Noi repubblicani: da dove veniamo 1904 - 1907

35. La moglie di Cesare deve essere al di sopra di ogni sospetto

Il secondo episodio, che mi piace ricordare, riguarda il carattere politico- comportamentale dei “vecchi” repubblicani. Termina nel 1904 ma nasce nel 1903. “Le elezioni politiche del 6 novembre – scrive Luigi Lotti nel suo I Repubblicani in Romagna dal 1894 al 1915 più volte citato – avevano avuto in Romagna nell'aprile (1904) una drammatica premessa: le dimissioni da deputato di Forlì del repubblicano Gustavo Chiesi e l'inattesa vittoria, per soli 7 voti, del monarchico marchese Alessandro Albicini su Giuseppe Gaudenzi. Nei primi mesi del 1903 Chiesi aveva condotto una violenta campagna, nella Camera dei deputati, contro la Società Anonima Commerciale che aveva la concessione del Benadir, accusandola di tollerarvi il commercio degli schiavi: successivamente si era recato sul posto per svolgere l'inchiesta, su una proposta della stessa Società che rigettava sdegnosamente l'accusa formulata dal giornalista Pietro Giorgi, era stato nella colonia italiana, in alcuni articoli ne Il Secolo. La requisitoria di Chiesi contro la Società era stata ferma e documentata sia durante lo svolgimento della interpellanza da lui presentata, sia sulla base delle gravi risultanze dell'inchiesta governativa, pubblicata tempestivamente in un libro verde proprio per la insistenza del deputato repubblicano contro le opposizioni e i rumori della Camera, smaniosa di prendere le vacanze pasquali. Pochi giorni dopo Chiesi accettò l'invito fattogli dalla Società del Benadir di svolgere sul posto un'inchiesta. Prima di accettare aveva obiettato che una sua eventuale decisione doveva essere subordinata al parere dei repubblicani di Forlì cui doveva la sua elezione a deputato; pose inoltre la condizione che il secondo commissario fosse di suop gradimento (doveva essere il giornalista Luigi Barzini che non potè accettare e fu allora l'avvocato Ernesto Travelli), che “l'inchiesta si estendesse a tutto l'andamento della colonia, passato e presente, e su tutti i funzionari ed agenti della società, senza limitazioni di indagini per chichessia e su chichessia; e che alla commissione fossero dati oltrechè facoltà inquirenti, facoltè esecutive; e che, ovviamente, le spese (40.000 lire) fossero a carico della Società” (è opportuno ricordare che la carica di deputato non prevedeva alcuna retribuzione od indennità, in base all'art.50 dello Statuto del Regno e che, non essendoci ancora il traporto aereo, una trasferta nel Corno d'Africa più l'indagine avrebbe comportato un notevole lasso di tempo da sottrarre alla attività professionale dei due commissari). Fu, in definitiva un accordo basato sulla reciproca fiducia: di Chiesi sulla schiettezza delle intenzioni dei dirigenti della Società di cancellare quella macchia lanciata dalla campagna di stampa; delal Società sulla serenità di giudizio del deputato repubblicano, non offuscata da preconcetti politici. Sfuggì evidentemente a Chiesi e ai repubblicani forlivesi che dettero parere favorevole all'iniziativa del loro deputato, l'anacronismo della situazione: cioè che egli, il principale e autorevole accusatore della Società si recasse nel Benadir a svolgere un'inchiesta per conto della stessa che pagava le spese per rendere possibile l'indagine che la riguardava. Quando la cosa fu conosciuta cominciarono subito vociferazioni e accuse e quando Chiesi tornò in Italia, il 16 marzo 1904 la sezione del PRI milanese in cui Chiesi era iscritto lo considerò decaduto dalla sua qualità di socio, nonostante il parere contrario dei repubblicani forlivesi e della direzione nazionale del Partito.. Il giorno successico l'On. Chiesi inviò al Presidente della Camera le proprie dimissioni da deputato e il 18 il seggio forlivese fu dichiarato vacante. Come già precedentemente scritto alle elezioni conseguenti il candidato repubblicano Gaudenzi, pur avendo più voti del candidato monarchico, fu costretto al ballottaggio, avendo i socialisti presentato un candidato di “protesta” (cioè una persona ineleggibile). Nel secondo turno i socialisti, a differenza che in altri comuni di Romagna, non votarono per il candidato repubblicano, astenendosi, e facendo così registrare la vittoria, per la prima volta in Romagna, di un monarchico in quel Collegio.

 

36. Nuove “incomprensioni” fra repubblicani e socialisti in Romagna: compare Mussolini

Nel 1905 dal 22 al 24 giugno, si tenne a Genova l'VIII congresso nazionale del P.R.I. Il Congresso si svolse in concomitanza con le celebrazioni del centenario della nascita di Giuseppe Mazzini: Napoleone Colajanni pronunciò un vigoroso discorso a difesa del pensiero mazziniano, contro ogni interessata interpretazione o denigrazione. Il Congresso ribadì l'impegno dei repubblicani a favore delle classi operaie e deliberò che il PRI “intende, nelle lotte moderne dei proletari contro il capitalismo che li opprime e li sfrutta, schierarsi francamente e risolutamente a favore dei lavoratori”. In contrasto con la pratica del riformismo socialista, il documento congressuale sottolineava la necessità che le lotte operaie venissero condotte con l'obiettivo di migliorare le condizioni di vita del proletariato e il senso di solidarietà tra tutti i lavoratori.

In Romagna nel gennaio dello stesso anno erano iniziate le trattative tra la Fratellanza contadini, la Federazione dei braccianti (le due organizzazioni dei lavoratori agricoli, rispettivamente, repubblicani e socialisti) e l'Associazione Agraria per la formulazione di un nuovo Patto colonico. Le trattative si conclusero dopo quasi un anno (nel febbraio del 1906) e il 28 aprile il nuovo patto fu depositato presso un notaio di Ravenna. Pochi giorni dopo si iniziava nel Ravennate ** l'agitazione per l'abolizione dello scambio delle opere nella trebbiatura; “questa era una antichissima usanza, secondo la quale ciascun contadino veniva aiutato nella trebbiatura del grano da tutti i contadini vicini; consuetudine che l'introduzione delle trebbiatrici a vapore, avvenuta da pochi anni, non solo non aveva scalfito, ma semmai rafforzato per l'elevato numero di persone che quelle macchine esigevano lavorassero congiuntamente. Ma era una usanza contro cui già da tempo si scagliava il bracciantato, che era sempre assillato dal problema della disoccupazione e che perciò ambiva a quel lavoro” * I lavori dei campi furono bloccati e iniziarono le trattative tra le parti che si conclusero con un accordo solo il 23 luglio. Per l'anno in corso i lavori nei fondi condotti a mezzadria sarebbero stati compiuti con il tradizionale scambio d'opera o, a preferenza del colono (mezzadro) e a sua esclusiva spesa, coi braccianti; mentre, a partire dal 1907 lo scambio d'opera era abolito e i proprietari del terreno erano obbligati a pagare al colono una somma, sotto altra voce, pari all'incirca alla metà delle spese di trebbiatura. Nel 1907 l'agitazione dei braccianti per ottenere l'abolizione dello scambio d'opere si estese dal Comune a tutta la provincia di Ravenna, al Forlivese e al Cesenate.

La Direzione centrale della Consociazione romagnola del PRI emise allora un comunicato in cui riaffermò “il principio fondamentale economico della Scuola Repubblicana, che la proprietà deve rappresentare il frutto del lavoro compiuto, ond'è necessario sostituire all'attuale ordinamento individuale capitalistico le libere Associazioni in cui il lavoro e il capitale sono riuniti nelle stesse mani”, ritenne “che il futuro sociale preconizzato dalla Scuola Repubblicana potrà effettuarsi soltanto con una trasformazione graduale e generale dell'economia pubblica, mercè l'intervento dello Stato, quando sia retto a sovranità popolare, che rappresenti non solo gli interessi di casta o di classe, ma di quelli della collettiività” Il documento repubblicano spezzava una lancia a favore della mezzadria “considerando che nell'attuale ordinamento individuale capitalistico rappresenta una forma contrattuale superiore in confronto al salariato, poiché eleva il lavoratore mezzadro alla dignità di socio nell'azienda agricola e lo sottare alle penose incertezze e all'avvilente servitù morale del salariato”, invitando infine gli iscritti al PRI “a spiegare ogni energia affinchè l'agitazione sia contenuta nei termini degni della civiltà e che la lotta si esplichi con forme e mezzi i quali rivelino la progredita coscienza dei lavoratori della terra ed evitino all'agricoltura gravi danni che si riverserebbero sull'econommia di tutto il paese.” ***

I socialisti, invece, avevano dato all'agitazione un aperto carattere di lotta contro la mezzadria (oltrechè contro i proprietari terrieri) e contro i dirigenti repubblicani che non ritenevano che la mezzadria dovesse scomparire e che tutti i contadini dovessero trasformarsi in braccianti. (come scrissero sul loro giornale L'Idea Socialista n.7 del 24 febbraio 1907): “ La mezzadria è un contratto indegno dei tempi moderni. La mezzadria è l'erede della servitù della gleba, di medievale memoria. Nella mezzadria il contadino è costretto al lavoro; è costretto ad abitare in quella data frazione del Comune, lontano dalla città; è costretto a restare in quella casa fissatagli dal padrone del fondo e dal fondo stesso; è costretto a mangiare, in certe stagioni, quei determinati prodotti del suolo; è costretto a moltiplicarsi in cento lavori diversi, e a cambiarsi cento diverse livree da servitore. Il contadino mezzadro è uno schiavo, meno nutrito degli antichi schiavi romani, e meno dei moderni operai salariati; i quali, per altro, sono più liberi e meglio trattati dei contadini....Meglio i braccianti! Il bracciante è un uomo libero, il contadino no.” Sulla base di queste posizioni e su quelle degli agrari e del Governo, tumulti, scontri e quan'altro si diffusero in tutta la Romagna: non ne parleremo perchè abbiamo promesso di contenere la nostra prolissità all'indispensabile. Una curiosità ci sembra però meriti di essere richiamata.

“ A mezzogiorno – scrisse Benito Mussolini sull'Avanti! - mentre la macchina (la trebbiatrice) veniva condotta ad un altro podere (dopo aver terminato il lavoro in uno mentre i braccianti l'assediavano) i braccianti riuniti in gran numero hanno sfondato il cordone delle truppe e si sono spinti sin nelle vicinanze della casa colonica. Allora i carabinieri hanno spianato i fucili. Ho sentito chiedere: facciamo fuoco? Lo Zanotti (un sindacalista) ha consigliato i dimostranti a retrocedere...” E quando essi si furono ritirati sulla strada, fu Mussolini stesso ad arringarli; e perciò il delegato di P.S. lo dichiarò in contravvenzione e lo minacciò di arresto. “ Nel pomeriggio del 18 luglio – scrisse sempre Mussolini, ma sul giornale La Lima – potevano essere le quattro. Capitai sulla strada mentre un noto incettatore, organizzatore di crumiri, apostrofava un gruppo di braccianti. Quando mi passò vicino gli dissi: ti svirgolo. Io avevo un bastone ma non lo alzai perchè il crumiro non fece parola e continuò la via.”. Probabilmente non andò così, perchè il “crumiro” era in bicicletta con una guardia in borghese. La sera stessa Mussolini fu tratto in arresto, condotto alle carceri di Forlì e il 22 condannato per direttissima a 3 mesi di reclusione, ai danni e alle spese, con esclusione del beneficio della legge del perdono. Mussolini ricorse in appello e il 30 luglio la Corte accolse la richiesta di libertà provvisoria presentata dal difensore (l'avvocato Bonavita) e il 19 novembre ridusse la pena a 12 giorni di reclusione, già scontati, con il beneficio della non iscrizione nel casellario giudiziario.

*Luigi Lotti, I Repubblicani in Romagna dal 1894 al 1915, cit.

** è opportuno ricordare che il territorio del forese del Comune di Ravenna, allora esclusivamente agricolo, aveva un' estensione enorme (seconda in Italia a quella del Comune di Roma).

*** Le parti virgolettate sono tratte da Il Pensiero Romagnolo n.2-3 del 20 gennaio 1907).

 

36. In Romagna il primo sciopero di pubblici dipendenti dalla nascita del Regno

in "continua     "