Parte prima della Conferenza programmatica del 20 ottobre 2018 su organizzazione dello stato. Contributo di riflessione e alcune proposte di Oliviero Widmer Valbonesi

Conferenza programmatica del 20 ottobre 2018 su organizzazione dello stato.

Contributo di riflessione e alcune proposte di Oliviero Widmer Valbonesi

PREMESSA

Discutere di un assetto istituzionale moderno da parte di un partito che ha nel suo DNA il progresso e la conoscenza dell'umanità è molto impegnativo ed occorre togliere dal piatto tutti quegli elementi che possono inquinare il dibattito e finire per mettere in secondo piano le questioni di contenuto rispetto ai problemi costituzionali. Sui problemi costituzionali il popolo italiano si è pronunciato in maniera inequivocabile il 4 dicembre del 2016, meno di due anni fa, scegliendo la costituzione nella forma bicamerale e parlamentare per cui aprire discussioni se si possa fare o non fare una repubblica presidenziale in Italia è un problema che dividerebbe i repubblicani come già avvenne nel 1963/ 64 e gli italiani, quindi togliamo questi aspetti dalle nostre discussioni perchè rispettiamo il volere della sovranità popolare.

Così come gli italiani scegliendo la Repubblica parlamentare hanno di fatto indicato anche il sistema elettorale più confacente a questo modello cioè il sistema proporzionale che per noi repubblicani non può che essere un proporzionale puro oppure un proporzionale con sbarramento ma con diritto di tribuna ai partiti che hanno partecipato alla Costituente.

Anche qui proporre il modello dell'elezione diretta dei sindaci è fuorviante e frutto di una superficiale analisi di tale proposta. L'elezione diretta o al doppio turno assegnerebbe al popolo il compito di eleggere il presidente del consiglio che è tollerabile per gli enti locali ma è chiaramente lesivo delle prerogative costituzionali del Presidente della Repubblica che lo indica e del Parlamento che lo vota o meno dandogli la fiducia su un programma che non necessariamente coincide col programma proposto agli elettori in caso di alleanze postume. 

Quindi occupiamoci di fare proposte coraggiose e innovative sull'assetto dello stato e sulle sue articolazioni territoriali. 

PROVERO’ A FARE UN RIASSUNTO DI UNA PROPOSTA Più COMPLESSIVA CHE PREVEDE ANCHE COSTO DEI DIRIGENTI, PROFESSIONALITA’, SETTORI NUOVI.

Intanto occorre esaminare alla luce di 70 anni se uno stato fatto di 20 regioni, di un centinaio di province e di Prefetture, di 14 città metropolitane, di 8000 comuni, di comunità montane, di unioni di comuni, di circa 10000 enti partecipati dagli enti locali corrisponde a un sistema paese moderno e funzionale alle esigenze dei cittadini e delle imprese o se esso non sia il terreno fertile di una burocrazia che crea una selva inestricabile di leggi, circolari che finisce per penalizzare fortemente il nostro paese?

PREFETTURE

Le prefetture vanno abolite non c’è bisogno di spendere molte parole per una battaglia storica che facciamo fin dalla Costituente. 

LE REGIONI

Le Regioni dopo 48 anni dalla loro nascita, non essendo diventate enti di programmazione intermedia tra comuni e stato, non avendo abolito le province, non avendo ceduto deleghe ai comuni sono diventate enti inutili che non svolgono alcun ruolo se non quello di essere un serbatoio di voti clientelari che pesano sul sistema paese. Per chi si volesse informare oggi le regioni per oltre il 60% del loro bilancio ricevono le risorse per la sanità e le trasferiscono alle asl della regione di appartenenza. Una partita di giro assurda che genera costi doppi e inutili. per un altro 16/17 % è spesa assistenziale , per un altro 9% sono spese per il funzionamento degli organi istituzionali e del personale, quello che resta viene distribuito in modo clientelare un po' in tutte le province senza nessun progetto di riequilibrio territoriale ma salvaguardando i feudi elettorali di chi governa.

C'è poi, da denunciare l'assurdità, di 5 regioni a statuto speciale che godono di privilegi vergognosi per uno stato democratico e animato da giustizia sociale. 5 Regioni hanno più dipendenti delle altre 15 - 38314 le 5 regioni contro 38079 delle altre con un incidenza di personale per 1000 abitanti del 4,18 contro lo 0,74 con anomalie intollerabili anche fra le stesse regioni come dimostra la seguente tabella1

TABELLA 1

Il personale delle regioni a statuto ordinario per 1.000 abitanti,

Piemonte 2.994 - 0,67%

Lombardia 3.320 - 0,33%

Veneto 2.832 - 0,57%

Liguria 1.220 - 0,77%

Emilia-Romagna 2.957 - 0,66%

Toscana 2.763 - 0,74%

Umbria 1.303 - 1,45%

Marche 1.412 - 0,91%

Lazio 4.328 - 0,74%

Abruzzo 1.762 - 1,32%

Molise 745 - 2,37%

Campania 6.111 - 1,04%

Puglia 2.814 - 0,69%

Basilicata 1.146 - 1,98%

Calabria 2.372 - 1,20%

Totale 38.079 -  0,74%

Fonte: elaborazione IFEL-Dipartimento Studi Economia Territoriale su dati Ministero dell'Economia e delle Finanze, 2015

 

Tabella 3 Il personale delle regioni a statuto speciale per 1.000 abitanti:

Valle D'Aosta 3.067 - 23,85

Trentino-Alto Adige 10.281 - 9,77%

Friuli-Venezia Giulia 3.153 - 2,57%

Sicilia 17.537 - 3,44%

Sardegna 4.275 - 2,57%

Totale 38.314 - 4,18%

Fonte: elaborazione IFEL-Dipartimento Studi Economia Territoriale su dati Ministero dell'Economia e delle Finanze, 2015

Un partito serio prende atto del fallimento di questa esperienza e propone l'abolizione delle regioni e la costituzione di 5/6 macroregioni con esclusivo compito di programmazione.

LE PROVINCE

Sulle province mi limito a dire che quei pasticcioni del PD e di Del Rio in particolare potevano proporre una riforma che abolisse le province , come noi auspicavamo fin dal nascere delle regioni in quanto enti inutili viste le limitate deleghe in materia di manutenzione stradale e sulle scuole . Hanno abolito i consigli provinciali e mantenuto i costi col risultato di avere 54000 dipendenti provinciali diretti da dirigenti demotivati e da consigli provinciali formati dai sindaci dei comuni con alterazione della rappresentanza e la paralisi degli enti.

tab. 2 Il personale delle amministrazioni provinciali per 1.000 abitanti;

Piemonte 4.255  -0,96%

Lombardia 6.323 - 0,63%

Veneto 3.062 - 0,62%

Friuli-Venezia Giulia 1.399 - 1,14%

Liguria 1.887 - 1,19%

Emilia-Romagna 4.150 - 0,93%

Toscana 4.454 - 1,19%

Umbria 1.406 - 1,57%

Marche 2.187 - 1,41%

Lazio 4.546  - 0,77%

Abruzzo 1.512 - 1,13%

Molise 421 - 1,34%

Campania 3.702 - 0,63%

Puglia 2.731 - 0,67%

Basilicata 1.048 - 1,81%

Calabria 3.118 - 1,57%

Sicilia 5.893 - 1,16%

Sardegna 1.858 - 1,12%

Totale 53.952 - 0,91% 

Fonte: elaborazione IFEL-Dipartimento Studi Economia Territoriale su dati Ministero dell'Economia e delle Finanze ed Istat, 2015

CITTA’ METROPOLITANE

L'unico modo per superare quest' impasse è quello di creare una rete di Città metropolitane che oggi esistono in 14 e rappresentano circa il 37% della popolazione, occorre farne 22/23 che coprono l'intero territorio nazionale.

Le Città Metropolitane possono essere gli strumenti che creano sistema paese oggi frazionato in mille enti, con sprechi e ripetitività degli interventi in nome di un campanilismo sfrenato che produce burocrazia e divisioni e ritarda la modernizzazione del paese.

La Città Metropolitana abolisce le province e può diventare lo strumento che crea sistema e modernità per i cittadini e le imprese.

Per fare questo occorre acquisire la consapevolezza che creare un sistema infrastrutturale efficiente di livello europeo significa mettere in condizione le imprese di essere concorrenziali.

Per il nostro paese rappresenta la condizione preliminare per attirare investimenti e creare nuovo sviluppo che è la vera emergenza dell’Italia.

La Città Metropolitana deve diventare l’obiettivo condiviso delle istituzioni attorno a cui si realizza quel sistema integrato che è stato individuato da tempo ma che è rimasto lettera morta sotto la spinta campanilista delle varie realtà comunali.

Città Metropolitana come strumento istituzionale di governo del sistema infrastrutturale e dei servizi sovra comunali che deve creare sinergie per favorire i settori trainanti dello sviluppo che sono agricoltura, terziario, turismo e manifatturiero.

Questo presuppone una classe amministrativa motivata a raggiungere questi obiettivi e una burocrazia che viene valutata per la capacità di raggiungimento di progetti funzionali e moderni a questo disegno e non per la rete di lacci e laccioli che imbrigliano le imprese e i cittadini caricandole di inefficienza e di costi. Occorre da questo punto di vista formare una classe burocratica che abbia questa caratteristica e snellire leggi e procedure esistenti.

La pubblica amministrazione detta dei principi di qualità dei servizi e controlla che vengano rispettati, non gestisce o si inventa leggi non chiare o a giustificazione dell’attività dei burocrati.

Occorre rivedere anche il meccanismo di valutazione dei dirigenti e dei quadri della pubblica amministrazione perché l’attuale produce incentivi ai massimi livelli per tutti e ricorso a consulenze esterne. Evidentemente c’è qualcosa che non funziona se questo avviene o si hanno dirigenti non adeguati ai nuovi scopi e problemi che il cambiamento richiede o essi non meritano le valutazioni che hanno. Occorre lavorare su progetti e valutare i dirigenti sulla realizzazione dei progetti che l’amministrazione delibera e esaminare la possibilità di contratti a termine per i dirigenti. 

Questa è un ipotesi di ripartizione del territorio italiano in 22 Città Metropolitane in base ad uno studio inglese.

Nel mio libro “quale Romagna” sulla proposta di Città Metropolitana Romagna c’è uno studio anche di un istituto di Barcellona che formula ipotesi funzionali per abitanti e superficie oltre che per omogeneità produttiva.

I dati di CityRailways: sulla base della densità di popolazione dei comuni centrali con oltre 10.000 abitanti e delle corone adiacenti, vengono definite 687 agglomerazioni urbane (urbanismi), 214 zone urbane vaste, 41 aree metropolitane e 11 regioni metropolitane.

Qui di seguito vengono riportati i dati riferiti al 2010 per le 22 grandi aree metropolitane con oltre 1.000.000 abitanti

Area metropolitana superficie (in km²) - Popolazione al 01.01.2010 -  Densità (in ab/km²) - Regione/i

Milano 16.091,62 9.350.041 581,1 Lombardia-Piemonte-Veneto

Roma 14.797,05 6.164.443 416,6 Lazio-Umbria-Abruzzo

Napoli 8.740,48 5.666.369 648,3 Campania-Molise

Veneto Centrale 6.649,48 3.893.626 403,5 Veneto-Friuli Venezia Giulia

Torino 5.460,87 2.501.545 458,1 Piemonte

Firenze 5.029,92 1.991.477 395,9 Toscana

Bari 4.816,17 1.688.019 350,5 Puglia

Medio Padana 5.143,24 1.579.750 307,2 Emilia Romagna-Lombardia

Brescia 4.680,99 1.519.604 324,6 Lombardia-Veneto

Genova 4.164,60 1.510.781 362,8 Liguria

Palermo 3.317,12 1.473.376 444,2 Sicilia

Catania 4.612,04 1.460.768 316,7 Sicilia

Marche 4.564,56 1.455.388 318,8 Marche-Abruzzo

Bologna 4.871,85 1.434.985 294,5 Emilia Romagna

Toscana Marittima 3.205,32 1.273.563 377,3 Toscana-Liguria

Salento 3.933,83 1.124.515 285,9 Puglia

Friuli Venezia Giulia 4.501,10 1.103.964 245,3 Friuli V.G.- Zone limitrofe della Slovenia

Romagna 3.263,18 1.103.838 338,3 Emilia Romagna-Marche

Città dello stretto -(Messina-Reggio Calabria) 3.097,75 1.080.051 348,7 Sicilia-Calabria

Verona 3.783,49 1.076.150 284,4 Veneto-Lombardia

Un partito serio come il Pri deve infine chiedersi se 8000 comuni rappresentano la condizione di miglioramento e di ammodernamento di un paese o se al contrario rappresentino il piombo sulle ali di qualsiasi politica di sviluppo e modernità del sistema paese.

Alcuni dati esplicativi della situazione:

Comuni per fasce demografiche - Numero dei comuni italiani e popolazione residente suddivisi per classi demografiche.

I dati sono aggiornati al 01/01/2018 (ISTAT).

Fascia demografica - N° Comuni - Popolazione in numero % e residenti %

da 500.000 ab. e oltre  - 6 - 0,08% - 7.336.149 - 12,13%

da 250.000 a 499.999 ab. - 6 - 0,08%  - 1.923.795 - 3,18%

da 100.000 a 249.999 ab. - 33 - 0,41% - 4.913.191 - 8,12%

da 60.000 a 99.999 ab. - 60 - 0,75%  - 4.614.583  - 7,63%

da 20.000 a 59.999 ab. - 419 - 5,27%  - 13.709.350  - 22,67%

da 10.000 a 19.999 ab. 703 -  8,84%  - 9.685.536 - 16,01%

da 5.000 a 9.999 ab. 1.184 - 14,89%  - 8.364.157 - 13,83%

da 3.000 a 4.999 ab. 1.106 - 13,90%  - 4.306.943  - 7,12%

da 2.000 a 2.999 ab. 952  - 11,97%  -  2.339.670  -  3,87%

da 1.000 a 1.999 ab. 1.529 19,22% 2.227.620 3,68%

da 500 a 999 ab. 1.104 - 13,88% - 814.181 - 1,35%

meno di 500 ab. 852 - 10,71% - 248.798  - 0,41%

Totale 7.954 - 100,00%  - 60.483.973 - 100,00%

La tabella in basso riporta altre fasce demografiche di interesse per i piccoli comuni.

meno di 5.000 ab. - 5.543  - 69,69%  -  9.937.212  - 16,43%

meno di 4.000 ab. - 5.077 - 63,83%  - 7.847.204  - 12,97%

meno di 3.000 ab.  - 4.437 - 55,78%  - 5.630.269 - 9,31%

meno di 2.000 ab. - 3.485 - 43,81% - 3.290.599 - 5,44%

meno di 1.000 ab. - 1.956  - 24,59% - 1.062.979 - 1,76%

Continua nella seconda parte

Parte seconda della Conferenza programmatica del 20 ottobre 2018 su organizzazione dello stato. Contributo di riflessione e alcune proposte di Oliviero Widmer Valbonesi

Fasce demografiche per area geografica

Comuni del Nord, Centro e Mezzogiorno d'Italia suddivisi per fasce demografiche.

Il Nord comprende le regioni del Nord-Ovest (Liguria, Lombardia, Piemonte, Valle d'Aosta) e quelle del Nord-Est (Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige, Veneto).

Il Centro comprende le regioni Lazio, Marche, Toscana ed Umbria.

Il Mezzogiorno comprende le regioni dell'Italia Meridionale o Sud Italia (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia) e quelle dell'Italia insulare (Sardegna, Sicilia). L'Abruzzo è classificato nell'Italia meridionale per ragioni storiche, in quanto faceva parte del Regno delle Due Sicilie prima dell'unità d'Italia del 1861.

Fascia demografica - Numero comuni - Popolazione residente Nord - Centro - Mezzo- giorno Nord - Centro - Mezzogiorno

da 500.000 ab. e oltre - 3 - 1 - 2 - 2.828.800 - 2.872.800 - 1.634.549

da 250.000 a 499.999 ab. - 3 - 1 - 2 - 907.857 - 380.948 - 634.990

da 100.000 a 249.999 ab. - 17 - 6 - 10 - 2.511.806 - 855.962 - 1.545.423

da 60.000 a 99.999 ab. - 18 - 15 - 27 - 1.419.395 - 1.175.147 - 2.020.041

da 20.000 a 59.999 ab. - 160 - 84 - 175 - 4.985.463 - 2.826.224 - 5.897.663

da 10.000 a 19.999 ab. - 351 - 116 - 236 - 4.797.532 - 1.636.197 - 3.251.807

da 5.000 a 9.999 ab. - 673 - 153 - 358 - 4.751.636 - 1.115.953 - 2.496.568

da 3.000 a 4.999 ab. - 625 - 143 - 338 - 2.436.407 - 560.888 - 1.309.648

da 2.000 a 2.999 ab. - 523 - 108 - 321 - 1.287.605 - 261.881 - 790.184

da 1.000 a 1.999 ab. - 803 - 184 - 542 - 1.170.001 - 269.645 - 787.974

da 500 a 999 ab. - 642 - 103 - 359 - 467.855 - 76.401 - 269.925

meno di 500 ab. - 612 - 59 - 181 - 171.801 - 18.008 - 58.989

Totale 4.430 - 973 - 2.551 - 27.736.158 - 12.050.054 - 20.697.761

Come si può notare la distribuzione di piccolissimi comuni che non esercitano nessuna funzione propulsiva di un territorio né di ammodernamento di servizi di qualità ai cittadini e al sistema delle imprese è distribuita in tutto il paese. In questi comuni il numero dei dipendenti è riportato nella seguente tabella e rappresentano un costo strutturale annuo che si somma a quello di regioni e province.  

I dipendenti comunali, il personale delle regioni a statuto ordinario, delle regioni a statuto speciale e delle province

Il numero di dipendenti comunali per 1.000 abitanti, per regione

Piemonte 29.603 - 6,69%

Valle d'Aosta 1.466 - 11,40%

Lombardia 60.744 - 6,12%

Trentino-Alto Adige 9.918 - 9,46%

Veneto 27.805 - 5,65%

Friuli-Venezia Giulia 10.738 - 8,73%

Liguria 13.677 - 8,59%

Emilia-Romagna 30.924 - 6,95%

Toscana 27.289 - 7,28%

Umbria 5.896 - 6,58%

Marche 10.255 - 6,60%

Lazio 41.669 - 7,10%

Abruzzo 8.011 - 6,01

Molise 1.842 - 5,85%

Campania 37.419 - 6,38%

Puglia 17.800 - 4,36%

Basilicata 4.028 - 6,97%

Calabria 15.266 - 7,75%

Sicilia 51.871 - 10,18%

Sardegna 11.819 - 7,12%

Totale 418.041 - 6,89%

Fonte: elaborazione IFEL-Dipartimento Studi Economia Territoriale su dati Ministero dell'Economia e delle Finanze, 2015

Circa 550.000 dipendenti di regioni, province e comuni. Siccome è evidente che questo è un costo strutturale eccessivo per i benefici che ne derivano occorre preparare un progetto di riforma che accorpi comuni a 25000/30000 abitanti e che nel corso di 10/15 ANNI porti il numero dei comuni a circa 600 cui possono aggiungersi alcune eccezioni per i luoghi più disagiati della montagna in cui le comunità montane possono diventare il perimetro del nuovo comune. E’ chiaro che un progetto così radicale ma necessario va incentivato con finanziamenti ai nuovi comuni, con incentivazione agli esodi e con nuove piante organiche con servizi e specializzazioni telematiche e informatiche che eliminino molta della burocrazia esistente. Occorre procedere all’individuazione e simulazione di carte dei servizi comunali con standards qualitativi e tempi per ogni procedimento burocratico necessario. Queste sperimentate devono diventare standard in tutti i comuni affinchè si possa omogeneizzare la qualità del servizio ai cittadini e al sistema delle imprese. Le più grandi resistenze vengono dai piccoli comuni e dai dirigenti di quei comuni con la motivazione che le tradizioni locali sparirebbero. Una falsità dal momento che le tradizioni si coltivano con la cultura non con la sede amministrativa che per le pratiche più urgenti può rimanere presso gli attuali comuni ma che in prospettiva dovranno essere espletate via telematica.

AUTOCERTIFICAZIONE E CARTA FISCALE Procedere all’uso delle autocertificazioni e all’uso di una carta fiscale affinchè in tempo reale alle scadenze un cittadino o un’ impresa possa incassare i crediti se è fornitore o pagare se è debitore. La pratica di finanziarsi non pagando i fornitori deve finire perché è una vergogna per il nostro paese.

COMUNITA' MONTANE E ENTI PARTECIPATI LE COMUNITA’ MONTANE

Sono in un numero eccessivo e se i comuni venissero accorpati a 25/30000 abitanti sarebbero pure inutili. Oggi vi sono comunità montane dove il territorio montuoso non esiste e costituiscono vere cattedrali del clientelismo politico. Così come le partecipate dai comuni che sono circa 9000 di cui quasi un terzo inattive ma con cda pagati. Molte di queste società anche se alcuni interventi legislativi dopo la denuncia della corte dei conti sono stati prodotti ma altri lasciati privi di regolamenti attuativi per cui non è cambiato nulla.

MULTY UTILITIES E SOCITA’ PARTECIPATE

Occorre intervenire nelle cosidette multy utilities il cui capitale sociale è detenuto dagli enti locali con un patto di sindacato che costituiscono veri e propri conflitti d’interessi da un lato e negazione della concorrenza dall’altro. I conflitti d’interesse consistono nel fatto che i soci detentori del capitale azionario sono gli stessi che determinano le tariffe, in regime di monopolio realizzando utili enormi a discapito della qualità dei servizi e determinando una vera e propria tassa aggiuntiva a quelle già elevate dal sistema centrale e periferico. Aumenti del 5/6 a volte del 10% delle tariffe fatte dagli Ato dove i comuni sono quelli che decidono e nello stesso tempo determinano utili che poi vengono molte volte ristornati in base alle azioni possedute. La concorrenza è inesistente e questo si ripercuote sulla qualità del servizio, nessuno parla di questo e ci si sofferma su di un confronto ideologico privatizzazione sì o no che di per sé non significa nulla mentre la mancanza di concorrenza penalizza sempre i cittadini.

Noi dobbiamo smantellare questi centri di potere clientelare senza controlli che di fatto blocca risorse dei comuni solo in minima parte a beneficio dei territori e con costi inaccettabili per i cittadini.

Se queste proposte andassero a regime noi avremmo nel giro di qualche anno un sistema di enti locali moderno con personale adeguato ai tempi, senza i lacci della burocrazia e che determina un calo strutturale di costi per centinaia di miliardi all’anno da utilizzare per investimenti e per sanare il debito pubblico, ma deve scontrarsi con il potere di resistenza di un sistema clientelare che è fiorito prima col regime democristiano e comunista e oggi coi loro eredi fusi nel PD.

Se vogliamo contrastare la propaganda di misure che producono decine di milioni come i vitalizi o le pensioni d’oro , ammesso che poi, non vengano smentiti dai ricorsi dobbiamo portare il confronto e l’informazione dei cittadini su di un vero disegno riformatore che aggredisca gli anacronismi del passato e collochi il nostro paese in un’ ottica di modernità.