7. mag, 2022

60° post - Capitale e lavoro nelle stesse mani, se non ora, quando?

L'interminabile lista di morti sul lavoro, il disagio economico-sociale dei lavoratori dipendenti rappresentato nelle piazze il primo maggio scorso da Cgil, Cisl e Uil, gli scontri nello stesso giorno a piazza Castello a Torino tra disoccupati ed estremisti di sinistra e la polizia che difendeva i sindacalisti di Cgil, Cisl e Uil poco più in là, ci raccontano di un mondo del lavoro, del "sottolavoro" e della disoccupazione dove è sempre più chiara l'unica cosa che può dare risposta concreta a quell'anatema che più di cent'anni fa lanciava Giuseppe Mazzini dicendo "colpevole è quella società ove anche un sol uomo cerchi lavoro e non lo trovi".

La risposta obbligata, con i 2700 miliardi di euro di debito pubblico della nostra povera Italia, con gli squilibri derivanti dall'economia sempre più di guerra, non può che essere realizzata sull'impostazione mazziniana di cui abbiamo scritto dal post n° 34 al n° 40 riguardanti la cosiddetta "questione economica".

La soluzione di Mazzini riassunta dalla celebre frase "Capitale e lavoro nelle stesse mani" ancora oggi è l'unico percorso che governo, sindacati e partiti politici dovrebbero incentivare senza indugi.

Proviamo a pensare se da domani governi nazionali e regionali, sindacati con l'aiuto delle forze politiche in Parlamento, Centrali Cooperative provvedessero a costituire un fondo per investimenti a servizio dell'avviamento di piccole cooperative in tutt'Italia formate da attuali salariati a basso reddito, disoccupati o sotto occupati, che mettessero il proprio lavoro insieme per produrre beni o servizi secondo la caratteristica mutualistica delle cooperative.
Proviamo a pensare a queste persone che aiutate dallo Stato e dalle Centali Cooperative iniziassero a superare il pensiero fisso ineludibile, di sperare di essere beneficiati da un aumento salariale significativo o il dove andare a trovare un lavoro remunerato dignitosamente, che di colpo possano pensare di mettersi in proprio con amici o fratelli o ex colleghi per costituire tante piccole cooperative di produzione o di servizio. Agevolati per i primi tre anni a non pagare tasse e ad entrare nel sistema produttivo del nostro Paese con la creatività e la caparbietà degli italiani e delle italiane, e il capitale messo a disposizione dallo Stato.

Piccole cooperative in cui tutti siano soci e nessuno dipendente, dove sacrifici e soddisfazioni saranno per tutti, con remunerazioni possibili solo se capaci di far decollare e prosperare l'azienda.
L'Italia avrebbe anche bisogno di strutturare in modo dignitoso e giusto su tutto il territorio nazionale una vera e propria manovra di sviluppo capillare del Paese attraverso piccole e agili aziende cooperative, dove all'egoismo del singolo si sostituisca la strutturazione dello spirito cooperativo delle origini.

Si aprirebbe veramente un piano nazionale di ripresa e resilienza gestibile con poca pubblica spesa e tanta resa, inizialmente, solo per i primi tre anni ai soci cooperatori e alle loro aziende, e poi anche allo Stato.

L'unica strada alternativa alla proposta mazziniana, realizzabile in ogni settore d'attività, è che si continui a vedere aumentare la lista dei morti sul lavoro, che la violenza diventi sempre più la forma di discussione tra estremisti esasperati e rappresentanti sindacali di lavoratori salariati, con questi lavoratori sempre meno motivati a cercare nelle proprie capacità e nell'appartenenza consapevole alla Repubblica, le uniche vere forze in grado di offrire a se stessi e al Paese sia un'autentica ripresa economica che una vera resilienza.


Dall'almanacco dei martiri del dovere, riportiamo che, come oggi, il 07 maggio 1851 il re Ferdinando del Regno delle Due Sicilie commutò la pena di morte in quella dell'ergastolo a padre Girolamo da Cardinale (Domenico Lombardo) condannato dalla Gran Corte Speciale di Reggio Calabria per cospirazione ed attentato alla sicurezza interna dello Stato.