Il PRI contro il fascismo e la dittarura

41. Il PRI contro il fascismo

Dopo la marcia su Roma i repubblicani cercarono di favorire la formazione di movimenti che in qualche modo potessero rimediare alla rigidità e alla pesantezza degli schemi secondo i quali nel dopoguerra si erano mossi quasi tutti i partiti politici. Così, mentre Oliviero Zuccarini tentava di fare della sua rivista, La Critica Politica, il punto di aggregazione di tutte le forze autonomistiche, Randolfo Pacciardi fondava l'associazione combattentistica Italia Libera, alla quale aderì la parte migliore e più decisa dell'antifascismo militante, da Carlo RosselliErnesto Rossi, e che sarà una delle prime organizzazioni antifasciste a subire i rigori della linea dura lanciata da Mussolini con il discorso del 3 gennaio 1925.

In questi anni l'obiettivo del PRI fu quello di unire intorno al tema delle libertà del Paese forze e settori che si richiamavano ai principi del liberalismo.

Ai repubblicani non sfuggiva, infatti, che la battaglia contro il fascismo poteva essere vinta solo se i partiti della democrazia fossero riusciti a recuperare terreno presso quei settori della società - i combattenti e il ceto medio - che si erano lasciati attrarre dal fascismo anche a causa dell'ostinazione con cui i massimalisti avevano rifiutato la riconciliazione tra neutralisti e interventisti. Ma anche in questo caso lo sforzo dei repubblicani era uno sforzo disperato, che doveva fare i conti con un liberalesimo , nettamente conservatore, che aveva sì esaltato i valori della libertà, ma sottovalutando il dato istituzionale, si era chiuso nell'astrattezza, non aveva saputo allargare i propri orizzonti ad una concezione attiva e dinamica delle libertà, nè era stato in grado di riconoscere il vincolo solidale che tutte le unisce, sia quelle economiche, sia quelle politiche.

Questo spiega come mai solo alcuni settori, peraltro marginali, del liberalisimo, trovarono la forza e la capacità di opporsi al fascismo, mentre altri, ben più consistenti, non solo votarono la fiducia al primo governo Mussolini, ma aderirono addirittura al listone fascista, in occasione delle elezioni del 1924: quelle stesse elezioni che si svolsero in un clima di violenza tale da indurre il PRI a sospendere ogni attività di propaganda e che Giacomo Matteotti denuncierà nel suo ultimo discorso parlamentare, poco prima di essere ucciso proprio a causa di questa sua coraggiosa denuncia.

 

42. La lotta alla dittatura

Fallito anche l'ultimo tentativo fatto dai repubblicani nella seconda metà del 1925, dopo l'inevitabile sfaldamento dell'Aventino, allo scopo di promuovere la formazione di una Concentrazione repubblicano-socialista, per la cui realizzazione si battè anche Carlo Rosselli, il 30 ottobre 1926 assestava alle forze di opposizione il colpo decisivo. Tutti i partiti e tutti i giornali dell'opposizione furono soppressi. Per sfuggire all'arresto numerosi militanti e dirigenti del PRI furono costretti a prendere la via dell'esilio, mentre non pochi erano i repubblicani inviati al confino o arrestati per la loro attività antifascista.

Nella lotta contro il regime il PRI non si chiuse in se stesso, ma cercò di stabilire le più larghe alleanze tra tutte le forze democratiche, mostrandosi disponibile a rinunciare alla propria autonomia. I repubblicani sentirono che la lotta per la riconquista della libertà non poteva essere subordinata a interessi di parte. Sicchè, proprio mentre altri partiti si chiudevano nel settarismo più cieco che screditava tutto l'antifascismo e rafforzava il regime, il PRI invitava i suoi iscritti rimasti in Italia ad aderire al movimento di Giustizia e Libertà, che nasce e si sviluppa come movimento di lotta grazie al contributo dei militanti repubblicani, la cui presenza in numerose zone è senz'altro prevalente.

Nella primavera del 1927 i repubblicani aderirono alla Concentrazione Antifascista, anche se avvertivano i limiti di una organizzazione che sembrava intenzionata a muoversi secondo gli schemi dell'Aventino. Di qui la lotta costante perchè la Concentrazione abbandonasse l'illusione legalitaria, la speranza, cioè, che l'Italia potesse riconquistare la propria libertà, non con le forze del suo popolo, ma in virtù dell'intervento della dinastia.

Grazie a quell'idealismo pratico che li ha sempre contraddistinti, i repubblicani, prima e meglio di ogni altra forza politica, compresero che la lotta contro il fascismo era una lotta che non sarebbe stata nè breve nè facile e andava condotta anche a prezzo di sacrifici che potevano sembrare sproporzionati rispetto agli obiettivi immediatamente raggiungibili. Tra il 1927 e il 1932 tutte, o quasi tutte, le azioni di lotta contro il fascismo furono azioni portate a termine col contributo determinante dei repubblicani. Ma i repubblicani compresero anche che la lotta per la riconquista della libertà era subordinata al consolidamento delle democrazie europee, quasi dovunque minacciate da ricorrenti tentativi autoritari. Per sconfiggere il nazionalismo, diventato il punto di coagulo di tutti gli autoritarismi, bisognava intensificare l'impegno europeista; ed è così che il patto unitario stretto con i repubblicani spagnoli nell'ottobre del 1928 si conclude con l'impegno di lavorare per la formazione degli Stati Uniti d'Europa, premessa indispensabile di ogni più vasto ordinamento della vita internazionale dei popoli.

Gli anni del fascismo non segnarono un arresto del dibattito interno e il PRI non mancò d'interrogarsi sui problemi posti dalla nascita della società industriale. La testimonianza di questo dibattito ci viene da un documento approvato dalla sezione di Parigi nel 1931, dove si legge:"Lo Stato moderno, con gli sviluppi formidabili della tecnica produttiva, col ritmo più celere della distribuzione dei consumi, col moltiplicarsi indefinito delle forme di attività dei singoli e dei gruppi, non può restare assente dal gioco degli interessi contrastanti. Quando si manifesta, come nei tempi moderni, con frequenza preoccupante, il fenomeno dei gruppi economici che assumono proporzioni gigantesche e minacciano di imporre la loro potenza plutocratica all'autorità stessa degli Stati e che diventano pericoli per gli istituti della democrazia e pe la pace fra le nazioni, è chiaro che lo Stato deve essere munito di ampi poteri di controllo, per impedire le possibili sopraffazioni di queste forze particolari sui diritti e le libertà collettive."

 

43. Oggi in Spagna, domani in Italia

Dei tre partiti antifascisti che conservarono la propria struttura durante tutto il ventennio, il PRI fu l'unico a non poter contare su appoggi di natura internazionale. Ma proprio questo permise ai repubblicani di superare la crisi esplosa negli "anni del consenso".

Fu grazie a una completa indipendenza da ogni condizionamento di carattere internazionale, che gli esuli repubblicani potessero essere i primi a raccogliere l'appello lanciato da Carlo Rosselli nell'estate del 1936: "Oggi in Ispagna, domani in Italia!". Accorrendo in difesa della libertà della Spagna i militanti repubblicani rinnovarono un'antica tradizione garibaldina e resero onore al monito pronunciato da Eugenio Chiesa in punto di morte:"Soprattutto pensate all'azione". Ma la loro partenza non avveniva solamente all'insegna di romantici impulsi emotivi. I repubblicani non accorrevano in Spagna alla ricerca di "una bella morte". Aveva infatti questa spontanea, non sollecitata risposta all'appello di Carlo Rosselli (con il quale, pure, essi avevano avuto polemiche assai dure), un profondo significato politico, giacchè si accompagnava ad un ben più cauto atteggiamento dei partiti di massa, che solo dopo la morte del leader del PRI Mario Angeloni si sarebbero decisi all'intervento. E proprio nel momento in cui con la travolgente avanzata nazista più oscuro si faceva l'orizzonte politico dell'Europa, si ricostituiva una solidarietà di forze democratiche che non a caso vedeva in prima fila i repubblicani e gli uomini di Giustizia e Libertà, un movimento che si richiamava, al pari del PRI, ai principi della democrazia risorgimentale. Del resto una significativa conferma della centralità del PRI nella lotta contro il fascismo verrà proprio dai partiti di massa che vorranno al comando del battaglione Garibaldi il repubblicano Pacciardi.

Con la guerra di Spagna l'Europa si avvicina alla seconda guerra mondiale. Nel 1940 l'invasione nazista della Francia provocò la dispersione del gruppo dirigente repubblicano. I contatti, già tanto precari e difficili, fra i diversi gruppi ancora operanti furono interrotti, e i militanti repubblicani si trovarono ad affrontare la dura realtà della guerra senza un centro operativo capace di unificare e dirigere la loro volontà di riscossa democratica. Di conseguenza, intorno al 1942, mentre in alcune regioni uomini delle vecchie e nuove generazioni confluivano nel Partito d'Azione, che venne visto quasi come un prolungamento di Giustizia e Libertà e di un impegno unitario di cui per primi proprio i repubblicani avevano avvertito l'esigenza, in altre zone la base ritenne di non poter sacrificare l'autonomia politica del vecchio partito della democrazia risorgimentale ad un esperimento, generoso e suggestivo, ma destinato a cadere al momento della normalizzazione della vita politica.

Giovanni ContiOliviero Zuccarini furono con Cino Macrelli i più decisi a sostenere questa seconda soluzione. La loro volontà di volere ricostruire il PRI doveva del resto trovare una prima conferma nelle ambiguità che vennero a manifestarsi in seno ai partiti antifascisti dopo il Congresso di Bari del 1944, che segnò il passaggio dalla coalizione antifascista, dalla tesi della decadenza della monarchia, a quella della tregua istituzionale, secondo un'impostazione che veniva dai governi alleati, nessuno escluso.

 

44. Dalla Liberazione alla Repubblica

in "1944 - 1948"