Noi repubblicani: da dove veniamo 1897 - 1898

24. Il programma del Partito repubblicano italiano deliberato nel Congresso del 1897

Il Partito repubblicano …..tende, secondo la formula “libertà di associazione” a riunire il capitale e il lavoro nelle stesse mani ed a trasformare gli asserviti del salario in liberi lavoratori che, per mezzo del lavoro associato, conseguano l'intero frutto della loro opera; qualora non fosse possibile si propugna la partecipazione dell'operaio alla gestione dell'impresa e alla partecipazione degli utili......Il PRI nulla spera di ottenere dagli attuali istituti, ma decide di valersi delle elezioni amministrative e politiche per diffondere e portare avanti il proprio programma”

Il Congresso approva a grande maggioranza lo statuto e il programma politico scritto da Bovio:

-suffragio universale; -istituzione dei referendum popolari; - abolizione dello Statuto Albertino e insediamento di un'Assemblea costituente al fine di produrre una nuova Costituzione; - elettività della magistratura e delle giurie popolari; - scuola di base obbligatoria, gratuita e laica; - nazione armata (esercito di leva); - autonomie ampie di regioni e comuni, abolizione delle province e soprattutto dei prefetti.

La questione sociale assume un carattere permanente. Il congresso decide infine: “E' nostro dovere proporre ed aiutare tutti quei disegni di legge sociale che emancipando il lavoro, redimono le plebi.

Un gruppo di dissidenti astensionisti intransigenti, insurrezionalisti, guidati da Felice Albani, esce dal PRI e fonda il Partito mazziniano.

La recessione economica generale collegata alla guerra ispano-americana e alla disastrosa spedizione africana voluta da Crispi, il cattivo raccolto del grano e la difficoltà d'importazione per gli alti dazi, causano un aumento del prezzo del pane e degli altri generi di prima necessità. Il prezzo del pane sale da 30 a 50 cent.: quasi mezza giornata lavorativa di in operaio comune.

Tra la fine del 1897 ed il maggio del 1898 scoppiano una serie di scioperi (oltre 100) tra i braccianti del Polesine, i risaioli della Bassa padana ed i boari della Lomellina, ci sono disordini al grido di “pane e lavoro” (assalti ai forni, agli uffici comunali, alle case dei ricchi) nelle Marche, in Romagna, Toscana, Campania, Puglia, Sicilia. Si proclamano scioperi politici nelle grandi città come Roma e Firenze. E' la “rivolta del pane”: per il governo sono rivolte social-anarco-repubblicane, ma invece vari dirigenti politici delle tre forze popolari cercarono con ogni mezzo di calmare gli animi.

Il governo del Di Rudinì, sostiene gli agrari, scioglie il PSI, fa chiudere numerosi comitati cattolici, le leghe di resistenza, sezioni repubblicane, sospende molti giornali, arresta sindacalisti, dirigenti socialisti (Turati, Bissolati, Costa, Kulischoff...) repubblicani (De Andreis, Federici, Zavattari, Caprotti, Arconati...), democristiani (Albertario).

Il 6 marzo del '98 Felice Cavallotti, viene ucciso da un deputato clericale e direttore di un giornale conservatore al suo trentaduesimo duello.

Cavallotti era considerato la guida dell'Estrema sinistra, l'unico uomo capace di convincere borghesia e proletariato a collaborare per il bene del paese; l'unico uomo politico che era stato capace di opporsi all'autoritarismo di Crispi. Dopo di lui la guida dell'Estrema sinistra passa ai socialisti.

Nel mese di maggio del 1898 a Milano, durante i tumulti vengono uccisi due gendarmi ed il generale Bava-Beccaris spara sulla folla inerme con l'artiglieria provocando ottanta morti e cinquecento feriti. Nel corso dei disordini e degli scioperi per il “caro Pane” erano stati uccisi 130 cittadini, feriti centinaia, arrestati migliaia. Tre morti fra le forze dell'ordine.

Il re concede a Bava- Beccaris la Gran Croce dell'Ordine di Savoia per i servizi resi “alle istituzioni della civiltà”.

Finalmente la borghesia capitalista si sente tranquilla: i “sovversivi”, ovvero il movimento operaio, sono stati definitivamente schiacciati... così credono (il prezzo di un chilo di pane si è attestato a 45 cent. mentre il salario medio giornaliero di un operaio ammonta a lire 1,50).

Nelle elezioni amministrative si formano “blocchi popolari” che ottengono vistosi successi tra cui la conquista del Municipio di Milano.

 

25. I disordini per “pane e lavoro” in Romagna: il ruolo della Consociazione romagnola

Ci siamo permessi, finora, di guardare al passato, anziché di guardare al futuro - come qualcuno ci consiglia ancora – dopo aver visto, purtroppo, il presente.

Ci si permetta allora, e ancora, una divagazione – questa volta romagnola - nel nostro (inutile ?!) excursus sul Partito nazionale, che del resto aveva in Romagna la sua base più consistente.

La prima avvisaglia dello scontento si ebbe, in Romagna, a Forlì il 13 novembre 1897, allorchè frotte di donne coi loro bambini diedero l'assalto alle banchette dei rivenditori del pane, alle botteghe, ai forni. E fu di eccezionale gravità dato che si era ancora all'inizio dell'inverno. E anche a Lugo e a Molinella si ebbero dimostrazioni.” * “Il grido è dappertutto uguale – scrive su Il Pensiero Romagnolo del 19.12.1897, Pio Schinettivogliamo lavoro, il grido dell'estate scorsa. E chi potrà dare lavoro? I prefetti ricevono commisssioni, prodigano buone parole e rinforzano i presidii dei carabinieri: perchè questa è l'ultima ragione dello Stato: armare la forza contro la miseria......Ciò che si prepara in Romagna, se non a breve scadenza, certo nel prossimo futuro, è protesta sanguinosa della fame. I pretori possono ben condannare i ladruncoli di legna nei campi; i delegati possono ammonire e sorvegliare i turbolenti sorpresi nel pronunciare una bestemmia; può il filo elettrico da Roma ordinare lo scioglimento dei Circoli Elettorali; la miseria non scema per questo e verrà l'ora dei tumulti. Non sarà una rivolta. La plebe dei malnutriti si affollerà a gridare confusamente: un soldato di linea, sparando in aria, stenderà al suolo qualcuno dei più vicini. E allora i giornali pietosi si commuoveranno, quelli della questura denunzieranno i sobillatori, i repubblicani e i socialisti faranno una sottoscrizione per le famiglie delle vittime.......”

Le autorità grandi cose non potevano farle, data la mancanza di mezzi...ma non intuirono le conseguenze della loro inazione, così precisamente delineate da Schinetti (ma lui era repubblicano e portato perciò con facilità ad esagerare e a preannunciare catastrofi).

Si ebbero altre dimostrazioni a Forlì e a Ravenna, a Faenza, a Cesena, a Savignano, a Santarcangelo, a Mezzano.

E non si creda – scrisse Il Pensiero Romagnolo il 9 febbraio 1898 – che queste dimostrazioni di affamati siano artificiose e si debbano ai partiti popolari; i partiti popolari, se in qualche luogo vi hanno parte, vi han parte come moderatori: altrimenti se ritenessero utile l'azione violenta, forti come sono in Romagna, a quest'ora le cose avrebbero preso una piega ben diversa.”

Nell'aprile la tensione si acuì maggiormente; non si ebbero gravi dimostrazioni in nessun centro romagnolo, ma l'agitazione divenne sempre più minacciosa, anche se latente, mentre il prezzo del grano continuava ad aumentare ulteriormente.

La prima esplosione in Italia del ribollimento provocato dall'aumento del prezzo del grano e quindi della farina e del pane avvenne quindi in Romagna e fu la prima di quelle che nei successivi quindici giorni scoppiarono ovunque e che passarono alla storia come i Moti del '98.

La mattina del 25 aprile, a Faenza, varie decine di donne si recarono davanti al Municipio per esporre la loro misera situazione. La risposta della Giunta comunale che promise “di studiare il modo” di portare un qualche lenimento alle sofferenze delle famiglie più indigenti, non soddisfece e il pomeriggio ci fu una nuova dimostrazione, sempre iniziata da sole donne. Ci furono i rituali tre squilli di tromba fatti ripetutamente suonare dalle autorità per intimare lo scioglimento e i carabinieri e le guardie cercarono invano di disperdere i dimostranti. Si alzarono le barricate e si disselciarono le strade per utilizzare le pietre da lanciare contro la cavalleria, anch'essa intervenuta; infranti i vetri di qualche negozio. Solo verso le 21 il tumulto si placò dopo che il sottoprefetto assicurò i dimostranti che avrebbe interessato il Governo. La Giunta comunale in un manifesto assicurò che il prezzo del pane sarebbe rimasto a 38 cent. al chilo “ad onta del continuo rincaro del grano...”

Ma la mattina dopo la dimostrazione riprese, i manifesti furono strappati e i dimostranti si diressero verso le case delle famiglie cattoliche o liberali più in vista, tentando di penetrarvi, ma riuscirono a penetrare solo in una, che fu devastata: nelle altre trenta furono rotti i vetri alle finestre e appiccato il fuoco alle tende del pianterreno.

In quasi tutti i comuni romagnoli si susseguirono i tumulti e le Giunte comunali ridussero il prezzo del pane. A Rimini si stabilì addirittura di venderlo a 30 cent. il chilo, ma il 1° maggio, dopo che tutte le provviste erano finite dal momento che i cittadini ne avevano fatto scorta, alle 9 tutti i forni non avevano più pane.

Ripresero i tumulti, come in tutte le altre città e centri più o meno grandi e il 5 maggio i Prefetti annunciarono il passaggio dei poteri al comandante del 6° corpo d'armata che aveva sede a Bologna e comunicavano il divieto assoluto di tutte le riunioni e gli assembramenti.

I gravissimi disordini del 6 maggio a Firenze, del 7, 8 e 9 a Milano e del 9 a Napoli con la repressione sanguinosa che se ne ebbe e con la proclamazione degli stati d'assedio indussero il governo, convinto che fosse in corso una cospirazione, a misure di repressione politica che furono immediatamente attuate anche in Romagna.

Il 15 furono sciolti a Forlì la Consociazione Repubblicana Romagnola, il Circolo Mazzini la Lega socialista e tutte le altre società e circoli repubblicani, socialisti ed anarchici. I carabinieri entrarono nelle sedi e sequestrarono le bandiere, i documenti e tutto quel che trovavano. Furono sospese le pubblicazioni di tutti i giornali repubblicani: il Pensiero Romagnolo a Forlì, la Vedetta a Lugo, il Marecchia a Rimini: solo il Lamone di Faenza fu risparmiato.

Il segretario del Partito, Giuseppe Gaudenzi, sin dai primi giorni convocò clandestinamente i dirigenti repubblicani della regione e ordinò loro di procurarsi altri locali e di costituire false società ricreative; la cosa non riuscì per il divieto della polizia, e si ricorse allora a periodiche riunioni clandestine.

Ma già nell'agosto la vita politica accennava a riprendersi. Il nuovo governo Pelloux, parve avviarsi al superamento delle eccezionali misure di sicurezza. Il 1° ottobre Gaudenzi potè far uscire nuovamente Il Pensiero Romagnolo mentre il 16 uscì la Vedetta di Lugo e il 24 dicembre a Rimini il primo numero de Il Martello, che continuava il soppresso Marecchia.

*Luigi Lotti, I Repubblicani in Romagna dal 1894 al 1915, Faenza, Lega Editori, 1957

 

 

in "contnua 1899 - 1900"