Il Commento politico online
23 maggio 2022
Attualità della Nota Aggiuntiva
Il 22 maggio 1962, sessanta anni fa, veniva presentata al Parlamento la Nota aggiuntiva alla Relazione generale sulla situazione economica del Paese per il 1961, predisposta dall'allora ministro del Bilancio Ugo La Malfa.
Nel rileggere quel documento a distanza di molti decenni ed alla luce delle vicende successive dell'economia italiana, non si può non essere colpiti dalla sua lungimiranza ma anche dalla sua attualità.
“L’economia italiana - si leggeva in apertura della Nota - è stata caratterizzata, anche nel 1961, dal permanere di un elevatissimo ritmo di accrescimento, con un saggio financo superiore a quello degli anni scorsi.” E tuttavia - proseguiva - “le pur notevoli capacità di crescita dimostrate dall’economia italiana non ci consentono di raffigurare il nostro ulteriore sviluppo economico come un movimento automatico destinato a continuare, senza contraccolpi che possono porre in pericolo anche alcuni risultati recentemente conseguiti. La politica economica deve perciò darsi carico della predisposizione di tutti quei mezzi atti a rendere stabile il processo di sviluppo.”
A questo fine - si leggeva nel documento - erano indispensabili profondi processi di trasformazione produttiva per creare nuovi ordini di convenienza per l’investimento privato e bisognava accompagnare tutto questo con una crescita della disponibilità di beni pubblici e di servizi collettivi, fino ad allora molto carenti.
In questo quadro si trattava, inoltre, di spingere verso il riequilibrio fra le zone più avanzate e le zone depresse del nostro Paese.
L’alternativa a questa politica consapevole era affidarsi al mercato, sapendo però – si leggeva nella Nota - che ben presto le contraddizioni non risolte avrebbero bloccato quel processo di sviluppo.
Queste preoccupazioni potevano sembrare ingiustificate nel pieno di un boom economico senza precedenti. In quel momento l'economia italiana cresceva a ritmi elevatissimi, né vi erano sintomi evidenti che potessero insorgere problemi. Pochi anni dopo, invece, cominciarono a manifestarsi le contraddizioni del processo di sviluppo sotto forma di inflazione e di deficit di bilancia dei pagamenti seguiti da interventi restrittivi da parte delle autorità monetarie.
Si manifestò così un rallentamento progressivo del tasso di sviluppo che nella parte finale del secolo e all'inzio del secondo millennio è divenuta una sostanziale stagnazione dalla quale l'economia italiana non si è più risollevata. Ma naturalmente era troppo tardi per intervenire mentre si manifestavano le conseguenze delle decisioni mancate nel momento giusto.
La Nota aggiuntiva segna quindi un momento cruciale della storia economica italiana del dopoguerra: il momento nel quale si poteva e si doveva scegliere una strada diversa da quella che in effetti venne imboccata.
La domanda che vale la pena di porsi è: perché la Nota aggiuntiva non ebbe seguito? Da che cosa dipese?
La risposta è che il documento era espressione di un pensiero politico che, tuttavia, non aveva dietro di sé una forza politica sufficientemente forte per imporne l'accettazione. Il grosso delle forze politiche e della società italiana era collocato per così dire a destra o a sinistra di quella posizione.
Per quanto paradossale possa apparire, tutte le maggiori forze politiche del tempo, e in particolare la DC e il PCI, condividevano la convinzione che il meccanismo spontaneo della crescita fosse sufficiente. Ne era convinta la destra, il mondo imprenditoriale, che era allora molto potente e che influenzava le posizioni della Democrazia Cristiana. Ma ne era convinta anche la sinistra del PCI che allora determinava le posizioni del movimento sindacale. Essa pensava che il sistema imprenditoriale avesse larghi margini per sopportare la spinta sindacale - l'autunno o meglio gli autunni caldi - e che quindi non vi fosse necessità alcuna di moderare la spinta salariale.
Il documento di Ugo La Malfa fu accolto con notevole freddezza da parte del mondo imprenditoriale, allora molto forte, ed anche da parti rilevanti della Democrazia Cristiana.
Ma non ebbe maggior fortuna a sinistra. Vi fu un intervento di Giorgio Amendola in Parlamento che diede atto alla Nota di rappresentare "un importante discorso critico sulle tendenze dello sviluppo economico italiano", ma non concesse nulla sul punto fondamentale espresso dal documento, e cioè sulla necessità che le forze sindacali collocassero la loro azione in modo compatibile con lo sviluppo economico del Paese.
Insomma alle spalle della Nota Aggiuntiva non c'era una forza politica coerentemente di centrosinistra decisa a fare valere quella visione.
E se questo fosse ancora oggi il problema? Se le difficoltà del Governo Draghi di fare passare le riforme previste dal PNRR fossero espressione del fatto che ancora oggi vi è una destra che pensa che la società italiana viva meglio senza le riforme? Le dichiarazioni di ieri dell'on. Salvini vanno in questa direzione. Tanto da aver ottenuto ferma e pronta risposta questa mattina da parte di Paolo Gentiloni che, presentando le Raccomandazioni della Commissione all'Italia 2022-2023, ha detto: “La Commissione non ha nessuna intenzione di massacrare nessuno di tasse”, e ha aggiunto che riguardo alla riforma del catasto, nelle Raccomandazioni è scritto “aggiornare i valori catastali agli attuali valori di mercato. E non credo che rappresenti una richiesta di aumentare le tasse ma una necessità per l'Italia di cui il governo è perfettamente consapevole”.
Vale lo stesso nell’altro lato dello schieramento, dove la sintonia del PD con il premier Draghi non corrisponde ai continui intralci posti dai 5 Stelle al programma del governo. Il PD, è evidente, da solo non basta. Perciò il PNRR non va avanti: perché la destra non vuole le riforme e da sinistra non riceve sufficiente sostegno politico.
Manca in Italia una forza coerente di centrosinistra che sostenga oggi, come ai tempi della Nota aggiuntiva, il percorso virtuoso imboccato dal governo Draghi verso il rilancio del Paese.
Il Commento Politico online
18 marzo 2022
La conferenza stampa di Draghi
Quando tocca i temi economici si sente che Mario Draghi si muove su un terreno che conosce e domina completamente. Nella sua conferenza stampa di ieri il Presidente del Consiglio ha trasmesso un duplice messaggio. Da un lato ha dato il senso che il governo non sottovaluta i nuovi problemi che la guerra in Ucraina potrebbe comportare: a cominciare dall'inflazione e dalla possibilità che vengano meno approvvigionamenti necessari qualora la situazione internazionale peggiori ulteriormente. Dall'altro, però, ha fatto capire di voler evitare un allarmismo eccessivo, che potrebbe produrre dei danni maggiori di quelli che le circostanze reali potranno comportare. Insomma, Draghi ha fatto capire che il governo interverrà se e quando sarà necessario. Ma che se ciò avverrà, si tratterà di interventi ai quali si sta pensando già oggi, anche se non è necessario né utile che se ne parli.
In sostanza, non c'è ragione di anticipare ora decisioni che potrebbero risultare necessarie domani, ma che forse, se dovesse esserci una schiarita sul piano internazionale, potrebbero non essere necessarie. È un’impostazione prudente ed equilibrata.
Circa la situazione ucraina, è apprezzabile che il governo italiano non usi verso il leader russo un linguaggio aspro. Non perché l'azione russa non sia totalmente inaccettabile sul piano politico ed anche sul piano morale, ma perché, quando si danno giudizi troppo drastici, o ci si prepara alla guerra oppure si manifesta un'impotenza.
È condivisibile la posizione della NATO e di singoli paesi di aiutare gli ucraini a difendersi e di farlo con tutti i mezzi disponibili sulla base della carta delle Nazioni Unite che autorizza gli Stati ad aiutare i paesi oggetto di una aggressione. Il linguaggio virulento è quindi sostanzialmente inutile, anche se la nuova autonomia della Gran Bretagna dopo la Brexit – decisione che continua in generale a sembrarci preoccupante - potrebbe nel caso specifico rivelarsi un’arma tattica in più del fronte occidentale. Nella nostra panoplia, la presenza di un “poliziotto cattivo” potrebbe dare qualche frutto. Sarebbe però auspicabile che Biden, che è il leader dell’alleanza, tenesse una posizione non troppo vicina a quella britannica, evitando uscite come quelle delle ultime ore che sembrano più dettate da esigenze di politica interna – le elezioni di mid-term sono alle porte – che dalla necessità di far scendere al più presto la temperatura del quadro internazionale.
Anche per quanto riguarda la pandemia, la soddisfazione del governo per come ha condotto le cose da un anno a questa parte appare sostanzialmente giustificata, comprese le decisioni sull'obbligo del green pass, che si è rivelata una misura vincente. Opportune ci sono sembrate anche le parole di Draghi sul governo Conte e il riconoscimento che esso ha dovuto fronteggiare per primo in Europa l'arrivo della pandemia. Nel complesso, quindi, dalla conferenza stampa del Presidente del Consiglio possono trarsi, pur tra le difficoltà che caratterizzano la situazione, spunti incoraggianti circa la capacità del governo di affrontare bene il futuro che ci attende.
Dopo gli scossoni seguiti al difficile passaggio dell’elezione del Presidente della Repubblica, anche le stesse forze politiche di maggioranza sembrano aver ritrovato la convinzione di quanto sia necessario che questo esecutivo debba poter godere della fiducia più ampia da parte loro.
P.S. Ieri c'è stato un duetto fra l'on. Violante e l'on. Meloni su Telesio Interlandi. La leader di FdI, nel dire che l’errore di Mussolini è stato quello di non evitare l'alleanza con Hitler, ha confermato di stare ancora diversi passi indietro rispetto alle posizioni assunte da Gianfranco Fini. Niente di nuovo, quindi, né di apprezzabile. Ciò che ci ha sorpreso è che l’onorevole Violante non glielo abbia fatto notare.