10. lug, 2022

123° post - "TITO SPERI E L'INSURREZIONE" - 4° paragrafo - parte II / 3° capitolo - I moti mazziniani dal 1852 al tentativo di Carlo Pisacane (1852-1858)

Dall'almanacco dei martiri del dovere, riportiamo che, come oggi, il 10 luglio 1844 la Commissione militare istituita in Cosenza per giudicare i rivoluzionari mazziniani del 15 marzo: condannò a morte col terzo grado di pubblico esempio Pietro Villacci di Napoli di anni 26, Raffaele Camodeca di Castroregio (Cosenza) di anni 23 studente, Gianfelice Pietrazzi di anni 34, proprietario, Giuseppe Franzese, proprietario di anni 44, Federico Franzese di anni 25 proprietario, tutti di Cerzeto (Cosenza), Nicola Corigliano di anni 30 agrimensore e Antonio Raho legale di 30 anni di Cosenza, Francesco Stella sacerdote di anni 28 di Rende (Cosenza), Sante Cesareo proprietario di anni 26 e Francesco Parise di anni 24 ferraio di San Fili (Cosenza), Francesco Tavolaro di anni 21, possidente di S.Benedetto Mano, Vincenzo Barei di anni 30, bracciante, Giuseppe Tavolato Costa, di anni 25 bracciante, Saverio Fullone di anni 45 falegname, Giovanni Manes di anni 28 bracciante, Orazio Fullone di anni 22 falegname, Antonio Pinola di anni 35 porcaro, Gaetano Barci di anni 34 bracciante, tutti di San Benedetto Ulloa.
Tito Speri e l'insurrezione nazionale - seconda parte
Mazzini, scriveva dalla sua stanza a Lugano una lettera a Pier Fortunato Calvi, anch’esso a Lugano:”Caro Calvi, non credo vogliate giudicare leggermente di un fatto non riuscito, ma che aveva tutti gli elementi della riuscita. Volete durare in contatto con me? In tal caso, affido al vostro onore le condizioni seguenti: segreto assoluto con tutti per parte vostra. Mostratevi scorato: dite anche male di me, se credete. Rimanga ogni cosa segreta. Valtellina, Tirolo, le provincie vostre e Venezia: hanno da essere questi i punti ai quali si ha da volgere ora esclusivamente la nostra attenzione. Non ho risorse; ma se potrò via via disporre di qualche somma e di qualche materiale, ne avrete voi, cioè la provincia vostra e parte il Tirolo. Credetemi…” Nel parco del Castello, a Milano furono erette cinque forche. Dal Castello scortati due a destra e due a sinistra, dai soldati austriaci, uscirono 6 uomini con i ferri ai polsi e si fermarono sotto alle forche. Davanti a loro si pose un ufficiale che lesse a voce alta da un foglio:”Oggi, 8 febbraio 1853, Bigatti Eligio, Faccioli Cesare, Canevari Pietro, Piazza Luigi, Piazza Camillo, Silva Alessandro, per aver partecipato alla sommossa di due giorni fa a Milano, per essere stati arrestati con il possesso di armi e quindi complici nell’uccisione di 10 soldati dell’Imperial Regio esercito sarete testè appiccati per ordine del Feldmaresciallo Radetzky. Si proceda." I tamburi cominciarono a rullare e i sei prigionieri vennero portati sotto le forche dove li attendeva il boia. Questi ebbe un attimo di esitazione, poi raggiunse l’Ufficiale e gli bisbigliò qualcosa all’orecchio. L’Ufficiale allora mise una mano sulla spalla di uno dei sei e lo trascinò più lontano dicendogli:”Sei fortunato, le forche sono cinque e voi sei, quindi sarai fucilato”. Quattro giorni dopo, sempre nello spiazzo di fianco alla Porta Tosa, a Milano si replicò un’altra esecuzione. A Mantova la piazza delle erbe era piena di cittadini che parlavano sommessamente tra di loro, quando uscì dal palazzo un banditore che iniziò a dire:”Udite, udite. Si pubblica oggi 28 febbraio 1853 la sentenza del Consiglio di guerra che condanna a morte da eseguirsi con la forca: Attilio Mori di Mantova di anni 43, il sacerdote Ferdinando Bosio di Castiglione dello Stiviere di anni 29, Omero Zannucchi capitano delle bande garibaldine, di Mantova di anni 39, il conte Carlo Montanari ingegnere di Verona di anni 42, il dottor Antonio Lazzari di Milano di anni 31, Alberto Cavalletto ingegnere di Padova di anni 39, Cesconi Domenico libraio di Verona di anni 49, Tito Speri licenziato in legge di Brescia di anni 27, Nuvolari Giovanni possidente di Barbasso di anni 46, don Bartolomeo Grazioli di Fontanella arciprete di Revere di anni 46, Domenico Fernelli di Mantova sensale di anni 28, Lisiade Pedroni di Gonzaga d’anni 23, Giovanni Malaman ingegnere di Venezia d’anni 28, Luigi Dolci possidente di Verona d’anni 46, Carlo Augusto Fattori impiegato di Venezia d’anni 33, Annibale Bisesti stampatore di Verona d’anni 46, Giovanni Vergani recte Swoboda incisore di Strassnitz d’anni 28, Carlo Marchi maestro di Poggio d’anni 32, Girolamo Caliari ingegnere di Verona di anni 48, Pietro Paolo Arvedi negoziante di Verona d’anni 45, Pietro Gyorfy sergente ungherese di anni 25, Luigi Walla sergente ungherese di anni 25, Giovanni Kiraly sottocaporale ungherese di anni 25. Ad anni 18 di carcere in ferri: Finzi Giuseppe di Rivarolo possidente d’anni 36, Pastro dottor Luigi di Selva di anni 30 medico. Ad otto anni Donatelli Augusto spedizioniere di Verona d’anni 44. Ad anni 25 Semenza Luigi di Castel S. Angelo di anni 31 negoziante. Poiché il comandante in capo delle Imperial regie truppe austriache in Milano si è degnato di tramutare la condanna a morte per venti dei ventitré condannati, al carcere duro, oggi stesso saranno condotti nella fossa di Belfiore per esservi appiccati Carlo nobil conte Montanari, Tito Speri e Bartolo arciprete Grazioli.” Ad esecuzione avvenuta dei tre impiccati, iniziò un pellegrinaggio di cittadini che depose fiori ai piedi del supplizio. Il sedici marzo 1853 si ripetè ancora la scena dell’ impiccagione: furono impiccati, per sentenza del Giudizio statario, Angelo Galimberti d’anni 33 calzolaio, Angelo Bissi detto Babao d’anni 32 facchino, Colla Pietro detto Diavolin d’anni 25 facchino, per aver preso parte alla sommossa del 6 febbraio. Se a Milano e Mantova si piangevano gli assassinati, a Ferrara non si poteva fare diversamente. Il 16 marzo di fronte al plotone di esecuzione austriaco fuori Porta del Soccorso a Ferrara, caddero il dottor Domenico Malagutti d’anni 20 da Saletta, Giacomo Succi d’anni 48 possidente, Luigi Parmeggiani d’anni 46 negoziante di Ferrara: erano stati condannati a morte colla forca dal Consiglio di Guerra di Ferrara per delitto di alto tradimento, ma per mancanza del carnefice non poterono essere impiccati e furono fucilati. Il 19 marzo 1853 ancora a Belfiore presso Mantova venne impiccato Pietro Frattini di 32 anni scrivano di Legnago: il Frattini raggiunse il patibolo con le stampelle, in quanto zoppicante per le ferite riportate nella difesa della Repubblica Romana. Prima di salire al patibolo buttò le grucce. Appena impiccato un banditore proclamò che “per sovrana clemenza” era soppresso il processo di alto tradimento per amnistia nei confronti di 57 detenuti politici nelle carceri di Mantova. Dalla grazia erano esclusi 33 contumaci. In quei giorni a Verona, in una sala della fortezza era riunito l’Imperial Regio Giudizio dell’Alto Comando militare austriaco. Era composto da sei ufficiali in alta uniforme che sedevano dietro un tavolo. Davanti a loro, in piedi tra due soldati austriaci, stava Pier Fortunato Calvi, alto, biondo e magro, con il volto pallido quasi terreo. Uno dei Giudici gli rivolse la parola:”Pietro Fortunato Calvi, siete stato arrestato in Valtellina, ivi convenuto dal territorio della Confederazione Svizzera. Le lettere di Mazzini che portavate addosso e che sono in nostra mano parlano sufficientemente chiaro, ma vogliamo che esponiate i fatti a modo vostro. Devo ricordarvi che la vostra posizione è aggravata dal fatto che foste Capitano al servizio dell’Imperial regio esercito austriaco e che disertaste nel 1848 - così leggo da un’informativa della polizia militare - per unirvi ai ribelli di Venezia durante la sedicente Repubblica e combatteste contro le armi del vostro legittimo sovrano fino a raggiungere, sotto quel Governo, oggi distrutto, il grado di Tenente Colonnello che vi fruttò il comando della cosiddetta Legione dei Cacciatori delle Alpi. Se non volete aggravare ulteriormente il vostro stato, farete bene a fornirci ogni dettaglio della sovversione che dovevate attuare nel Cadore e nel Tirolo. Calvi rispose:“Ai primi dell’agosto dell’anno corrente ricevetti la nomina da parte del Centro d’Azione in Londra e sottoscritta da Mazzini, di Commissario del Partito nella circoscrizione superiore del Veneto, compresa tra Belluno, Pieve di Cadore ed Udine e condottiero supremo delle bande nazionali che vi sorgessero. Durante il viaggio per il luogo di destinazione però io fui arrestato, cioè ancor prima ch’io potessi por piede sul suolo Veneto.” Il 14 maggio 1854 una quindicina di giovani sbarcarono da alcune scialuppe sotto il promontorio della parte di Levante del Golfo di La Spezia, vicino alla foce del fiume Magra. Gli uomini trasportavano alcune cassette lunghe. Una cassa cadde a terra, si spaccò e mostrò il suo carico: erano fucili a due canne, nuovi. Mentre gli uomini sbarcavano, erano osservati da un pescatore che corse ad avvertire i doganieri sardi che avevano la loro stazione poco distante. Tre doganieri salirono su una barchetta e si avvicinarono al luogo dello sbarco. I giovani vedendo arrivare la barca dalla quale un sergente urlò:”Bersaglieri, al centro” credettero di essere stati sorpresi da una compagnia di bersaglieri, e si diedero alla fuga, gettando carabine e tutto ciò che avevano. I tre doganieri, messo piede a terra, invece di merce di contrabbando come pensavano, trovarono fucili nuovi e palle di piombo. In un severo ufficio di Genova, dove erano accatastati a terra faldoni e libri, ad un tavolo era seduto l’Avvocato del Regio fisco. Dalla porta entrò un impiegato che recò una lettera annunciandola al suo superiore:”Colonnello, è giunto per staffetta or ora una nota dell’Ufficio fiscale di Sarzana.” “Me la legga”. “Ieri mattina in prossimità dalla foce del fiume Magra avvenne uno sbarco di armi e di individui. Gli individui sbarcarono più in dentro della foce del fiume: si diceva che fossero sessanta o settanta, ma di positivo non si saprebbe se non che non erano meno di 14 o 15 e questi, dopo essersi fermati a Monte Marcello ed aver mangiato in un’osteria senza pagare, presero i monti, dopo che verosimilmente videro avvicinarsi la forza armata. Nelle vicinanze di Vezzano (ad Asicola e Pitelli) sono stati arrestate 12 persone. Credo di poter assicurare che il movimento non era diretto contro il nostro Stato, ma unicamente contro i Ducati, specialmente quel di Modena, dove sembra che si fosse ordita la trama di una insurrezione. I fuorusciti dovevano entrare in quel Ducato, affrettando di agire in nome e nell’interesse di Vittorio Emanuele, con che lusingavansi di conseguire il doppio scopo di far sollevare quelle popolazioni che hanno nel nostro Governo la massima simpatia, e di compromettere quest’ultimo in faccia a Modena, e quindi anche in faccia all’Austria. Due o tre giorni prima dello sbarco, il noto mazziniano Orsini, per quanto mi consta da canale che ritengo sicuro, era sbarcato a S. Terenzio con due o tre altri; si ricoverò uno o due giorni in un luogo vicino, e poi sparì senza sapersi qual direzione abbia preso. Io ad onta di quanto si teme da alcuni, porto opinione che il tentativo sia assolutamente fallito, e che pel momento null’altro si farà o tenterà. Ho l’onore ecc. ecc.” Su una montagna, in un bellissimo paesaggio alpino della Svizzera c’era una capanna, con all’interno Mazzini che stava scrivendo una lettera a Caroline Stansfeld:“Cara Caroline sono in una capanna a circa duemila metri sul livello del mare. Il Governo ha scoperto qualcosa: alcuni dei miei sono stati arrestati; e mi stanno cercando in ogni direzione; un mio amico è stato arrestato ieri, mentre attraversava una montagna, per la forte somiglianza con me.....” Successivamente, in una casa di Zurigo dove si nascondeva, Mazzini scrisse a Emilia Hawkes: ”Cara Emilie, tutto è finito per il momento: dalla parte nostra delle Alpi hanno catturato tutte le armi; siamo stati denunciati da un armaiolo svizzero. Nel frattempo il Governo piemontese ha arrestato i miei amici che si disponevano a partire per raggiungermi. Il 24 mi giunsero dispacci telegrafici dove mi si diceva che, per cause che ancora mi sono ignote, il moto che doveva esser l’inizio di tutte le altre operazioni era inevitabilmente differito: la fase più acuta si è avuta in Valtellina; in Lombardia, nel Comasco, in Romagna, a Roma tutto è andato a vuoto. Ancora a Zurigo, nella casa dove si nascondeva, Mazzini ricevette il giornale piemontese Il Parlamento del 4 ottobre 1854 e lesse una corrispondenza da Roma:”Il Tribunale della S. Consulta ha pronunziato sei condanne capitali contro l’avv. Petroni, l’ex ufficiale del genio Romiti, il ragioniere Ruiz, l’ex maggiore del battaglione degli studenti Rosselli, fratello del generale, il possidente Lepri ed il possidente Casciani, arrestati il 15 agosto dell’anno scorso. Costoro sarebbero stati condannati all’ultimo supplizio come capi di un Comitato agitatore mazziniano, che avrebbe avuto esistenza fino alla caduta della repubblica.... La condanna contro il Casciani forse è una finzione, perché è noto che fu lui a tradire i compagni e quindi impunitario, oppure no. Un istrumento quando è divenuto inutile talvolta si getta nel fuoco. Le altre condanne. A Cesare Mazzoni, possidente e segretario del console inglese, prigionia perpetua insieme al sarto Sassi; venti anni al tabaccaio Salvatore Piccioni; quindici anni a Vincenzo Gigli e Gaspare Lipari, ex capitano d’artiglieria; dieci anni al figlio del Principe Ruspoli ed a Francesco Mattei, possidente. Questi i condannati più conosciuti. Simili condanne sono state inflitte anche ad altri accusati in numero di più che cinquanta.
Mazzini scrisse poi una lettera al londinese Peter Taylor con questo contenuto:”Zurich 26 ottobre 1854. Mio caro amico, siete meravigliato della nostra inerzia? L’azione dovrebbe già essere cominciata e lo sarebbe ad ogni momento se non fossero il Piemonte e le Potenze Occidentali. C’era tutto un lavoro da fare per dissipare i sogni prima di passare all’azione. Questo lavoro è fatto per due terzi poi, una volta completato, il campo sarà mio. Il popolo, i lavoratori sono ammirabili: sono miei, devotamente, ciecamente miei. Una cosa è fuor di dubbio: qualunque iniziativa sarà italiana; una scintilla farà divampare tutto l’incendio, ma bisogna che l’iniziativa sia fortunata.