18. lug, 2022
131° post - "PREPARATIVI PER L'UNITA' D'ITALIA" - 4° paragrafo - parte I / 4° capitolo - Dalla seconda guerra d’Indipendenza alla morte di Mazzini (1859-1872)
Dall'almanacco dei martiri del dovere, riportiamo che, come oggi, il 18 luglio 1847, Monsignor Grassellini, Governatore di Roma, sospettato di complicità in una congiura sanfedista per sterminare i liberali, lasciato il governatorato, partì da Roma e si rifugiò a Napoli.
Preparativi per l'Unità d’Italia
Nello stesso momento a Londra a casa di Mazzini passeggiavano per la stanza lo stesso Mazzini, Gustavo Modena, Rosalino Pilo e Aurelio Saffi. Mazzini stava fumando il sigaro e si era seduto sulla poltrona con un gatto sulle ginocchia, che accarezzava.
“E’ inaudito - disse Modena - la conclusione della guerra all’Austria dimostra ancora una volta le vere mire di Napoleone e di Vittorio Emanuele. Il primo non vuole che l’Italia si faccia e che il Piemonte non si ingrandisca troppo. Il secondo si è accontentato di annettere al suo Regno la Lombardia e ha barattato Nizza e la Savoia con i ducati e le Romagne. Il Papa e il Re di Napoli restano al loro posto e l’Austria, che stava perdendo la guerra, si mantiene salda nelle Venezie e nel quadrilatero. Garibaldi, paga a caro prezzo il suo innamoramento per il re piemontese: la sua Nizza regalata alla Francia e la sua corsa con i cacciatori delle Alpi nel Tirolo fermata e resa inutile!” Mazzini si alzò in piedi, mentre il gatto fuggì via:”Si, le nostre profezie si avverano. I monarchi non possono fare la fortuna dei loro sudditi. Ma noi non dobbiamo ripiegare come ha fatto Garibaldi. L’Austria deve essere ricacciata dalle Venezie, da Trieste e dall’Istria. Per l’intanto la nostra parola d’ordine è Al Centro, mirando al Sud. Il piano è già predisposto, i nostri volontari, muovendo dalle Romagne e dalla Toscana libereranno l’Umbria e le Marche per poi, di qui, penetrare in Abruzzo. In Sicilia già tutto è pronto per l’insurrezione e così il re di Napoli sarà circondato dai nostri. Io e Rosalino partiremo subito per Firenze e vedremo di coordinare le operazioni.”
In quegli stessi giorni a Firenze, nel Palazzo del Governo mentre il barone Bettino Ricasoli stava guardando delle carte con il suo segretario, gli disse:”Trasmetta a tutte le prefetture il decreto con cui il Governo Provvisorio ha abolito la pena di morte. Poi mandi al Commissario del re Vittorio il testo di questo decreto che dovrà essere firmato da lui e dal nostro ministro della guerra, Malenchini e degli Affari esteri, Ridolfi: Il Governo della Toscana decreta:
Art.1: Tanto per l’Esercito, quanto per la Marina da guerra e mercantile, unica bandiera dello Stato sarà da qui innanzi la bandiera tricolore Italiana.
Art.2: I tre colori nazionali saranno disposti in liste verticali nell’ordine seguente: il verde all’asta, il bianco in mezzo, il rosso fuori:
Articolo 3 I Ministri della guerra e degli Affari esteri sono incaricati per la parte che spetta a ciascuno, della esecuzione del presente decreto. Dato in Firenze ecc. ecc.
“Governatore - disse a quel punto il segretario - le ricordo che fuori, in attesa vi è l’inviato di Cipriani Governatore delle Romagne, il Direttore della Pubblica Sicurezza Carletti” “Bene, faccia entrare, sentiamo cos’ha di tanto importante da comunicarmi il Governatore di Bologna.”
Il Segretario fece entrare Carletti che esordì dicendo:”Il nostro Governatore mi manda a dire che nel caso Mazzini comparisse a Bologna ha preso tutte le disposizioni per arrestarlo e se Mazzini verrà arrestato, lo farà giudicare da un consiglio di guerra e di Mazzini non se ne parlerà più. Ma essendo più probabile che rimanga a Firenze, il Governatore ha mandato me per arrestare Mazzini, secondo il piano che le illustrerò. Ho qui con me e la consegno a sua eccellenza, una lettera del dottor Cipriani con la richiesta dell’arresto di un individuo chiamato Giuseppe Bruno, il quale ha commesso un furto di arredi sacri di grandissimo valore nella chiesa di San Michele di Bologna, la notte tra il 16 e il 17 correnti. Solo noi sappiamo che il supposto ladro è invece Mazzini ed il soccorso che la polizia toscana mi presterà sarà per l’arresto di un colpevole di furto sacrilego con altro nome. Appena avrò il Mazzini lo condurrò a Bologna, e lei sarà vittima del mio inganno. Il dottor Cipriani, la prega di credere che, in un modo o nell’altro, se quell’uomo fatale non sparisce, non passerà un mese che l’Italia Centrale sarà nelle sue mani.”
Il giorno dopo Mazzini andò a colloquio dal barone Ricasoli, governatore della Toscana che si rivolse a Mazzini:”Come lei sa, signor Mazzini, la Toscana si accinge, con un plebiscito a unirsi al Piemonte e io sono amico di Cavour e mi sento tenuto a seguire la politica del governo piemontese anche in vista della futura proclamazione del regno d’Italia. Tuttavia, nonostante quel che pensa Cavour di Lei e delle sue azioni, ho stima in lei e glielo dimostro. Il governatore delle Romagne, anch’esso legato a Cavour, Cipriani, mi chiede di farla arrestare o di consentire che con un pretesto che io giudico però miserabile, io consenta ai suoi agenti di arrestarla, così che lei possa essere messo definitivamente a non nuocere, dato che sul suo capo gravano ben due condanne a morte del fisco piemontese. L’ho fatta chiamare per garantirle la mia protezione, almeno fino a che le condizioni me lo consentiranno, e la possibilità di rimanere in Toscana, purché lei stia calmo e non provochi disordini. Mazzini rispose:”Io la ringrazio e contraccambio la stima; ma sono venuto da lei non per chiedere protezione, ma per esporle il nostro piano che mira a raggiungere una volta per tutte l’unità del nostro Paese, pur sotto la dinastia dei Savoia. Io sono, fui e sarò anzitutto unitario. Ma io credo anche che la situazione generale, in Europa e in Italia, sia favorevole ad una iniziativa risolutiva per la conquista dell’unità: un’azione che parta dalle Romagne attraverso alle Marche, all’Umbria, agli Abruzzi, mentre la Sicilia insorge: noi abbiamo già predisposto il terreno. Il generale Fanti, capo delle forze coordinate dei governi provvisori degli ex ducati si è dichiarato favorevole a questo piano e così pure Garibaldi, suo secondo, comandante delle forze toscane, che staziona, impaziente, alla Cattolica in Romagna.” Ricasoli lo interruppe:”Mazzini, io l’ammiro per la sua tenacia, ma lei corre troppo. Io credo che ora debba consolidarsi l’annessione dei ducati e delle Romagne al Piemonte superando i non lievi ostacoli che ancora stanno su questa strada e inoltre è troppo presto per inimicarci la Francia e ritrovarci nuovamente addosso l’Austria. “Barone, lei è stato chiaro” replicò Mazzini. “Ovviamente io dissento da lei e non mi fermerò di certo, comunque il Governo toscano non dovrà temere da me alcun turbamento dell’ordine interno. Partirò quanto prima”. “Le devo allora augurare buona fortuna. Le farò avere un passaporto in bianco in modo che possa viaggiare senza problemi.” “La ringrazio, ma non mi occorrono passaporti” e con queste parole Mazzini si congedò.
A Firenze, nel suo alloggio presso una locanda, Mazzini era pronto alla partenza. Entrò il cameriere che l’avvisò che la carrozza che aveva ordinato era in strada. Mazzini annuì con un cenno, mentre ripassò in silenzio la lettera che aveva appena finito di scrivere a Vittorio Emanuele di Savoia. Questo il suo tenore:”Maestà, io vi esorto a liberarvi dall’asservimento a Luigi Napoleone, come vi siete liberato di Cavour. Rompete ogni indugio e perplessità, ed affidatevi senza timore alla rivoluzione. Senza il popolo non si fonda, in Italia, l’Unità. Osate la continuazione della guerra, interrotta a Villafranca e rinunciate alla corona del Piemonte per cingere la corona d’Italia. Io, repubblicano, che mi appresto a tornare in esilio per serbare intatta fino al sepolcro la fede della mia giovinezza, esclamerò nondimeno coi miei fratelli di Patria: Presidente o Re, Dio benedica voi come la nazione per la quale osaste e vinceste.”
La settimana seguente a Torino nel Palazzo Reale nello studio di Vittorio Emanuele si trovava il primo ministro Rattazzi, che accompagnato da Brofferio, salutò il Re con un leggero inchino. Maestà - disse Rattazzi - la ringrazio per l’udienza che ci ha concessa: sto per fare una cosa che il mio predecessore Conte di Cavour non si sarebbe mai sognato di fare. Le presento il mazziniano Brofferio che è stato delegato da Mazzini a discutere della possibilità di trovare un compromesso onorevole tra repubblicani e monarchici.” “Ho già letto attentamente la lettera che quel diavolo d’un Mazzini mi ha inviato - rispose Vittorio Emanuele - e che si è premurato di fare avere anche ai giornali. Salutate Mazzini per me. Ditegli che ho letto con piacere i suoi scritti e che apprezzo le sue buone intenzioni. Desidererei solo una cosa”. ”Quale Maestà?” chiese Brofferio. “Mazzini mi vuol dare sulla carta cinquecentomila uomini per liberare l’Italia. Io sono più discreto. Mi contenterei di duecentocinquantamila uomini ma di uomini reali, non sulla carta.” “Sire - replicò Brofferio - io mi faccio garante che il popolo italiano, eliminata la consorteria dei falsi liberali che lo addormentano, farà miracoli”. “Ebbene, allora questo popolo si svegli e vedremo” disse il re. “Vorrebbe ella permettermi di domandare un incontro a Mazzini per tradurre in pratica le sue proposte?” propose Brofferio. “Ma che? Egli è in Piemonte? Ditegli di stare in guardia che pendono sul suo capo ben tre condanne a morte” rispose risoluto Vittorio Emanuele. “Vostra maestà non vorrebbe certamente farlo arrestare!” accennò il mazziniano. “Io no davvero. Ma se lo sapesse l’avvocato fiscale?” “Perché il Fisco non lo sappia e se Vostra Maestà me lo permette, io lo inviterò nella mia villa alla Verbanella nel Canton Ticino, dove metteremo insieme le basi della pace fra la Repubblica e la Monarchia, senza che una sia divorata dall’altra.” Vittorio Emanuele:” Permesso concesso”.
Il giorno dopo, una carrozza correva velocemente sulla strada che porta al Canton Ticino. In carrozza c’era Mazzini che leggeva il giornale. Improvvisamente la carrozza si fermò e Mazzini aprì i tendini e chiese spiegazioni a due uomini a cavallo. Uno di essi parlò a Mazzini: “Signor Mazzini, veniamo dalla Verbanella da parte del signor Brofferio. La polizia che ha circondato la villa la sta aspettando con l’ordine di arrestarla. Non prosegua oltre. Sembra che l’Austria informata del suo prossimo incontro con il Re del Piemonte abbia chiesto il suo arresto e la sua estradizione minacciando ancora una volta il Governo della Confederazione. Anche se questo si mostra incerto sul da farsi, ha dato l’ordine di arrestarla e il signor Brofferio le manda a dire che è meglio non rischiare e che ha già provveduto ad informare Vittorio Emanuele che l’incontro è rinviato”. “É destino che io non debba incontrarmi con i re” commentò ad alta voce Mazzini. La carrozza lentamente manovrò e riprese la corsa in direzione opposta.
La settimana successiva, il siciliano Crispi era andato in visita a Mazzini nella sua casa a Londra. I due amici si abbracciarono e si strinsero la mano. Mazzini gli disse:”ho ricevuto le tue lettere. Allora tu mi confermi che la Sicilia è pronta, che i Comitati sono stati ricostituiti in ogni provincia e aspettano solo il segnale. Dobbiamo cercare di coinvolgere Vittorio Emanuele affinché accetti di mandare l’esercito. L’azione deve essere coordinata, alla rivoluzione interna deve corrispondere l’invasione esterna, dal mare e da terra verso la capitale del Regno di Napoli. Io non posso muovermi senza che le spie lo sappiano e ci ostacolino. Ne parlerò con Garibaldi che sarebbe un magnifico duce. Intanto ti manderò il giovine Rosalino Pilo a preparargli la strada e, qualora Garibaldi tentennasse ancora, a sostituirlo al comando dei volontari che Nicotera condurrà in Sicilia con i piroscafi che noleggeremo. Tu intanto vai a Torino e vedi di convincere gli altri.”
A Torino, nella sede della Società Italiana, Crispi era andato a colloquio con La Farina, segretario della Società che raggruppava i repubblicani dissidenti e i moderati fedeli a Cavour. Crispi comunicò a La Farina:”Tutto è pronto in Sicilia, il progetto lo conosci, ne hai parlato con gli altri?” “Non se ne parla proprio. Il momento non è ancora propizio e Cavour non vuole indispettire Napoleone e l’Austria.” rispose il segretario. Indipendentemente dall’obiezione posta da La Farina, Crispi coi Mille e Garibaldi si imbarcarono a Quarto in Liguria. Appena raggiunta la Sicilia, i garibaldini iniziarono con i picciotti i moti e i combattimenti per scacciare i borboni.