22. giu, 2022
105° post - "GIOVINE EUROPA E FOGLIA D'EDERA - 8° paragrafo / 1° capitolo - Dai moti dell’Italia centrale all’esilio in Inghilterra (1831 - 1837)
Dall'almanacco dei martiri del dovere, riportiamo che, come oggi, il 22 giugno 1896 moriva a Como Giuseppina Perlasca in Bonizzoni. Fu attiva nella vita politica sia insieme al primo marito, che morì nel 1848, sia con il secondo compagno che fu impiccato nel 1851. Perse il figlio nella battaglia di San Martino. Fu interrogata, multata, perseguita, imprigionata e torturata
Giovine Europa e foglia d’edera
A Berna in una giornata luminosa con il cielo terso, Mazzini entrò nella biblioteca cittadina con in mano alcuni fogli. Raggiunse un gruppo di sedici giovini che lo attorniarono. Ottenne silenzio con un cenno della mano, e iniziò a leggere:“Oggi, 15 aprile 1834 i sottoscritti cittadini Italiani, Tedeschi e Polacchi, sottoscrivono il seguente Patto di fratellanza. Noi, uomini di progresso e di libertà, credendo nell’uguaglianza e nella fratellanza degli uomini, e dei popoli; convinti che ogni uomo e ogni popolo ha la sua missione speciale, dopo essersi costituiti in associazioni Nazionali libere e indipendenti, nuclei primitivi della Giovine Italia, Giovine Polonia e Giovine Germania, determinano ciò che segue: Mazzini si interruppe un attimo mentre gli altri fecero cenni di consenso, poi proseguì:”La Giovine Germania, la Giovine Italia e la Giovine Polonia, associazioni repubblicane si collegano fraternamente, ora e sempre. L’alleanza difensiva e offensiva, espressione della solidarietà dei popoli, è stabilita tra le tre associazioni. La riunione dei Comitati Nazionali costituirà il Comitato della Giovine Europa. Una foglia d’edera, da sempre simbolo d’immortalità, è il simbolo comune a tutti i membri delle tre associazioni, fondate su un’idea immortale. Nunc et semper (Ora e sempre) è il motto comune che indicherà le pubblicazioni delle Associazioni.” Mazzini terminò così la lettura e appose la sua firma in calce all’Atto. Poi, una ad una, seguirono le firme dei rappresentanti delle tre associazioni.
Nel Palazzo del Governo a Berna nell’Ufficio del Presidente della Confederazione oltre al Presidente si erano adunati gli ambasciatori di Austria, Piemonte, Russia, Prussia e Francia. L’ambasciatore austriaco, con in mano un giornale svizzero (La Jeunne Suisse) parlò ad alta voce:”I nostri governi intendono vibrare la più alta protesta. Questo non è un giornale dei fuorusciti italiani, ma di cittadini svizzeri e propaganda l’Associazione che Mazzini e altre 16 persone (sic) sedicenti rappresentanti di 70 milioni di persone, ha chiamato la Giovine Europa. E qui sono pubblicati i principi dell’Associazione. Un solo Dio, un solo padrone, della di lui Legge un solo interprete di quella legge: l’Umanità. E via con amenità del genere fino a che non compaiono gli obiettivi politici: Ogni signoria ingiusta, ogni violenza, ogni atto d’egoismo esercitato a danno d’un popolo è violazione della libertà, dell’eguaglianza, della fratellanza dei popoli. Parole, parole, ma che toccano l’animo impulsivo di certi giovani che abbiamo già visto di che cosa sono capaci. I nostri Governi, eccellenza, chiedono formalmente che cessi questa propaganda rivoluzionaria e che tutti i fuorusciti dai vari paesi europei accolti in Svizzera siano allontanati.
Era notte fonda quando una carrozza correva su una strada deserta. All’interno della carrozza c’erano Mazzini, Giovanni e Agostino Ruffini, Ghiglione e Usiglio. Mazzini leggeva un biglietto, poi disse ai compagni di viaggio:”Domani saremo nel Cantone di Soletta a Grenchen, un piccolo borgo di artigiani. Ci fermeremo il tempo necessario a far calmare le acque onde evitare che il governo svizzero prenda nei nostri confronti i provvedimenti sollecitati dai nostri nemici. A Grenchen vi è uno stabilimento bagni, sul fiume Aare non molto distante dal lago di Bienne, con ristorante e taverna, gestito dalla famiglia Girard, una famiglia molto perbene che mi è stata raccomandata per la sua discrezione.” Sul far del giorno si iniziava ad intravedere in lontananza il villaggio di Grenchen, posto accanto al lago, entro un paesaggio pastorale in una ariosa valle con larghe praterie e con le Alpi lontane sullo sfondo.
La sera successiva allo stabilimento bagni, Mazzini occupava una piccola stanza al primo piano, arredata con un lettuccio di ferro, un tavolo da lavoro e alcuni scaffali con libri. Scriveva alla luce della candela, con le finestre chiuse di giorno e solo socchiuse di notte. Quella stessa sera il proprietario dello stabilimento, il sig. Girard, bussò alla sua porta ed entrò ponendosi a disposizione di Mazzini:”Signor Mazzini, mi ha fatto chiamare?” Mazzini interruppe la scrittura e fece cenno d’entrare. “La ringrazio di essere venuto. Lei sa chi sono e conosce le mie condizioni di esule e di perseguitato. So che lei e la sua famiglia siete ottime persone ed anche i cittadini di Grenchen ottimi lavoratori. Io e i miei amici non abbiamo molto danaro e per pagare la pigione dobbiamo attenderne l’arrivo dalle nostre famiglie, attraverso strade tortuose.” “Signor Mazzini, io sono onorato di averla in questa casa. Lei per me è un ospite e farò di tutto, assieme a mia moglie e alle mie tre figlie, per proteggerla da occhi indiscreti, soprattutto forestieri. A casa nostra troverà l’affetto di una famiglia. Quanto alla pigione, non deve preoccuparsi, pagherà quando ne avrà.”
Durante l’esilio a Grenchen Mazzini passeggiava spesso alla sera davanti allo stabilimento dove c’era un grande spazio verde e alti abeti e, solitamente gli tenevano compagnia le figlie di Girard o la moglie. Una sera mentre passeggiava con la moglie di Girard, Mazzini si confidava con la donna:”...la domesticità, come s’ intende e si pratica oggigiorno, deve sparire; deve cessare il lavoro di quella che è considerata la servitù, deve diventare invece una prestazione di uffici con retribuzione, un contratto su basi uguali, come tutti gli altri contratti: non deve avere con sé alcuna traccia di avvilimento. Al di là della esecuzione del contratto, i domestici han da essere uomini, avere educazione d’uomini, e fratellanza d’uomini”.
Contemporaneamente, le tre figlie di Girard, non belle perché ingoffite dalla vita dura, erano in mezzo all’orto al lavoro. Giovanni e Agostino Ruffini le corteggiavano per passare il tempo.
Un giorno Mazzini era in camera e mentre suonava la chitarra, entrò Francesca, una delle ragazze:”Signor Mazzini, è ora di scendere, venga a pranzare”.
Mazzini seguì la ragazza ed entrarono in sala dove c’erano i Girard, i Ruffini, Ghiglione e Usiglio.
“Giuseppe - disse Giovanni Ruffini a Mazzini - sono arrivati due pacchi da Genova, dalla pesantezza sembra contengano generi di conforto”.
Mazzini aprì il pacco e tolse pasta e vini. Prese poi in mano la lettera che era nel pacco, e rivolgendosi alla signora Girard disse con entusiasmo:”Oggi si festeggia, metta in tavola questo ben di Dio che mia madre ci manda”.
Mazzini lesse poi velocemente la lettera e riprese il discorso:”Ecco, l’esilio un giorno finirà, gli uomini saranno liberi, i proscritti torneranno alle loro case lontane. E allora non più proscritti inviteranno il dottore, gli altri fratelli, le ragazze e tutti andranno a Genova un mese per uno. Li condurranno a vedere le loro chiese, i loro teatri, i loro monumenti, il loro mare”.
Il dottore sorrideva, le ragazze sognavano, i proscritti avevano il pianto alla gola e finito il pasto se ne tornarono tristi nelle loro camere.
In occasione dell’onomastico di Mazzini le figlie di Girard organizzarono una festicciola con cori e danze montanare. Le ragazze gli offrirono doni ed era presente anche la gente del Paese. Usiglio, Mazzini e i fratelli Ruffini parlarono fra loro osservando i presenti.
Usiglio si guardò con circospezione poi disse:”tra questi bravi montanari non vedo facce sospette di birri o spie”.
In quello stesso momento si avvicinò al gruppo degli esuli il curato che si rivolse direttamente a loro:”Ho saputo che siete genovesi, la città di Giuseppe Mazzini che io ammiro per il suo carattere e per il suo amore all’Italia; non sempre purtroppo i suoi scritti sono in sintonia con quanto dicono le sacre scritture e un sacerdote non può fare a meno di notarlo”.
Mazzini e gli altri si guardarono e sorrisero, mentre si stavano avvicinando delle persone il grande rivoluzionario, a voce alta disse:”Io non do troppa importanza al cibo, ma la torta che ho assaggiato l’ho trovata squisita!”
Una signora si avvicinò a Mazzini, poi per farsi udire dai presenti, anche lei alzando la voce iniziò dicendo:”Deve credermi se le dico che questa torta l’ho fatta con amore e in suo onore. L’ho chiamata Torta Mazzini e da oggi in poi sarà una specialità del nostro Paese.”
Il curato, che stava appunto mangiando la torta, rimase a bocca aperta, mentre i presenti iniziarono a battere le mani tra grida inneggianti “Viva Mazzini, Viva Mazzini!”
E tutti si strinsero attorno all’ esule che strinse le mani a destra e a manca.
Una signora in tono confidenziale gli disse:”Ho saputo che tiene in camera un grosso gatto. Stia attento e non si fidi troppo delle bestie sono traditrici”.
Un signore anziano sorridendo intervenne:”Soprattutto dei gatti neri!” Mazzini scoppiò in una risata e rivolto alla signora:”Cara Signora, l’uomo è più capace di tradimento di qualsiasi gatto.
Datemi il gatto più selvatico del mondo, chiudetelo in camera con me e vi giuro che vivremo da buoni amici. Quanto al gatto nero, è quello che amo di più: ma non esiste più un solo gatto completamente nero. Tutti i gatti dal manto nero hanno sempre sul petto o sulle zampe un ciuffo di pelo bianco. Solo questi si sono salvati dallo zelo della Santa Inquisizione che faceva morire di morte orribile i poveri animali considerandoli l’incarnazione del demonio.”
A Zurigo, un giovane era in una stanza del comando di Polizia si rivolse a tre poliziotti:”Gli affiliati alla Giovine Germania stanno preparando una spedizione armata nel Baden. I capi dei fuorusciti si recheranno alla fine di maggio ai bagni di Grenchen per definire gli ultimi dettagli dell’ impresa”.
Il capo della polizia di Zurigo fece telegrafare immediatamente a Berna e il Ministro chiamato il suo capo di polizia, gli fece vedere il dispaccio e in modo liberatorio ordinò:”Finalmente un appiglio legale che ci consente di intervenire. Andate a Grenchen e arrestate Mazzini e i suoi”.
Qualche ora dopo, molti militari e poliziotti fecero irruzione nello stabilimento bagni. Mazzini, i fratelli Ruffini, Usiglio e Ghiglione vennero arrestati e ammanettati. Mazzini mentre venivano presi disse agli amici repubblicani:”La calma era solo apparente. L’ambasciatore francese, duca di Montebello è riuscito a convincere il Governo svizzero.”
Mazzini e gli altri vennero condotti in prigione nella cittadina. Il corteo non sfuggì a un gruppo di giovani che immediatamente sparsero la voce che Mazzini era stato arrestato. Dopo un po' quasi tutti i cittadini, compreso il curato, marciarono verso la prigione.
Giunti sotto alla prigione iniziarono a urlare:”Liberate Mazzini e i suoi compagni. O li liberate subito o li libereremo con la forza”.
Intanto all’interno del carcere il direttore, rivolto a Mazzini gli disse:”Mi spiace comunicarvi che le disposizioni del governo della Confederazione parlano chiaro. Sono autorizzato a liberarvi purché promettiate di lasciare il Cantone e la Svizzera entro 24 ore. La vostra presenza nel Paese non è più gradita.
Mazzini pacatamente rispose:”Non credo di aver fatto nulla qui a Grenchen che giustifichi questo provvedimento. Non posso ubbidire se non dando adito a chissà quali colpe.”
Nel frattempo, la campana della chiesa chiamava a raccolta e la gente si radunava in Piazza, radunando una grande folla. Il sindaco di Grenchen si alzò su un tavolo e parlò ai suoi concittadini:”Nel nostro Cantone esiste ancora il senso del diritto di asilo per i perseguitati politici. Noi siamo una Repubblica e non possiamo accettare ordini dalle Monarchie europee; ne va del nostro onore. Noi siamo fieri e onorati di ospitare Giuseppe Mazzini e i suoi compagni, ma non come carcerati ed esuli, bensì come concittadini.
Propongo quindi a questa Assemblea di Popolo che sia concessa la cittadinanza di Grenchen e conseguentemente quella svizzera a Giuseppe Mazzini e ai suoi compagni.”
Scene di entusiasmo e di evviva seguirono il proclama. La folla si recò quindi minacciosa verso il carcere e il Direttore impaurito fece uscire Mazzini e i suoi compagni.
Fuori dal carcere fu un tripudio:”Viva Mazzini, viva la repubblica, viva il Sindaco”.
Mazzini, commosso, si avvicinò al Sindaco e gli disse:”Vi ringrazio di cuore dell’onore che mi fate. Ma voi sapete bene che io sono e resto italiano anche se purtroppo mi è impedito di tornare nel mio Paese. Ma non voglio procurarvi guai con le autorità centrali che sono continuamente sottoposte a ricatti e pressioni dagli ambasciatori delle potenze europee, che mettono in forse la stessa sopravvivenza dell’ indipendenza Svizzera.
Io devo partire, ma nel mio peregrinare, non vi dimenticherò."
All’alba del giorno dopo Mazzini e i suoi compagni salirono in carrozza salutati dalla famiglia che li aveva ospitati per tanto tempo.
Improvvisamente, appena la carrozza partì lentamente, le strade si animarono e tutta la gente del villaggio commossa, prese a seguire a piedi la carrozza fino a che la stessa uscì dal villaggio.
Gli esuli avevano preso la via per la Francia.
Dopo aver attraversato tutta la Francia si ritrovarono in un clima molto freddo quando arrivarono a Calais. Il mare sembrava fumare, era impetuoso.
In mattinata si imbarcarono in un battello. Mazzini salì in cassero, in basso si sentiva soffocare. Appena il battello fu in alto mare, Mazzini venne colto da mal di mare e senza accorgersene, svenne. Quando riprese i sensi, soccorso dai marinai, si trovò ancora in stato di semincoscienza, continuava a stare male e vomitava.
Soffriva il mal di mare anche Giovanni, appoggiato al parapetto del battello, pallido come un morto. Usiglio aveva vomitato appena il battello aveva lasciato la terraferma. Agostino era l’unico a star bene. Dopo qualche tempo cominciarono ad abituarsi al rollio del battello e a star meglio. Quando il battello giunse in vista della terra stavano bene tutti.