14. lug, 2022
127° post - "IL PARTITO D'AZIONE E IL TENTATIVO DI PISACANE" - 8° paragrafo / 3° capitolo - I moti mazziniani dal 1852 al tentativo di Pisacane (1852-1858)
Dall'almanacco dei martiri del dovere, riportiamo che, come oggi, il 14 luglio 1824 il Senato di Verona condannò a 15 anni di carcere duro, da scontarsi allo Spielberg, Silvio Moretti appartenente alla setta dei Federati italiani, per titolo di alto tradimento.
Il Partito d’Azione e il tentativo di Carlo Pisacane
Si erano riuniti, in una casa alla periferia di Genova, i capi del Partito d’Azione mazziniano. Mazzini fece il suo ingresso in sala col passo svelto e nervoso. Poi iniziò a parlare:”Fratelli, i nostri compagni Giuseppe Fanelli da Napoli e Nicola Fabrizi da Malta ci esortano ad assumere l’esecuzione del piano già tracciato per sollevare il Regno delle Due Sicilie. Sarebbe saggio, prima di procedere ad un’invasione dall’esterno, che finalmente quelle popolazioni si sollevassero, ma i compagni napoletani e siciliani ci chiedono di rompere gli indugi. Ho parlato a lungo con il generale Pisacane che conviene con me sulla necessità di liberare da ogni responsabilità il Fanelli, che è latitante e ricercato dalla polizia, procedendo all’invasione, mentre all’atto di questa il Comitato di Napoli attuerà il piano militare d’insurrezione.
Dobbiamo quindi fare affidamento sulla protezione di Dio e sull’aiuto di quel popolo."
Automaticamente tutti gli sguardi si spostarono verso Pisacane che rimase immobile, pensieroso.
Mazzini aggiunse:”Bisogna far corrispondere alla rivolta nel Sud una insurrezione a Genova e un’altra a Livorno, perfettamente sincronizzate tra loro. Ciò servirà ad aggiungere armi e uomini nuovi all’insurrezione meridionale. E’ di vitale importanza infatti che l’insurrezione meridionale non resti circoscritta e isolata.
Qualche giorno dopo, il piroscafo Cagliari era ancorato nel porto di Genova. Era il Cagliari che partiva per Cagliari e Tunisi alle otto di sera. Mazzini era presente alla partenza e abbracciò Pisacane, Giovanni Nicotera, Giovan Battista Falcone, di 20 anni, e Giuseppe Capelli. Rivolto a Mazzini, Pisacane gli disse:”Se mai nessun bene frutterà all’Italia il nostro sacrificio, sarà sempre una gloria trovar gente che, volonterosa, s’immola al suo avvenire…giunto al luogo dello sbarco, per me è la vittoria, dovessi anche perire sul patibolo. Ho con me Doneri, capitano di lungo corso, che prenderà la guida del piroscafo quando avremo arrestato l’equipaggio”.
E Mazzini a lui:”La missione deve riuscire. Rosalino Pilo vi raggiungerà al largo con altri compagni e con le armi”.
Pisacane salì quindi a bordo con il capitano Doneri e con altri 21 compagni che salirono alla spicciolata fingendo di non conoscersi l’un l’altro. Di notte Pisacane consegnò ai compagni una pistola e un berretto rosso che stava a simboleggiare la libertà, poi si ritirò nella sua cuccetta e concluse la scrittura del suo testamento spirituale:”...Se non riesco dispregio profondamente l’ignobile volgo che mi condanna; ed apprezzo poco il suo plauso in caso di riuscita.”
Qualche giorno dopo, a Genova, a casa del marchese Pareto, nella sala discutevano il marchese e Mazzini, entrambi con il sigaro acceso:”Finché non torna Pilo e mi assicura che la missione è compiuta, non posso telegrafare a Napoli che l’ammutinamento sul Cagliari è riuscito e che la sollevazione deve essere immediatamente iniziata.”
Mentre Mazzini parlava, introdotto dal domestico, entrò nella sala Pilo che si getta subito, piangendo, nelle braccia di Mazzini.
“Giuseppe, il contatto con il Cagliari non è avvenuto. Nonostante abbia acceso i fuochi e lanciato i razzi luminosi al largo di Sestri, come d’accordo, non ho avuto risposta. Ho perlustrato per tutta la notte al largo ma del Cagliari nessuna traccia. Sono allora tornato a terra e ho nascosto le armi in una caverna.” Mazzini, sbiancato in viso, spense il sigaro con desolazione, poi si sedette e si prese la fronte con la mano dicendo:”Ormai sono rassegnato al disastro definitivo”.
Nello stesso momento i congiurati si riunirono in coperta e iniziarono l’assalto del ponte di comando al grido:”Italia! Italia libera e repubblicana!!!”
L’equipaggio fu fatto prigioniero senza che potesse opporre resistenza. Il capitano si lasciò condurre in cabina. Due inglesi, in sala macchine, chiesero di poter essere utili all’impresa e rimasero al loro posto.
Pisacane diede gli ordini a tutti:”Doneri, prendi il comando della nave e ferma le macchine, dobbiamo attendere Pilo con le armi.”
La nave si fermò per quasi tutto il giorno, ma le barche di Pilo non arrivavano.
Da un’ispezione saltarono fuori tre casse con 60 fucili a due canne.
Pisacane rivolto a Doneri e agli altri che gli stavano attorno allora disse:”Non possiamo attendere oltre, andiamo, le armi le prenderemo ai borbonici. Doneri, dirigi su Ponza: là libereremo i detenuti e ci faremo consegnare le armi dai soldati di presidio.
All’alba di sabato 27 giugno il Piroscafo arrivò in vista di Ponza e avanzò fino all’imboccatura del porto e calò l’ancora.
I rivoltosi scesi a terra assalirono di sorpresa con successo il posto di guardia, dopo un conflitto a fuoco in cui ebbero 4 feriti. Poi andarono verso i due cannoni del forte e li resero inutilizzabili. Nel palazzetto del comando un tenente e un soldato borbonico che volevano resistere caddero feriti e il comandante della guarnigione fu fatto prigioniero. Poi andarono all’assalto del Castello, neutralizzarono la guardia, presero le armi nel magazzino e i militari in punizione da loro liberati passarono ai rivoltosi. Tornarono sul piroscafo 117 militari in punizione, 75 militari a domicilio coatto, tre soldati del presidio e 128 detenuti veri e propri liberati dai rivoltosi.
Ma Pisacane e i suoi non s’avvederono che una barca a gran forza di remi si allontanava dal porto in direzione Gaeta dove diede l’allarme e riferì che il Piroscafo si dirigeva a Sapri.
All’alba Pisacane e i suoi, con bandiera tricolore marciavano su Torraca, verso nord, dove si stava celebrando la festa di San Pietro con solenne processione. La colonna fu accolta senza ostilità e qualcuno gridò :Viva Murat, qualche altro mostrò coccarde tricolori e offrì vino. Nessuno si unì ai rivoltosi, tanto che Pisacane disse alla folla:”Noi abbiamo lasciato famiglia ed agi di vita per gettarci in una intrapresa che sarà il segnale della rivoluzione, e voi ci guardate freddamente come se la causa non fosse la vostra ? Vergogna a chi potendo combattere non si unisce a noi....”
Giunse dai rivoltosi anche un patriota di Lagonegro che disse:”Generale, il mio paese è sgombro di truppe e i nostri affiliati sono molti e attendono la colonna con vivo desiderio. Come sapete Lagonegro è sulla strada che porta dalla Calabria a Salerno e di qui la marcia verso il nord è più facile.”
Pisacane rivolto al milite e ai suoi aiutanti rispose:”No, bisogna procedere per Vallo verso Sala Consilina, ci accamperemo fuori del paese in attesa degli insorti del Vallo di Diano e della Basilicata, fate riposare gli uomini.”
La mattina dopo la colonna riprese il cammino e dopo alcune ore fu in vista di Sanza. Un gruppo di guardie urbane aprì il fuoco contro i ribelli. Mentre il gruppo degli esuli si manteneva compatto, gli altri, liberati a Ponza, ridotti a una quarantina, cercarono di avvicinarsi al paese compiendo un largo giro e facendo segnali di resa. Il Nicotera cercò di seguirli per farli tornare indietro, ma sbucarono dal paese, eccitate dal suono delle campane a stormo, altre guardie urbane e una massa di paesani armati di roncole, falci, spiedi, incitati dalle loro donne, nonché dal loro arciprete che bandisse un crocifisso come fosse un’arma con queste parole:”Avanti, in nome di Dio, uccidete i galeotti, fuggiti dalle prigioni che vengono a saccheggiare le vostre case e a violare le vostre donne”.
Pisacane dopo essersi rivolto ai suoi disse loro:”Fermi, non sparate, questa è la gente che siamo venuti a liberare!”
Cercò di andare incontro alla folla che avanzava per parlare e spiegare il motivo della sua venuta, ma fu raggiunto da una fucilata al fianco destro. La turba gli era ormai sopra per finirlo e allora estrasse la pistola e si sparò un colpo in testa. Falcone lo imitò subito e così Foschini, mentre altri sei che erano con loro vennero massacrati accanto a loro. Il Nicotera, tornato tra i suoi compagni, cadde a terra gravemente ferito e passò per morto. Un capitano borbonico sopraggiunto con poche truppe regolari interruppe lo scempio e salvò il Nicotera che venne condotto via prigioniero.
A Genova il 30 giugno un gruppetto di insorti mazziniani occupò a sorpresa il forte Diamante, uccidendo un sergente piemontese, ma poco dopo gli insorti furono attaccati e arrestati.
A Livorno in quattro punti della città alcune bande di rivoluzionari, assaltarono gruppi di gendarmi, ferendone alcuni a pugnalate; ma di fronte alla Gran Guardia, dove i cospiratori si presentarono al grido di “Viva i fratelli”, sperando che la truppa si unisse a loro, questa fece fuoco provocando un morto e vari feriti; grossi pattuglioni di soldati dispersero gli insorti e procedettero agli arresti.
A Torino il Ministro dell’Interno Rattazzi ricevette l’ambasciatore francese che gli lesse una nota di protesta del suo governo che lo accusava di connivenza con i congiurati;
Il governo piemontese telegrafò una protesta a quello di Napoli per la cattura e il sequestro del Piroscafo Cagliari da parte della marina militare borbonica;
Il governo inglese protestò con quello napoletano per l’arresto dei due macchinisti inglesi del Cagliari
Il Cavour convocò Rattazzi e lo apostrofò pesantemente dicendogli:”Basta amoreggiare con gli elementi estremisti: non avete calcolato bene i rischi in cui si andava ad incappare con simili negligenze.”
Mazzini sfuggito all’arresto, si rifugiò nella casa del marchese Pareto e di sua moglie Costanza, in salita Cappuccini a Genova.
Un pomeriggio mentre Mazzini passeggiava fumando il sigaro nel salone del palazzo, la signora Costanza scorse in strada un plotone di guardie e di carabinieri che stavano arrivando alla loro casa.
La signora corse nel salone per avvertire Mazzini:”Giuseppe, i carabinieri!”
Mazzini, imperturbabile, si tolse di tasca dei fogli compromettenti e li consegnò alla signora che li nascose in seno, si tolse il sigaro di bocca e lo consegnò al Marchese, poi entrò nella camera da stiro e andò ad infilarsi in un pagliericcio di foglie di granturco messo fra due materassi del letto della cameriera. La cameriera, intenta a stirare, intuì tutto e coperto bene il pagliericcio con il materasso, stese su di esso i camiciotti stirati e inamidati del marchese e i veli bianchi della signora.
Intanto nel salone il delegato di polizia si scusava dicendo:”Chiedo scusa, signor Marchese, ma ho l’ordine di perquisire la casa.”
Il Marchese con sicurezza e con un sorriso affabile si rivolse al maggiordomo:”Accompagna i signori!”
I poliziotti cercarono dappertutto, fecero vari passaggi, rovistarono la casa da cima a fondo e se ne andarono poco convinti e sospettosi.
Mazzini allora si alzò e disse:”Se si fossero trattenuti ancora un po' sarei morto soffocato. Le foglie mi facevano il solletico al naso e ho temuto di dover starnutire.”
Poi ritornò in salotto, si sedette e si accese un altro sigaro mentre al lume di un’antica lucerna a olio, la signora Costanza eseguiva al pianoforte un motivo molto in voga di Giuseppe Verdi, accompagnato dalla calda voce del marito:”Va pensiero... sull’ali dorate....”
Verso mezzanotte la cameriera, agitatissima, entrò nel salone e avvertì:”Sta tornando la polizia”
Col cuore in gola la signora Costanza accompagnò Mazzini al suo nascondiglio e poi raggiunse il marito nel salone, dove il delegato di polizia, con tono gelido e arrogante, con la mazza in mano e la voce inquisitoria stava dicendo:”Signor Marchese, sappiamo con certezza che Mazzini è qui e abbiamo l’ordine di arrestarlo!”
Il marchese, non perdendo la sua calma abituale, amabilmente rispose:”E allora lo trovino ! Lo cerchino pure come e dove vogliono."
Questa volta la ricerca fu più lunga e minuziosa. I carabinieri entrarono anche nello stanzino da stiro e Mazzini trattenne il respiro.
La biancheria, ancora stesa sul materasso, dava un senso di ordine. Gli sbirri guardarono ed uscirono senza toccare nulla, mentre altri poliziotti entrati in alcune camere con letto singolo trapassarono i materassi con la spada e misero a soqquadro gli armadi.
Il delegato era furente e più nervoso lo rendeva l’atteggiamento beffardo del Marchese di cui si vendicò urlando:” La dichiaro in arresto sotto accusa di favoreggiamento di un pericoloso cospiratore”.
La polizia portò via Pareto che canticchiava la Marsigliese.
All’alba Mazzini uscì di casa con la livrea di cameriere e con il volto rasato.
Poi si allontanò rapidamente e giunto alla stazione di Posta chiese un biglietto per Quarto. Poi si infilò nella diligenza che si allontanò.
“Foco, per favore!” e la guardia, gentilmente gli accese il sigaro. Poi salì in carrozza e disse al cocchiere:”A Quarto!”
Mazzini andò a nascondersi in una casa al lido di Quarto. Una mattina, dopo aver scritto e passeggiato per la piccola stanza, uscì di casa, perfettamente truccato da gentiluomo e con l’immancabile sigaro tra le labbra al braccio della padrona di casa; fatti pochi passi gli si avvicinò una guardia che lo pregò di dargli il sigaro per accendere il proprio.
Elusa la guardia, Mazzini entrò in una drogheria molto affollata e dopo essere andato alla toilette, ne uscì travestito da quacquero. Salì in una diligenza che viaggiava verso la Svizzera. Dopo un viaggio lunghissimo passò il confine svizzero, travestito da quacquero, con passaporto americano.