8. giu, 2022
91° post/Reminder 24: Rassegna stampa sulla malagiustizia e sui referendum di domenica 12 giugno 2022
Dall'almanacco dei martiri del dovere, riportiamo che, come oggi, l'8 giugno 1849 morì a Parigi Bianca Milesi in Mojon. Figlia di Elena Marliani, che riceveva nel suo salotto esponenti della cultura e politica milanese, Bianca crebbe in quel clima e si infervorò delle teorie sansimoniane di uguaglianza. Si tagliò i capelli, vestì abiti comodi e scarpe basse da uomo dedicandosi allo studio e alla pittura. Durante un viaggio di studio, in giro per l'Italia, rimase affascinata dal femminismo di Mary Edgeworth e Sofia Reinhardt. Nel 1814 si affiliò come Maestra giardiniera alla Carboneria, alla quale aderirono anche Matilde Dembowski, le sorelle Cobianchi, Giulia Caffarelli, Camilla Besana Fè e Cristina Trivulzio di Belgioioso. Fondò le "scuole di mutuo insegnamento" insieme a Federico Confalonieri e Giuseppe Pecchio Bianca, con lo scopo di insegnare la lingua e la storia italiana alle classi povere, L'Austria nel 1820 chiuse la scuola dietro pressione dello Stato Pontificio. Bianca sostenne fin dall'inizio tutte le cospirazioni che portarono ai moti insurrezionali del 1821, e proprio in quell'anno fu schedata e interrogata dalla polizia. Fuggì per quattro anni recandosi in Svizzera, Francia, Belgio, Olanda e Inghilterra. Nel 1823 rientra in Italia e si ferma a Genova dove sposa il dottor Mojon. In quegli anni frequentò la famiglia Mazzini e divenne una delle mazziniane della prima ora, raccogliendo fondi già nel 1831 per la Giovine Italia. La sua casa fungeva da punto di smistamento per i patrioti in fuga tra i quali ospitò l'amica Cristina Trivulzio di Belgioioso. Con il fallimento dei moti del 1821 e 1831, Bianca ed il marito scelsero di trasferirsi a Parigi dove lui continuò la professione di medico. Morirono entrambi di colera nel 1849.
Abbiamo già detto più volte, che il vero quesito non scritto che riassume il significato dei referendum di domenica prossima, è se ci va bene o meno l’attuale funzionamento della giustizia in Italia, e se ci vanno bene o meno gli attuali intrecci tenebrosi d’interessi personali, politici, affaristici e mafiosi che la più ampia parte della magistratura associata garantisce quotidianamente al posto del semplice rispetto della legge.
Leggendo le dichiarazioni di molti esponenti politici, dalla Meloni a Conte, passando per Letta, abbiamo però lo sgradevole sentore, che la reale gestione della giustizia in Italia, sia qualcosa di volutamente ignorato da questi signori e queste signore, che poi fanno comunella con gli stessi magistrati associati che stanno facendo danni incalcolabili al Paese Italia.
Allora, oggi, ci limitiamo a guardare e riportare ciò che nell’ultima settimana riportano gli organi d’informazione riguardo agli ultimi fatti che evidenziano non solo che la malagiustizia in Italia esiste, ma anche e soprattutto l’incapacità dei grandi partiti di massa e del Parlamento di porvi rimedio, e quindi la conseguente importanza del significato dei cinque referendum di domenica prossima, necessari a fare emergere le responsabilità di un sistema politico-giudiziario diversamente anche innominato là in Parlamento, dove lo si dovrebbe sistematicamente denunciare e contrastare.
Ma vediamo, al di là degli specifici quesiti, i fatti quotidiani che possono divenire l’incubo per ogni cittadino.
Solo in questi giorni è stata approvata alla Camera dei Deputati la proposta della ministra Carfagna per affermare lo stop alle mamme con bambini in carcere. Ora la palla passa al Senato. Se ne parla da tantissimo tempo e vedremo se anche su questo il nostro Paese riuscirà a diventare meno incivile perché solo un Paese simile tiene i bambini in carcere.
Ancora notizie dalle carceri e dalla giustizia: titola il Corriere della Sera “il ragazzo suicida in cella che non doveva stare in carcere” - a proposito appunto di problemi dell'abuso del carcere e dello strumento della limitazione della libertà personale. il tre giugno apprendiamo dal Corriere, G.T. il ventunenne uccisosi con inalazione di gas nel carcere milanese di San Vittore, dove la settimana scorsa anche il detenuto di 24 anni, A.E.N. si era tolto la vita, non soltanto aveva già tentato il suicidio quindici giorni fa, ma soprattutto non sarebbe proprio dovuto stare in carcere, e questo perché la diagnosi delle sue condizioni mentali lo aveva destinato ad una delle REMS (Residenze per l'Esecuzione delle Misure di Sicurezza) subentrate nel duemilaquattordici alla sacrosanta chiusura degli Opg (gli ospedali psichiatrici giudiziari) e però zavorrate da una lista d'attesa di persone non imputabili. Una lista d'attesa che mediamente dura dieci mesi ed è una media, a volte anni e durante questa attesa questi detenuti con problemi psichici stanno in carcere e poi finiscono anche per suicidarsi."
E ancora. Sul quotidiano “Il Manifesto” del 31 maggio si titola:”Pestaggi a Viterbo. Indagini sulla procura.” Ci racconta l’articolo che “il Gip di Perugia indaga sulla procura di Viterbo per l’omessa iscrizione nel registro notizie di reato dei fatti denunciati nell'esposto del Garante dei detenuti del Lazio, pervenuto presso la Procura di Viterbo l'otto giugno duemiladiciotto. Un esposto, che appunto chiedeva di indagare sui ripetuti episodi denunciati di pestaggi nel carcere di Viterbo al “Mamma gialla” e anche sul suicidio di un altro detenuto. Ma la procura di Viterbo pare che non abbia dato seguito alla denuncia.”
Scrive di questo anche Valentina Angela Stella sul Riformista il trentuno maggio A pagina otto: “Non indagarono sulle botte in cella pubblici ministeri sotto inchiesta. Il Gip di Perugia ha disposto approfondimenti su colleghi della Procura laziale per capire chi e perché non ha dato seguito all'esposto del garante sui presunti pestaggi da parte degli agenti. l'ipotesi è di rifiuto di atti d’ufficio” .
Ma ancora sullo stato della giustizia italiana. “Il PM dispone il Gip esegue. Uno studio dice che è lo standard. L'Unione delle camere penali italiane chiede che ora si cambi. A Brescia il dato dei penalisti in corte d' appello, le richieste di misure cautelari sono accolte dai GIP” - a proposito di separazione delle carriere - “nel novanta per cento dei casi.” E qui si scrive “il pm dispone il Gip esegue”.
Uno dei maestri della procedura penale italiana, il professor Peppino De Luca amava distinguere tra PM propriamente detti e pm impropriamente detti. Questi ultimi sarebbero i GIP, che anziché appunto porsi in termini di terzietà per le garanzie dei diritti dell'indagato, troppo spesso nel corso delle indagini preliminari si schierano come un sol uomo accanto ai pubblici ministeri, e questa indagine dell' Unione camere penali dimostra che lo fanno nel novanta per cento dei casi, a proposito di chi non vuole cambiare la giustizia.
Quindi come invitano Conte, Letta, Speranza e la Meloni, state a casa se vi sta bene tutto questo che questi “onesti parlamentari e politici” non affrontano.
Non risolvono e non fanno nulla per risolvere il fatto che nei tribunali sono ferme trecentomila cause.
“Solo a Roma e Napoli i maggiori ritardi” è il focus sulla giustizia del quotidiano “Il Messaggero” a pagina quindici il primo giugno dove si legge: “Così si scoraggiano gli investimenti e i procedimenti sono diminuiti solo di un quarto dal duemilaquindici.
In tema della lentezza dei procedimenti giudiziari abbiamo visto negli USA come è diverso. C'è stato un processo molto seguito sui media tra artisti di Hollywood e durato complessivamente sei settimane.
Viene da ridere o da piangere in realtà, a pensare ai tempi della nostra giustizia italiana e a tutti coloro che continuano a difendere questo stato di cose.
Non lo vuole difendere invece l'Unione Europea e con questa notizia chiudiamo:
“Toghe in political L'Unione europea dice basta. L'Europa bacchetta l'Italia per le porte girevoli. L'organo anticorruzione UE dopo il sollecito del duemiladiciassette. Stop all'anomalia tutta italiana dei giudici che poi diventano politici” e la notizia è data dal quotidiano economico “Il Sole 24 Ore”.
E di magistrati che poi diventano politici e che poi è ridiventato magistrato
scrive il Fatto Quotidiano: “Scandalo, il sistema chiedeva nomine a Palamara, ma il CSM salva la Ferranti” il primo giugno a pagina nove: “la giudice Donatella Ferranti già deputata del Partito Democratico, diventata presidente della Commissione giustizia del legislativo, che poi adesso è tornata in magistratura” e secondo Antonella Mascali del Fatto Quotidiano “raccomandava a Palamara amici magistrati, ma il CSM l'archivia e la lascia in Corte di Cassazione.”
“C'è chi può e chi non può scrive” Antonella Mascali del fatto Quotidiano.
Allora anche se il Fatto Quotidiano poi è contrario ai referendum, sono queste le notizie che ci debbono spingere verso le urne il dodici giugno perché non è ammissibile che c’è chi può e chi non può. La legge è uguale per tutti e andiamo a rivendicare questo obiettivo.