCI a rinunciare al disegno che Berlinguer aveva coltivato per lungo tempo. Quando, nell’autunno 1978, si giunse a dover decidere circa la adesione al Sistema Monetario Europeo il PCI aveva ormai maturato un orientamento a ricollocarsi all’opposizione. Ugo la Malfa considerò gravissima la decisione del PCI di opporsi all’adesione italiana, la considerò come un passo indietro lungo un cammino che aveva visto il PCI avvicinarsi alle posizioni occidentali, ma decise che la conferma del legame europeo era comunque più importante per l’Italia del tentativo di tener in vita un’operazione politica che era stata comunque ferita a morte dall’uccisione dell’on. Moro. Questo spiega l’amarezza dei suoi interventi prima nel congresso del PRI, poi nel suo discorso alla Camera del 13 dicembre.
53. Il dibattito del 12 e 13 ottobre 1978 alla Camera dei Deputati
Dopo la relazione del Presidente del Consiglio, Giulio Andreotti, intervennero nel dibattitto della due giorni i maggiori esponenti di tutti i gruppi parlamentari. Ugo La Malfa intervenne poco prima della votazione specificando subito di voler dare prevalenza al “fatto politico” piuttosto che a quello “tecnico”, pur essendo “uomo al quale si attribuisce una qualche competenza tecnica”, sottolineando altresì che “il primo apporto all’avanzamento della costruzione europea (che aveva vissuto negli ultimi anni una fase estremamente delicata) deve essere quello di porre il proprio Paese nelle condizioni migliori per perseguire obiettivi europei”.
“Ebbene, io ho seguito con grande attenzione il dibattito ed ho sentito esprimere la preoccupazione del come e dove ci lanciamo” ricordando però che sia il Presidente francese, Giscard d’Estaing, sia il Cancelliere Schmidt, principali sostenitori del SME, rischiavano forse di più di quanto poteva rischiare l’Italia.
“Esso – il SME – può anche fallire, ma non vorrei si dicesse che il SME è fallito perché non abbiamo avuto coraggio, perché noi al momento opportuno non abbiamo dato l’appoggio a coloro che si esponevano politicamente. Voi, onorevoli colleghi, preferireste una situazione in cui si possa dire che nel momento in cui si compie un passo in avanti o si tenta di compierlo, sia mancato l’appoggio dell’Italia?”.
Ugo La Malfa precisa inoltre che in caso di fallimento o di non entrata nel SME non sarà consentito all’Italia di fare qualunque politica “la politica che ho sempre condannato e quindi da questo punto di vista la mia coscienza e quella del gruppo che mi onoro di appartenere non è tra quelle che debbono farsi autocritica.”
“Non potremo pretendere aiuto – continua Ugo La Malfa – quando ci abbandonassimo ad una politica disinvolta sperando di far ricadere le conseguenze su altri Paesi.” E forse il “vincolo esterno” per un Paese che era restio a sopportare politiche economiche adeguate alle esigenze e che potevano mettere in discussione le basi di consenso delle varie forze politiche, era il grande discrimine fra quanti guardavano più agli interessi generali e quanti agli interessi particolari.
E rispetto a quanti, in particolare socialisti e comunisti che chiedevano di posporre la decisione di sei mesi, astenendosi poi in fase di votazione, Ugo La Malfa precisa: “Ho ascoltato con molta attenzione i discorsi tecnici che qui si sono tenuti, ma, collega Cicchitto, collega Napolitano, vi dirò che cinque o sei mesi di tempo non cambiano nulla dal punto di vista dei rischi”.
Ugo La Malfa ricorda inoltre come l’Italia, nonostante avesse avuto in passato la possibilità di risolvere gli squilibri strutturali fra aree forti e aree deboli, non lo avesse fatto. Ed il pensiero non può non andare alla Nota Aggiuntiva al Bilancio dello Stato del 1961.
“Noi abbiamo sviluppato – ricorda La Malfa – verticalmente il potere di acquisto e di consumo della società industriale più avanzata del nostro Paese mentre avevamo il dovere di sviluppare orizzontalmente il potere di acquisto e di consumo se volevamo riequilibrare la nostra situazione”.
In tal senso: “Sarebbe bene che il Parlamento italiano, che ha avuto momenti elevati di discussione, anche se non recenti, su indirizzi di politica economica dedicasse qualche seduta a questi problemi”.
Ed a proposito della politica di solidarietà nazionale Ugo La Malfa afferma: “Che cosa è la politica di solidarietà nazionale se non si riesce attraverso dibattiti e discussioni a trovare un programma comune per tirar fuori il nostro Paese dalla crisi?”
E, rivolto ai comunisti, afferma che era quasi sicuro del loro consenso all’adesione al SME in quanto “momento decisivo per l’avanzamento della costruzione europea”.
Ricordando altri passaggi storici decisivi sulla strada della costruzione europea che hanno avuto bisogno di grande coraggio politico come l’adesione alla CECA (Comunità Economica del Carbone e dell’Acciaio) o la liberalizzazione degli scambi nel 1951, Ugo La Malfa con grande dose di umiltà confessa: “C’è stata mancanza da parte nostra nel rendere estremamente chiari ed evidenti gli aspetti politici ed ideali del problema. Questo io mi aspettavo: queste potevano essere le due grandi giornate europee di tutte le forze che oggi contribuiscono alla politica di solidarietà nazionale”.
“È stata la nostra insufficienza – sottolinea lo statista repubblicano – a determinare incomprensioni. Ma se noi dobbiamo compiere un atto deciso è perché abbiamo visto non solo mettere in forse il nostro passato, che ha fatto sì che il nostro Paese da agricolo, depresso, autarchico con industrie protette, diventasse, come io spero possa ridiventare una grande potenza industriale, moderna, aperta agli scambi, capace di coraggiose iniziative”. Ed avviandosi alla conclusione dell’intervento, Ugo La Malfa afferma: “Non possiamo, onorevoli colleghi, esimerci dal fare con gli altri questo sforzo; non possiamo assumerci la responsabilità di mancare – qualunque sia la nostra condizione – a questo appuntamento. Come noi oggi ci siamo impegnati in questo dibattito, ci impegneremo domani a continuare lo sforzo, a discutere, a trattare, ma senza perdere di vista il fatto che se falliamo, falliamo tutti. Se questa Europa non riesce a realizzarsi come unità contro le spinte particolari, viene a mancare un grande momento della storia europea, ma viene a mancare anche un grande momento della storia del mondo”
Radio Radicale ha pubblicato la registrazione audio dell’ultimo intervento parlamentare di Ugo La Malfa, di cui abbiamo riportato alcuni stralci. https://www.radioradicale.it/scheda/571692/l-adesione-allo-sme-lultimo-discorso-parlamentare-di-ugo-la-malfa-del-13-dicembre-1978.
54. La morte di Ugo La Malfa e il rinnovato impegno del PRI per la costruzione europea in "continua 1979 - 1990"